Conservatorio di Santa Teresa
Letteratura italiana
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Un delicato acquarello d'altri tempi
Il libro di Bilenchi (Conservatorio di Santa Teresa) è uno di quei libri che offre al suo lettore sensazioni e colori, atmosfere e ovattati ricordi ancora prima che una storia vera e propria. Per questo un’analisi del testo tende istintivamente a focalizzarsi prima di tutto sullo stile e le tecniche di scrittura adottate dall’autore. Infatti lo svolgersi degli eventi appare volutamente lento. Una lentezza che, alla fine dei conti, è il fulcro della vera forza evocatrice del testo. Bilenchi riesce a creare una narrazione coinvolgente pur trattandosi di una proiezione continua della visione interiore del piccolo protagonista, per di più narrata in terza persona. Una struttura che, potenzialmente, rischierebbe di essere, per il lettore contemporaneo, lenta e pesante se non addirittura macchinosa.
Tante, forse anche troppe, le descrizioni dei paesaggi in una storia che, in linea di massima, potrebbe essere divisa in due parti complementari e paradossalmente anche antitetiche. Infatti se da un lato la prima parte è permeata di intimismo, in un quadretto contraddistinto da gelosie ed egoismi infantili, nella seconda si assiste ad un passaggio decisivo verso l’esterno. Il protagonista, Sergio, non è più solo, inizia prendere dimestichezza con i suoi coetanei, appropriandosi di una vita e di una quotidianità fatta di spazi propri e di propri ritmi con la differenza che, questa volta, saranno tutti descritti in funzione di una più ampia interazione sociale. Ebbene, proprio in questa seconda parte il lettore avverte, forse volutamente malcelata, una vena di morbosità o, di innaturale pudicizia per un ragazzo.
Ma la spiegazione potrebbe essere, invece, proprio sotto i nostri occhi. Sergio, ormai al limite dell’adolescenza (in realtà il dato lo si deve solo dedurre giacché nel testo non è mai esplicitamente dichiarato) ha sempre vissuto in una sorte di ampio gineceo nel quale, paradossalmente, la madre, Marta, si è trovato ad essere un personaggio relativamente defilato. La figura paterna, invece, complice la Prima Guerra Mondiale, è stata pressoché assente. Sensibile già per sua natura, Sergio si accorge che questa sua caratteristica non è la stessa avvertita anche dalle bambine del Conservatorio di Santa Teresa. Ecco allora evidenziato un disagio che Sergio aveva già avvertito con la zia, Vera, donna dalla vita sociale vivace, come vivace è anche il suo carattere. Vivace, ma forse anche bisognoso di affetto dal momento che le storie da lei vissute (anche queste semplicemente dedotte da quanto riferito sotto forma di scherno da Bruno, fratello di Vera e padre di Sergio ) coinvolgono uomini estremamente differenti tra loro sia per fattezze fisiche che per carattere. Un esempio potrebbe essere Giulio, amante morboso di Vera, che non esita a sorvegliarla.
La figura di Giulio si contrappone a quella, sfortunata, di Edoardo, l’unico, tra tutti, per cui Vera sembri provare un sentimento di amore. Ma sarà anche l’unico che sarà Sergio apprezzerà, se non altro perché, proprio come avrebbe fatto Sergio, anche Edoardo rimane disgustato dalle canzonette oscene degli operai sulla spiaggia. Ed è proprio lui, Edoardo, che, con il suo profilo caratteriale, rientra pienamente all’interno del quadro delle delicate atmosfere che si avvertono per tutto il libro. Sola eccezione: la scena dell’accoltellamento di Edoardo, unico momento che coinvolge in maniera violentemente diretta i protagonisti.