Come Dio comanda
Letteratura italiana
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Formichine ovunque
Premesso: non ho mai letto volentieri gli autori italiani, figurarsi quelli contemporanei.
Ma debbo ammettere che questo libro è uno spettacolo, una forza della natura che prende dalla prima pagine e va dirompente fino all'apocalittico finale.
Me lo gusto ogni volta, con un piacere proprio godurioso.
Questa storia stramba di un amore folle fra padre e figlio emarginati da una lurida, sporca, corrotta società, dove vivono residui umani senza arte e ne parte.
I toni sono foschi, crudi, cupi.
Ci sono le ragazzine viziate sugli scooter, i cani che azzannano, i masturbatori seriali, le televisioni perennemente accese, gli assistenti sociali allupati come un eremita sulla punta estrema del K2.
C'è violenza che sgorga in ogni pagina e poi ci sono loro, le formichine che invadono la testa del protagonista e lo rendono folle, lo accecano e quasi lo conducono nella valle dell'Eden.
Un romanzo corale, dove ogni personaggio è disegnato in maniera impeccabile, sia dal punto di vista psicologico che fisico.
L'autore prova proprio un godimento unico a farci vedere quanto sporca e putrida sia la vita in provincia, dove sembra che nulla debba mai accadere, dove c'è il "buon vicinato", lontano dal caos cittadino e dalla solitudine delle grandi metropoli.
Eppure in questo contesto quasi bucolico, si annida il seme della violenza, della follia, del desiderio di distruggere gli altri tanto per farlo, perchè è "come Dio comanda".
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FURIA ROSSA
Questa lettura mi ha lasciata veramente perplessa, nel senso che, se da una parte lo stile utilizzato non è dei miei preferiti, molto sboccato, a tratti veramente in modo esagerato, dall’altra forse era proprio lo stile ideale per rappresentare i personaggi che l’autore voleva tratteggiare, i loro caratteri ed il loro mondo. I personaggi sono improbabili, ma, nelle loro nicchie, veramente molto ben riusciti ed anche quelli secondari, che sono delle vere e proprie comparse, hanno tutti la propria connotazione. Una delle cose che più mi ha colpito della lettura è l’insieme delle esplosioni di rabbia che popolano la storia, una vera e propria furia rossa, disseminata in più modi ed in più momenti, prima, durante e dopo la fatidica notte che racchiude l’evento clou della storia. Le emozioni sono tutte all’eccesso in questo testo, soprattutto la rabbia. Quella assassina, quella con la vena buona, quella che vive solo per se stessa. Mi ha colpito quanto gli insulti possono fare centro e bucare le nostre parti sensibili. Quanto forte e pungente è l’odore del dolore, che riduce l’universo ad una serie di pensieri sconnessi. Libro che esprime in maniera violenta le emozioni. Però…però… la storia non regge molto. Fino a metà libro ero tentata di abbandonare. Il capitolo della notte ha rimesso in animo l’entusiasmo della lettura, nell’attesa di un finale che mi sorprendesse, perché tanti potevano essere i finali di questa storia. Invece il finale mi è parso scialbo, veramente poco significativo, pur avendo ottime potenzialità di potersi chiudere col botto. E’ comunque senz’altro un libro di cui consiglio la lettura, anche se io non ne sono rimasta per nulla entusiasta.
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Pozzanghere di nafta color arcobaleno
La forza di questo romanzo sta soprattutto nella capacità dell'autore di entrare nella mente dei personaggi, fornendo al lettore molteplici cambiamenti di visuale.
Nelle prime pagine ci si ritrova a guardare il mondo con gli occhi e il cuore di Cristiano, un tredicenne un po' disadattato ma impavido, e con quelli Di Rino Zena, un semialcolizzato disoccupato e pieno di livore contro il mondo.
Padre e figlio, uniti da un rapporto di odio-amore: “Io e te siamo una cosa sola. Io ho te e tu hai me. Non c'è nessun altro. E quindi Dio non ci dividerà mai”.
