Che la festa cominci
Letteratura italiana
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Ammaniti in tono minore
Un party epico in una delle location più affascinanti di Roma è il pretesto usato da Ammaniti per dipingere un moderno spaccato di vita mondana nell'Italia dei nostri giorni. L'imprenditore immobiliare Sasà Chiatti, personaggio che definire di dubbia onestà è un eufemismo, dopo aver comprato e ristrutturato a modo suo la bellissima Villa Ada, polmone verde della Città Eterna, decide di organizzare una sorta di festa di inaugurazione. Gli invitati ovviamente non sono gente qualsiasi: politici, calciatori, star del cinema e della televisione, scrittori, chef stellati e ogni sorta di vip del Bel Paese e non. Il povero lettore, non avendo ricevuto alcun invito, non può far altro che vivere l'evento attraverso chi ci è stato. Eccolo allora intento a seguire Fabrizio Ciba, scrittore di punta del panorama letterario italiano, e Saverio Moneta detto Mantos, impiegato presso la ditta del suocero nonché capo spirituale della sgangherata setta satanica che risponde al nome di Belve di Abbadon. Due personaggi diametralmente opposti: famoso, affascinante, sicuro di sé fino a diventare spocchioso il primo; frustrato, vessato continuamente da moglie e suocero, scoraggiato dai continui insuccessi il secondo. Fabrizio entra a Villa Ada dalla porta principale, quale invitato di grande importanza. Saverio è costretto invece ad imbucarsi, insieme ai suoi adepti, travestendosi da cameriere. I due sono accorsi all'esclusivo party per motivi diversi, trovandosi però interessati alla stessa persona, la cantante Larita, ex rockettara satanista convertita al cattolicesimo. Ma mentre Ciba vuole conquistarla, Mantos e i suoi seguaci vogliono sacrificarla a Satana per poi terminare l'impresa in un suicidio di massa. Chi dei due riuscirà nel proprio intento? Le aspettative degli invitati riguardo alla festa saranno soddisfatte? E quelle del lettore nei confronti del libro? Per avere risposta alle prime due domande è necessario leggere il romanzo, alla terza si proverà a rispondere qui. La risposta, purtroppo, non è positiva. Se fin dalle prime battute appare chiaro che ci si trova davanti ad un Ammaniti in tono minore, la lettura, al netto di qualche eccesso di volgarità e qualche luogo comune di troppo, scorre piacevole per buona parte dell'opera, aiutata da una scrittura veloce, briosa, moderna e da una dose di simpatica comicità. L'autore da un lato mette in ridicolo gli eccessi, le trivialità, le ipocrisie del mondo dello spettacolo, della politica, dell'editoria. Dall'altro, nelle parti dedicate alle Belve di Abbadon, si sofferma sulla noia, le frustrazioni, i problemi della gente comune, alle prese con una vita quotidiana mai facile e che troppo spesso regala pochissime soddisfazioni e soffoca sogni, aspirazioni, desideri. Ma più si va avanti nella lettura più appare lampante una certa confusione da parte dello scrittore che non si capisce bene dove voglia andare a parare, fino ad avere il sospetto che il libro diventi vittima delle sue stesse critiche, impantanandosi poi nella patetica storia degli uomini talpa sfuggiti al regime sovietico e culminando in un finale bruttino, banale e incapace di trasmettere emozioni. Ammaniti ci ha abituati a ben altro.
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Divertente e DIssacrante, a tratti capriccioso
Seconda lettura di Ammaniti dopo l'ormai quasi classico "Io non ho Paura", divorato cinque-sei anni fa ormai.
Qui il tono è molto diverso, più maturo e dissacrante. La prima parte decisamente divertente, la seconda e la terza meno incisive e più narrative, con qualche sbavatura nello stile comunque discretamente gradevole, seppure un po' piatto.
La storia è molto originale, e anche dei personaggi non perfettamente caratterizzati riescono a renderla piuttosto avvincente e interessante.
Tuttavia, a colpirmi molto in questo libro è stato un particolare molto umano.
I suoi protagonisti, dallo scrittore Fabrizio Ciba al disperato Saverio detto Mantos, sono uomini incredibilmente capricciosi. Cambiano idea nel giro di poche pagine, con un naturalismo e una naturalezza molto veritieri.
Da macchiette caricaturali, uomini ricchi di difetti e di paure, questa peculiarità più di molte altre contribuisce a rendere il romanzo sufficientemente affascinante per una lettura disimpegnata.
Dunque? Val la pena questo libro di Ammaniti? Certo che sì, se si sa a cosa si va incontro e se si è disposti a perdonargli qualche capitolo sbagliato, un po' di confusione e qualche sgambetto formale.
L'idea è buona, sicuramente.
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Italian decadence
Una grottesca ed esasperata rappresentazione (tanto esasperata da sfociare spesso nella caricatura) del degrado che ormai invade la nostra società, in cui l'ipocrisia, il cinismo, il desiderio di apparire e la necessità di emergere dalla massa, di evadere dalla monotonia del quotidiano hanno ormai annullato ogni traccia di umanità, di sentimenti tanto nobili quanto anacronistici, portando via ogni speranza di un cambiamento in meglio.
