Chiamami sottovoce
Letteratura italiana
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Indesiderato
Negli anni ’70 in Svizzera una legge stabiliva che i figli dei migranti non potessero attraversare la frontiera. Se gli italiani erano accettati per il pesante lavoro stagionale nel traforo del San Gottardo, i bambini no, non potevano entrare. Erano indesiderati.
Il romanzo di Nicoletta Bortolotti parla di Michele, indesiderato a soli nove anni, costretto a vivere sottovoce, nascosto in una soffitta, e delle cicatrici che l’esperienza dell’esclusione gli ha lasciato sulla pelle. E parla di Nicole, della loro amicizia segreta, vissuta come un sogno o una fiaba, e di come questo legame clandestino, spezzatosi prematuramente, ne abbia segnato l’intera esistenza. È una storia di rinunce, attese e sensi di colpa, ma ora Nicole, ormai adulta, sente di dover tornare indietro, a quella casa in Svizzera dove ogni cosa sembrava possibile, per rispondere finalmente a domande rimaste in sospeso da trent’anni. Ad alta voce.
"Ma poi cos'è una casa. La stanza dove sono nato? La soffitta di Delia? La dimora azzurra? L'appartamento lussuoso in cui abito adesso? Oppure lo sguardo di Nicole. L'odore di Delia. Un giardino di rose dove posare l'infanzia. Forse una casa non è dove tu sei, ma dove sei tu. C'è una differenza".
“Chiamami sottovoce” corre su un doppio binario temporale, in un’alternanza di voci narranti. Ieri e oggi. Michele e Nicole. E sullo sfondo dei loro ricordi prendono forma le vite dei lavoratori italiani in Svizzera e, soprattutto, la storia dei bambini invisibili, vittime delle scelte e dei doveri degli adulti. Se interessante risulta essere lo spunto narrativo, al romanzo manca un affondo più incisivo nella rappresentazione dell’ambientazione e dei personaggi. La montagna sbiadisce sullo sfondo, senza odori, colori, sapori. I protagonisti evaporano senza che emozioni o sensazioni persistenti si incollino alla pelle del lettore. Non basta una voce pulita e sicura, capace a tratti di toccare note fiabesche e poetiche, per appassionare davvero il lettore e il tutto finisce per essere un minestrone un po’ confuso di ingredienti di per sé pregevolissimi.
Una buona compagnia, non priva di spunti interessanti e di una certa dose di grazia ma non posso fare a meno di pensare che ci sarebbero state tutte le premesse per un lavoro di maggior profondità.