Poi ci sono i loro due unici amici, perdenti da manuale, e tutta una serie di personaggi secondari sempre ben tratteggiati, di cui scorgiamo per qualche pagina un pezzo di esistenza.
Malgrado qualche occasionale deviazione nel luogo comune, il libro esamina il complesso mondo dei sentimenti senza retorica strappalacrime e cresce in suspense e in ironia con una sottile satira di costume.
Sembra che Ammaniti, tenendo le fila degli eventi, si diverta nel ruolo di un Dio dai disegni imperscrutabili, mentre speranza e disperazione si alternano in un paesaggio squallido e freddo, con alberi spogli che spuntano dal fango e “pozzanghere di nafta color arcobaleno”.
Qualche imprecisione nei dettagli di quello che a poco a poco assume i colori di un thriller non toglie comunque efficacia ad un libro che emoziona, anche grazie a scene incorniciate da colonne sonore azzeccate, marchio di fabbrica dello scrittore.
“L'aquila” di Bruno Lauzi, in uno fra i momenti più intensi della narrazione, spicca fra tutte.
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Come Dio comanda
Forte, anzi fortissimo, di studiatissimo effetto. Se metti al centro della storia la vita un ragazzino disadattato costretto a vivere con un solo genitore, alcolizzato e violento e la allacci con la vita di un’altra ragazzina che tormenta le sue fantasie erotiche e magari ci fai ruotare intorno un paio di pseudo amici reietti e dediti all’ ozio, crei una situazione in cui il tormento è assicurato.
E Ammaniti è un maestro nel creare delle situazioni paradossali e arginare giusto in tempo il pericolo di cadere nel ridicolo. Inserisce in questo romanzo tutti gli elementi della tragedia, ci sono povertà, emarginazione, follia, alcolismo e violenza e non può che terminare con un messaggio immorale e licenzioso.
Ha il talento di descrivere in modo crudo la solitudine dei personaggi, causa ed effetto del disagio e un alibi per la violenza a cui si abbandonano di tanto in tanto creando forzatamente nel lettore lo spazio per la pietà e la comprensione, non rinuncia al sarcasmo, aggiunge particolari ironici e concede un margine di tempo relativamente piccolo per un sorriso.
Il tema dominante è l’amore, più che quello di un padre per un figlio che in qualche modo avrei ritenuto scontato, è il bene che il figlio prova per il padre ad esortare qualche riflessione, è un amore viscerale, incondizionato, deviato in qualche modo. Cristiano, il personaggio principale, suggella a modello di vita l’unico uomo che conosce realmente, pur con la consapevolezza che non è il miglior degli esempi non fa che attingere forza per forgiare un carattere altrettanto iracondo e collerico.
Se Ammaniti merita un plauso per il racconto avvincente e la minuziosità dei particolari non posso però non essere critica sulla concreta probabilità che un ragazzino di 14 anni possa arrivare a fare quello che si legge in questo libro per il bene del padre, rendendosi così complice di un crimine assurdo. Crimine a cui avrei voluto far susseguire dolore ma soprattutto condanne e sostituire proprio l’idea di una punizione ideale alla retorica dilagante.
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Come Dio Comanda
Beh... cosa dire! Il vero problema di Ammaniti, almeno quando scrive questi romanzi corali [Come Dio comanda edito da Mondadori nel 2006], è riuscire a trovare il bandolo della matassa perché, tra un pianto e una risa, esci fuori con la consapevolezza di aver letto un gran bel libro, in pochissimo tempo e senti, nell'aria, ancora il profumo della pioggia anche se fuori splende il sole da diverse settimane!
La famiglia Zeni, composta da padre e figlio, fa da sfondo ad un racconto nel quale si intrecciano le vite di un paesino di un Nord-Est che, sembra, aver perso il contatto con la realtà e, immerso dalla pioggia, stenta a comprendere il male dei suoi "figli".
