Come fossi solo
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 4
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Processo all'uomo
Come fossi solo parla del massacro di Srebrenica in Jugoslavia. In particolare un soldato, solo uno, si è dichiarato colpevole delle atrocità commesse, di cui con altri commilitoni è accusato, quali stupri e genocidio. Questo soldato semplice tra l'altro è stato anche minacciato di morte, messo in tutti i modi sotto pressione, e, a suo rischio, ha provato a dire la sua scegliendo però alla fine di vivere, pur dovendo massacrare gli altri per vivere, per poter tornare dalla sua famiglia. Si alternano nella narrazione la voce di questo soldato,del suo giudice, e di un soldato belga, uno dei caschi blu dell'ONU. La cosa interessante è che il soldato sotto accusa è certamente colpevole di tutto quello di cui si auto-accusa ma è anche la persona più innocente tra quelle che compaiono nel libro. Ha provato almeno a opporsi pur senza arrivare a dare la vita per opporsi. La sua coscienza è un atto d'accusa sottinteso ai caschi blu che con molto minor rischio avrebbero potuto evitare il massacro e non facendo nulla si sono resi colpevoli due volte. Infatti molta gente è rimasta in città fidandosi di loro. Il romanzo mette ogni uomo sul banco degli imputati in quanto se il protagonista è colpevole, chi non avrebbe fatto di peggio trovandosi al suo posto?
Indicazioni utili
'Giustizia' e 'Srebrenica': un ossimoro infernale
Dirk, giovane casco blu olandese; Romeo, giudice spagnolo del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia; Dražen, soldato serbo con radici croate.
Sono loro, le tre voci narranti attraverso cui Marco Magini ricostruisce il doloroso puzzle del massacro di Srebrenica.
Un romanzo dalla prosa asciutta e lineare, interrotta brutalmente dallo stupro di un cadavere, dall'alcol, da una Camera di Consiglio divisa in due e dalla chioma bionda di un bambino che, di lì a breve, riceverà una pallottola nella nuca: un copione tripartito i cui riflettori sono accesi sul ludibrio di una barbarie senza vincitori e, di contralto, sul disperato tentativo di conservare un briciolo di umanità.
E' altresì palpabile il bisogno di comunicare, come se una confessione pubblica ristabilisse un legame di pace con il mondo. Un 'comunicare' che, in realtà, è un descrivere minuziosamente un genocidio assurdo, perverso, che sfugge a qualsiasi confronto e che risulta impossibile da razionalizzare.
Dirk, in piena crisi esistenziale, non vorrebbe mai più rivedere la luce del sole; Dražen, suo malgrado (co)protagonista della mattanza, si autoaccusa per non cadere vittima della depressione; il giudice Romeo, dopo la sentenza, compie una scelta definitiva per poter trascorrere il resto dei suoi giorni senza rimorsi.
Si dispiega quindi una storia corale che alimenta incubi, dubbi morali e dilemmi etici: '...perché abbiamo deciso di metterci in mezzo? [...] mentre noi siamo solo il pubblico di un film del quale non riusciamo ancora a intuire il finale', si domanda Dirk a mente fredda, a eccidio ormai consumato, mentre Dražen si rivela essere l'alter-ego del soldato Dražen Erdemovic, l'unico membro del Decimo Battaglione serbo condannato dopo essersi autoaccusato di avere fucilato più di settanta civili indifesi per non lasciare vedova sua moglie e orfana sua figlia.
E infine Romeo, abulicamente sospeso fra iter razionale e iter irrazionale, che ribalta una sentenza già scritta.
Eppure chi è Romeo, chi sono i giudici, chi siamo noi per assolvere o per condannare? E, senza voler fare moralismi retorici, come è possibile stabilire se una sentenza sia scevra o meno da ogni condizionamento esterno?
E' preferibile un padre di famiglia vivo e pieno di scheletri nel proprio armadio oppure un padre di famiglia in una fossa comune con la coscienza pulita?
L'unica possibilità rimasta è quella di guardare avanti per ritornare a vivere: un vivere attivo, presente e che permetta di tramandare la memoria.
Per non oscurare il futuro.
Per
ritornare
a
vivere.