Ed il marcio è così tanto radicato da creare una voragine che ingoia tutti indistintamente, ricchi e poveri, vip e non vip, prede e cacciatori, santi e satanisti...
Ed è così che la festa del secolo, quella organizzata dall'imprenditore corrotto Sasà Chiatti nella splendida scenografia di villa Ada, acquistata e ristrutturata per l'occasione e trasformata in una sorta di zoo safari per la gioia e la soddisfazione degli istinti primordiali e predatori dei suoi ricchi e famosi invitati, si conclude poi con una vera e propria apocalisse.
Beh, certo, bisogna ammettere che non è stato facile 'digerire' la 'partecipazione straordinaria' alla festa degli uomini-talpa, un gruppo di atleti russi fuggiti, durante le Olimpiadi romane del 1995, dal comunismo sovietico e rifugiatisi nel sottosuolo di Villa Ada riducendosi, anzi regredendo così, allo stato di uomini primitivi.. rappresentano metaforicamente il nostro destino, il nostro futuro? come se l'unica alternativa alla decadenza sia cancellare tutto e ripartire dall'inizio? mah!
Ironico, sarcastico, pungente quando mette in mostra le debolezze dei suoi personaggi, la vacuità della loro vita, le assurdità elevate a normalità, Ammaniti riesce spesso a strappare un sorriso ma non basta.. rimane comunque poco incisivo.
"Se non esistono più regole etiche ed estetiche le figure di merda decadono di conseguenza"
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un batter d'occhio
Due storie lontane anni luce si ritrovano a vivere una della feste più “folli” della storia di Roma.
Da una parte un satanista fallito che vuole portare a compimento un sacrificio umano per assurgere al ruolo di leader del movimento satanico nazionale; dall’altra uno scrittore sull’orlo del fallimento che non trova più stimoli e vive sull’onda, lunga, del suo grande successo in attesa di essere rimpiazzato dalla sua stessa casa editrice…. intorno confusione, ricerca di visibilità, esasperazione e fuga dalla normalità, piatto, ahimè, sempre più indigesto per “l’uomo” contemporaneo.
Questo è il tema centrale di “Che la festa cominci” romanzo dello scrittore italiano Niccolò Ammaniti, pubblicato da Einaudi nel 2009.
Il libro tocca talmente tanti temi e in una maniera così “spassosa” e divertente che ti ritrovi a sorridere anche di aspetti per i quali, versare due lacrime di commiserazione, non sarebbe poi una cosa difficile! Il dramma è che, nella fantasia, si trovano tracce di una realtà dilagante in Italia che affonda le sue radici nella perdita di senso e di consapevolezza dell’essere adulto nella continua ricerca del “piacere” in tutte le sue forme e sostanze e nell’allontanarsi da ogni forma di responsabilità come se il “memento mori” non fosse un monito per costruire ma per “divertirsi e godersela”.
Naturale che queste siano opinioni che io, e la mia storia, estrapoliamo dal libro che rimane, comunque, un capolavoro da leggere in un batter d’occhio! Il problema è nel chiudere l’occhio di fronte al dramma che ci viene sub-presentato, diventando colpevoli di omissione. Ma questa è la giostra sulla quale siamo saliti e, alla velocità alla quale viaggia, non c’è quasi permesso di riflettere sulle domande profonde lasciandoci il gusto della superficie delle cose in modo da non cogliere il problema nella sua essenza ma solo nella forma.
Se non capite l’ultimo pensiero fatevene una ragione, ho provato a scrivere di getto, non ho voglia di rileggerlo e il bimbo piange!
Buona lettura!
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Elpi-logo n. 17 - E' qui la festa?
Un romanzo un po’ “sopra le righe”, questo di Ammaniti.
Un bizzarro riccastro, Sasà Chiatti, organizza una festa strampalata, alla quale invita VIP e sedicenti VIP dello spettacolo, dello sport e della politica. Teatro della festa è il parco di Villa Ada, acquistato dal Comune di Roma e adattato alle insolite attività nelle quali la festa verrà declinata (è previsto perfino un safari!).
Tra gli invitati c’è anche lo scrittore di successo Fabrizio Ciba, in cerca d’ispirazione. E Mantos, leader delle “belve di Abaddon”, setta di Oriolo Romano sull’orlo dello scioglimento. Per rivitalizzare la setta, il leader propone di assassinare la cantante Larita, ex satanista ora convertita al cattolicesimo.
La festa – nell’intrico dei partecipanti, tutti dediti a perseguire scopi personali – degenera ben presto: il safari lascia sul campo alcune vittime e la confusione prevale quando un gruppo di persone (i ciccioni), abitanti delle catacombe sotterranee di Santa Priscilla, riemergono dopo anni di vita sotterranea, per razziare cibo e massacrare gli invitati. Perché “i ciccioni” sono discendenti e mutazioni degli atleti sovietici che parteciparono alle Olimpiadi di Roma del 1960, dissidenti clandestini fuggiti all'oppressione del regime comunista dell’Unione Sovietica di quegli anni.