Il disagio socio economico si arrampica su un problema più profondo come quello dell'ipocrisia lampante, chiaramente esplicitata nell'ultima parte del racconto, dove la pietà, cedendo al rancore, non fa però scaturire l'amore, come direbbe il grande Faber, ma solo la rabbia di chi, di questa ipocrisia, è vittima!
Se volessimo analizzare a fondo questo romanzo di vittime se ne troverebbero a iosa... ma il vero problema, come in tutti i lavori di Ammaniti, non è tanto il trovare la vittima, ma quanto il capire ciò che la circonda e la porta ad esserla. E' un po' come se si continuasse a osservare il dito tralasciando, in modo sciocco, la luna.
Su tutti i personaggi si erge la figura di Dio come "guida" ad ogni tipo di azione quasi a volerle giustificare, una auto-assoluzione preventiva... una specie di alienazione di feurbachiana memoria. Ma sappiamo che questa presentazione di Dio è "romanzata" e molto popolare rimandando, comunque, degli input importanti per riuscire a "ragionare" anche su questo.
Quindi se avete tempo e voglia, se vi volete far trascinare in una storia tragica dal sorriso semplice ed immediato, prendete questo libro mettetelo nella borsa dell'estate e vedrete che, sotto l'ombrellone al mare, anche voi riuscirete a sentire quel sapore di pioggia che permea tutto il romanzo del nostro caro Niccolò Ammaniti!
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Un padre ed un figlio. Pagine di ordinaria follia
Forse non è uno dei romanzi più recenti di Ammaniti, ma sicuramente una delle sue opere meglio riuscite.
Con una trama solida, dinamica e senza sbavature, l'autore crea un universo concreto e attuale dove il dramma, la solitudine e l'incomprensione trasmutano le parole in realtà.
Rino è un padre che come tanti si ritrova a crescere un figlio da solo senza la presenza e l'appoggio della moglie nonché madre di Cristiano. E' un emarginato, un disoccupato, un uomo abbandonato a sé stesso e alla sua condizione, un uomo che giorno dopo giorno deve fare i conti con “quel sistema” che minaccia di privarlo dell'unico vero affetto rimastogli. La rabbia nutrita verso il Mondo e verso le circostanze che gli hanno impedito di vivere la vita che desiderava per sé e suo figlio lo inducono alla violenza, all'alcool e all'uso della forza per difendere le sue ragioni. Non ci sono alternative: se sei vittima di un torto, chi te lo ha procurato deve pagare con un'angheria pari o superiore al sopruso da te subito.
Il giovane ed intelligente Cristiano cresce tra povertà e continua ricerca di sé stesso. Mentre la ragione lo induce a non condividere ogni insegnamento del padre cercandone addirittura dei nuovi, lo stato delle cose lo portano a cercare sempre più il favore della sua unica fonte di affetto e certezza dimostrandosi verso di essa leale sino alla fine.
Un fardello troppo grande si abbatterà sulle spalle di Cristiano, un qualcosa che non minerà alla fiducia nutrita nei confronti del padre tanto da difenderlo pur senza conoscere della sua innocenza e/o colpevolezza, ma che metterà in dubbio valori quali amicizia, la fiducia, la fedeltà.
Una serie di eventi concatenati ed inevitabili che dimostreranno a Cristiano stesso quanto essenziale sia lottare per proteggere quel poco che si ha e che ci è rimasto valicando le soglie del giusto e dello sbagliato.
Un romanzo complesso, ben articolato, mai banale e scontato che rende la lettura al tempo stesso odiosa e insidiosa ma anche esaustiva ed entusiasmante.
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Una grande storia d’amore: un figlio e un padre.
Sono sorpresa, commossa, perplessa… il cuore colmo di triste gioia per i sentimenti di infinito, incommensurabile amore, ma anche stima, fiducia, paura, rispetto, che questo ragazzino di tredici anni, Cristiano Zena, nutre nei confronti di suo padre Rino Zena.