Indicazioni utili
In fila pronti a morire
L'uomo, nel momento in cui si trova ad essere faccia a faccia con la guerra, cambia se stesso. Ma non solo. Cambia il suo rapporto con le persone, il suo approccio al mondo che lo circonda, la sua visione della vita. Marco Magini, autore esordiente laureatosi in economia, resta fedele a questo concetto, a questo stravolgimento: in "Come fossi solo" decide di raccontare, dal punto di vista di un condannato, la strage di Srebrenica e le sue conseguenze. Particolarmente catturato da tale dramma e dalla sentenza che vide condannato Drazen Erdemovic, ribalta la situazione scegliendo di trattare tale genocidio dal punto di vista di tre uomini: Dirk, appartenente all'esercito dei caschi blu dell'ONU, Romeo, il giudice che portò l'imputato alla condanna, e infine lo stesso Drazen, il giudicato. Sottile é la linea che separa questi personaggi l'uno dall'altro: sottile come la linea di confine che portò la Jugoslavia alla guerra. Tutti sono accomunati da una speranza, quella di poter tornare a casa sani e salvi dalle proprie famiglie mantenendo una qualche dignità. Quello di Magini può essere visto come un diario di guerra, una sorta di panegirico a proposito di una strage di massa che ha coinvolto milioni di persone che solo in parte sono riuscite a sopravvivere. Nel romanzo emerge anche il diverso modo di reagire ad un conflitto di tale portata: Drazen è portato agli estremi, a compiere un qualcosa che non vuole, semplicemente per tornare tra le braccia della figlia Sanja, mentre altri come lo stesso Jasa troveranno nella malvagità la loro casa. Spesso quando si tratta di fare riferimento alla storia ci si nasconde dai veri crimini, dalle vere colpe. Il libro di Magini è un'uscita dall'ipocrisia e dalla mediocrità, un modo per porsi faccia a faccia con un passato e una coscienza non proprio gradevoli. Consigliato.
Indicazioni utili
Drazen, Dirk e Romeo
Marco Magini è un giovane autore che ha deciso di cimentarsi su un tema arduo: la guerra.
La guerra di cui racconta nel suo “Come fossi solo” è quella che ha insanguinato la Jugoslavia negli anni novanta.
Magini apre il sipario sull'eccidio di Srebrenica e su certi retroscena realmente accaduti e documentati; per fare ciò utilizza tre uomini, in rappresentanza di altrettanti punti vista.
Si alternano le voci di un soldato serbo, di un militare delle forze Onu e di un giudice membro del collegio del tribunale internazionale contro i crimini di guerra.
Magini ci fa osservare la guerra da tre angolazioni diverse, ci pone in mezzo al conflitto, in mezzo al dolore più estremo e alla morte.
E' un romanzo che va oltre alla narrativa, diviene diario e documento, diviene strumento di riflessione e di indagine psicologica, diviene analisi degli istinti umani, dei sentimenti, dell'influenza del caso o del destino.
Le immagini sono nette e crude, la ricostruzione dei luoghi e degli eventi è imbevuta di realismo e non può non gelare l'animo del lettore; una durezza di clima su cui la penna dell'autore non specula ma delinea con una manciata di tratti decisi.
L'impianto contenutistico è interessante, i volti dei protagonisti si susseguono mentre si raccontano, mentre ripercorrono le azioni compiute senza celarsi dietro maschere e giustificazioni.
La guerra rappresentata è un grande baratro, un vuoto che non prevede vincitori, un terreno su cui si fondono bene e male, un teatro di vita in cui molti eventi hanno una doppia faccia.
Solida la caratterizzazione degli uomini qua ritratti, fotografati durante momenti di azione e nel silenzio e nella segretezza del loro cuore; umanità e crudeltà si fronteggiano e si sfiorano, così come odio e tenerezza, come lucidità e ottenebramento.
Magini ha scritto una pagina di storia amara e dolorosa senza indulgere in sentimentalismi, anzi il suo linguaggio potrebbe essere percepito come freddo e ruvido; tuttavia ha la capacità di far percepire non solo gli orrori di una guerra ma anche i dilemmi e l'annientamento umano.
La guerra è sangue, ma anche solitudine.