Ci vorrebbe un sassofono
Letteratura italiana
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Vecchio sax
"Ci vorrebbe un sassofono" di Pino Roveredo non è un libro facile, specie se chi lo legge appartiene al genere maschile.
Questo è un libro scritto, con tutta evidenza, da un uomo che si vergogna di essere un uomo.
Pertanto, tutto il breve romanzo presenta uno stile di scrittura asciutto, crudo, succinto, lapidario. Non perché all’autore non riesca meglio; al contrario, Pino Roveredo sa scrivere, e sa scrivere bene, è uno scrittore coi fiocchi, dalla prosa solenne, chiara, incisiva ed esaustiva, se solo lo vuole, quando ci si mette, e decide di scrivere al meglio.
Scrive come se disegnasse, rappresenta immagini con le parole; figlio di genitori sordomuti, ha conosciuto in passato il manicomio, il carcere, l’alcolismo.
Perciò sa esprimersi assai bene come se utilizzasse la lingua in segni visivi delle persone sorde, traccia con le parole il suo dire in termini secchi, brevi e incisivi, con sapienza.
Inoltre, dato il suo vissuto, è uomo che conosce bene la vita, sa perfettamente di cosa parla, e dei risvolti violenti e brutali che contrassegnano talune esistenze.
Stavolta lo scrittore triestino fa una precisa scelta di campo, in questo suo libro sale sul banco degli accusati, si espone al pubblico ludibrio al pari dei suoi sodali di genere.
Continua a scrivere bene, comunque, non crediate, perché la scrittura è nel suo DNA, non ha dismesso di saperlo fare anche volendo, ma ora non ha un approccio distaccato dalla storia che racconta.
Se ne fa coinvolgere, la vive, la sente sua, ne sente il biasimo morale che ne fuoriesce e lo sferza, lui al pari di tutti gli altri maschi che la leggono, lasciandogli nell’anima strie rossastre, roventi, caustiche.
Il suo inconscio di maschio lo guida a raccontare, in questo modo un po’ particolare, diverso dal solito, a lanciare il suo j’accuse anche verso se stesso. Ognuno tocchi Caino.
Non è altro che un estremo tentativo, il suo, di creare distacco da quanto dice, in qualche modo di svincolarsi, di eludere il suo coinvolgimento, che esiste solo perché è un uomo.
Scrive volendo manifestamente far intendere che egli è altro, che è dalla parte della protagonista.
Che ne condivide il pensiero a proposito del pianeta uomo: inutilmente.
Per quanto si sforzi, sa che non riuscirà mai a essere completamente convincente, non è possibile, lo si voglia o meno, è parte in causa, è incastrato, costretto nel suo genere, anche se non lo ha scelto.
In estrema sintesi, tutto quello che c'è da dire sul suo romanzo sta già nella dedica iniziale del libro: “Sconsigliata la lettura ai maschi col coraggio della vigliaccheria”.
A riprova della magistrale abilità di Pino Roveredo di dire tantissimo con un uso parco, centellinato delle parole. Ci dice tanto, ben di più di tomi poderosi.
Pino Roveredo non parla qui di femminicidio, non descrive delitti e violenze contro le donne, sarebbe un testo limitativo e mediocre, altrimenti, tutto questo non è che una conseguenza.
Piuttosto, si scaglia all’origine, inveisce senza mezzi termini contro lo sporco, dannato, estremo insulto che ogni uomo porta quotidianamente alla donna, a qualsiasi donna, vedendola sempre e soltanto, per quanti sforzi faccia, in termini di “possesso”.
La mia donna, la mia ragazza, la mia fidanzata; la mia amante, la mia compagna, mia figlia, mia sorella, mia madre; la mia maestra, la mia insegnante, la mia concubina.
Mia. Di mia proprietà. Obbediente. Sottomessa. Sottoposta. Per forza, è mia.
Sempre e comunque: non è che una donna. Necessita sempre di un pronome di possesso.
Claudia è una donna ancora giovane, una donna normale, né bella né brutta.
Che come tante un giorno ha incontrato un uomo sbagliato, come capita con estrema frequenza.
L’ha sposato, suo malgrado, perché incinta, o costretta a incintarsi, com’è più facile credere, la gravidanza “casuale” è da sempre un’ottima catena per uomini senza scrupoli.
E da quell’uomo Claudia ha subito ogni tipo di umiliazione, meschinerie, cattiverie gratuite, e violenze e atrocità di ogni genere; e quando il marito è in fin di vita in ospedale, si trova costretta ad assisterlo…perché così richiede la morale corrente, la società, gli amici, la famiglia, la chiesa, il falso perbenismo dilagante, l’ipocrisia diffusa, così pretende la figlia, troppo giovane ancora per aver già appreso come l’universo maschile sia velato ad arte dai suoi abitanti, che ne celano così trappole ed inganni.
Macchinazioni, menzogne e trabocchetti che sempre utilizzano gli incapaci di scindere il possesso dalla compartecipazione, la dolcezza dall’interesse, l’amore dal sesso.
Un libro con dedica esplicativa, dicevamo, e completamente esaustiva.
Dedicato agli uomini, ma a tutti gli uomini, non solo quelli "cattivi" per definizione.
Perché tutti noi maschietti ci sforzassimo per una volta, per l'ennesima volta nel corso della nostra esistenza, ad ignorare la nostra metà deficitaria, quella contraddistinta da Y, il cromosoma diverso. Diverso, perché noi siamo alieni alla Terra, estranei all’empatia e alla solidarietà scevra dal bieco possesso: l’umanità appartiene solo a chi ha un cromosoma uguale, XX.
Secondo me, quest'è. Meglio rifugiarci nelle note di un sax, va.