Un trasporto talmente incondizionato che Cristiano smetterà gli abiti in verità mai indossati, di adolescente bisognoso di cure e protezione, e diventerà egli stesso genitore protettivo, sfidando le sue stesse forze, fisiche e psicologiche, spinto da quel legame che è il nostro stesso sangue, che siamo noi stessi....che è questo padre, che non è solo l’unica persona al mondo che gli resta, è la sua stessa vita e il suo stesso mondo. E’ il suo riflesso e la sua immagine.
Ma tutto sommato, anche Rino che inizialmente mi fa soffrire, per come tratta questo figlio, per quanto pretende da lui, per quanto lo spinge a mettersi alla prova, per quanto lo obbliga a sfidare e pretendere sempre più da se stesso, in fondo lo stringe sempre in un abbraccio, da lontano, affinchè il figlio impari a saper vivere e difendersi da sé e dagli altri in questo difficile mondo.
Intorno un clima cupo e schizofrenico, tenebroso e piovoso, una bufera non solo atmosferica si abbatte su questi e altri personaggi, ognuno con la sua storia e i propri orrori. Una pioggia che invece che lavare e portare via le malvagità, scarica buio, fulmini e freddo su queste anime già così tormentate. E quando le nuvole torneranno ad aprirsi e il cielo a riaffiorare, nulla sarà più come prima, tutto andrà sanato e risolto.
Il non più piccolo Cristiano, -ma lo è mai stato?- spinge tra il fango una carriola, tra lacrime non versate e sudore.
“Io non ho paura di morire. Solo chi ha paura muore facendo stronzate come camminare su un ponte. Se a te di morire non te ne frega niente puoi stare tranquillo che non cadi. La morte se la piglia con i paurosi. E poi io non posso morire. Almeno fino a quando non lo deciderà il Signore. Non ti preoccupare, il Signore non vuole che ti lascio solo.
Io e te siamo una cosa sola. Io ho te e tu hai me.
Non c’è nessun altro. E quindi Dio non ci dividerà mai.”
“Io non ti ho abbandonato. Ti sto solo aspettando.
Ti voglio bene.”
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Cristiano ovvero la caduta
Grande romanzo di Ammaniti. Ti prendo e ti porto via può essere considerato la piantina su cui germoglierà il fiore di questo romanzo. Situazione generale da servizi sociali. Padre "nazista" autoritario e alcolista. Cristiano antieroe moderno in "formazione" alla ricerca della normalità ma vittima di ciò che la vita gli pone davanti. Tutto è grottesco, gli amici del padre a cui la vita sembra aver già tolto ogni cosa, il folle progetto di rapinare un bancomat, le relazioni scolastiche, la stessa casa in cui Cristiano e suo padre vivono. Ancora un amore impossibile che può trascendere le classi sociali e salvare la vita di un giovane... Bella la trasposizione cinematografica con un magistrale Timi, che riesce però solo a lambire le profondità che sono proprie di questo romanzo. L'epilogo poi è una magia di incastri con una progressiva caduta nell'orrore quotidiano, sotto la pioggia battente, in una notte buia. Ciò che ci attende toglie ogni speranza.
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Forse Dio comanda
Una squallida cittadina di provincia , nell’ inospitale e fredda pianura invernale, è l’habitat dove tre disperati, senza soldi e senza speranza, cercano di cambiare il corso della loro esistenza progettando un colpo al bancomat.
L’improbabile trio è il riferimento affettivo di Cristiano Zena, un adolescente combattuto tra l’amore e la fedeltà ai parametri culturali del padre, nazista e alcoolizzato, e il desiderio di omologarsi ai coetanei, di possedere un telefonino e la moto.
L’educazione che Rino Zena gli impartisce è orientata alla sopraffazione sui più deboli, alla supremazia fisica da superuomini. Ma suo padre rappresenta anche un porto sicuro dove rifugiarsi, dove trovare amore incondizionato.
Il libro ci serve subito l’iniziazione di Cristiano che deve sparare un colpo di pistola a un cane, colpevole di aver disturbato la loro quiete nella silente piana innevata.
Prosegue con le disavventure di Quattro Formaggi, di Danilo e di Rino Zena alle prese con la mancanza di lavoro e l’emarginazione sociale.
La notte che dovrebbe segnare la svolta, quella del colpo al bancomat, sarà invece il tragico epilogo delle vite del trio e di quella di Fabiana Ponticelli, la bellissima ragazza che Cristiano deve limitarsi a desiderare da lontano.
Quella notte da lupi sarà sconvolta dalla tempesta e dal fango, dall’acqua e dalla violenza.
La moralità sembra non essere un valore, eppure tutti i protagonisti invocano Dio.
Quattro Formaggi crede addirittura di seguirne le indicazioni quando rincorre e violenta Fabiana, Danilo vive come un miracolo del Signore il ritrovamento delle chiavi che gli serviranno per lanciare l’auto contro la banca.
Anche Giuseppe, l’assistente sociale che ha in consegna il destino familiare degli Zena, fa voto a Dio affinché “resusciti” un uomo che ha investito, di ritorno dall’incontro amoroso con la moglie del suo migliore amico.
E Dio sembra esaudire tutti questi strani desideri, eppure si ha la sensazione che sia il Grande Assente, un contenitore assolutamente vuoto di valori che viene riempito secondo chi lo usa dai desideri più biechi.
Dopo disavventure anche divertenti, descritte realisticamente da una prosa a volte anche molto cruda ed esplicita, che mi ha ricordato Bukowski, resta solo l’amarezza di vite segnate, di destini già tracciati che niente può cambiare.
Ammanniti (Roma, 1966), che ha vinto il premio Strega nel 2007 proprio con questo libro, ha la capacità di incatenarci al racconto capitolo dopo capitolo. Ci spinge a tifare per Cristiano, a rincorrere la speranza che il padre Rino riemerga dal coma per continuare quella squallida esistenza fatta di frigo vuoti, di sporco e di disordine, ma piena di quell’amore reciproco che porta entrambi a superare i propri limiti per proteggere l’altro.
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Incastro perfetto
Un romanzo semplicemente unico per la sapienza dell'autore che, ormai padrone di sofisticate tecniche narrative, riesce ad incastrare perfettamente vicende differenti che si svolgono parallelamente, passando con estrema disinvoltura dal noir alla commedia.
Al centro della vicenda c'è un rapporto simbiotico, a tratti quasi morboso, fra padre e figlio. Rino, abbandonato dalla moglie e rimasto solo con l'adolescente Cristiano, cerca di istillare in lui una mentalità orientata alla violenza ed alla prevaricazione. Ma il giovane riesce ad imitarlo solo in parte. Ci prova: vuole renderlo orgoglioso. Ma dentro di sé è profondamente fragile, sognatore, innamorato e timido. Si aggrappa al padre per “spirito di compensazione” perdendo il contatto con la parte più vera e più pura di un’anima costretta a crescere troppo in fretta, un’anima a tutti gli effetti sola.
E anche Quattro Formaggi è solo. Lui, che cerca il rapporto con Dio ed attraverso di esso – vero o presunto che sia – dissimula la propria follia. Una mente ossessionata può commettere i danni più gravi. E, se all’interno di queste ossessioni, vengono trascinate persone innocenti, le vite di molte persone possono cambiare.
Impossibile non commuoversi davanti all’immagine di un ragazzino che – convinto della responsabilità del padre in un omicidio – cerca di difenderlo con un’emozione che oscilla fra la tenacia e lo sconforto, braccato da un assistente sociale a sua volta troppo fragile, forse superficiale, per poter fornire un aiuto concreto.
Attraverso questo trano ossimoro, il lettore cerca di barcamenarsi pervaso da un profondo senso di familiarità con un mondo troppo simile a quello in cui si trova a vivere, un mondo fatto di lande desolate, di strade periferiche, di luci artificiali, di centri commerciali, di motociclette e di temi sul nazismo. Un mondo buio, laddove i personaggi più duri ed emarginati cercano di ricomprare, per le proprie anime, una parvenza di purezza.
E, soltanto a volte, ci riescono.