Satira truculenta dei malcostumi italiani?
Dileggio del mondo fatuo e viziato di VIP che non si comprende a cosa debbano il nomen di “persone importanti”?
Atteggiamento beffardo nei confronti dell’originalità forzata e ricercata in modo spasmodico?
A me, questo romanzo, a tratti umoristico, a tratti eccessivo, è sembrato inquinato dagli stessi mali che vorrebbe flagellare.
Bruno Elpis
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Che la festa cominci
E' stata la mia prima lettura di Ammaniti. Devo ammettere che è scritto davvero benissimo: un gran stile.
Però non ho apprezzato PER NULLA il cambio di marcia della seconda parte del libro.
Bella invece la critica graffiante nei confronti di un certo popolino vip...
Vi ricordate il film DAL TRAMONTO ALL'ALBA? Ecco ho vissuto la setssa sensazione: una buona idea che per sconvolgere si trasforma in horror.
Una cosa è certa: tornerò a leggere altro di Ammaniti
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Alla fine è sempre il solito ironico, surreale
E' il quarto libro di Ammaniti che leggo. All'inizio ero un po' deluso. Dopo aver letto "Fango", "Come Dio Comanda" e "Ti Prendo e Ti Porto Via" non mi ci ritrovavo. Mancavano molti tratti che avevo amato negli altri libri, il ritmo era fin troppo lineare. Certo, due storie completamente diverse, ma mi chiedevo dove fossero finite le infinite storie di gente a caso (e pensare che qui alcuni si lamentano del fatto che in questo libro vengono descritti fin troppo i personaggi secondari... ahahahah!), dove fossero quegli elementi surreali, tragicomici... Poi, man mano che la lettura va avanti tutto torna. L'ironia, l'assurdo, le infinite storie che si incrociano, l'amarezza. Libro deludente a metà, ma io di Ammaniti mi sono innamorato!
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ironico e ben scritto
E' un libro molto ben scritto, scorrevole, ironico, per nulla banale, surreale ma non da stravolgerti. I contrasti che Ammaniti è capace di descrivere con l'accostamento di due parole sono magistrali ed esilaranti. E questo dalle prime righe.
in questo libro ci sono tante cose, anche importanti.
Parla di sentirsi soli e incompresi, parla delle piccole viltà dell'uomo, delle ipocrisie e delle bassezze, ma anche di amore, e anche di morte.
La storia è avvincente, costruita benissimo. Il libro non è mai stagnante o noioso, io l'ho letterlamente divorato. Lo consiglio? sì, assolutamente.
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Quando la festa comincia, è la fine del libro
Il libro parte bene, parte alla grande, il fatto che ci siano due storie che sembrano non aver niente in comune: dei ragazzi che fanno parte di una setta satanica e uno scrittore che cerca un po' se stesso e un po' di donne per fare quello che più gli parte. Ricorda un po' "ti prendo e ti porto via" stesso stile, storie parallele che finiscono per intrecciarsi. Ma mentre "Ti prendo e ti porto via" l'intreccio è veramente fatto vene, qua qualcosa davvero non ha funzionato, si cade sul surrealismo, su delle banalità da scrittore di fantascienza di prima media. Il pezzo delle catacombe è uno dei più brutti... doveva finire velocemente il libro? sembra che tutto sia buttato la da quando la festa inizia e più va avanti più lo scrittore secondo me capisce di essersi buttato a descrivere cose che son più grandi di lui, diamine non è un Ellis!!! non è capce di descrivere tutte le marche che ha adosso una persona, non gli riesce... riesce a scandegliare secondo me molto bene lo stato d'animo, per le scene di caccia, i mondo vip .... ammaniti lascia perdere. comunque il modo di scrivere mi piace molto, e l'ho finito in poco più di una settimana, ma il contenuto è pressoche inesistente. Poi uno scrittore che dice che i suoi approfondimenti storici son stati fatti su wikipedia..... mi lascia un po' così cadere le braccia.... ma chi sei Fabio volo? boh ... ammaniti, accontentati di meno soldi la prossima volta, ma cerca di fare libri un po' meno "buttati la"
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amara ironia
Una strana sensazione mi ha colto al termine di questo libro. Qualcosa di non ben definibile a parole, una sensazione “di pancia”, intensa… un non voler credere ai propri occhi davanti a una realtà che ci sconcerta. Ammaniti ,con il suo stile ironico, dissacrante, a tratti onirico rappresenta situazioni surreali indagando senza remore nella meschinità umana. In questo sta la sua bravura , credo: nel rappresentare situazioni immaginate( ma assolutamente verosimili)che, senza bisogno di grandi sproloqui, lasciano riflettere, magari anche con una risata, sul mondo che ci circonda.
Già, perché mentre leggevo il libro più volte mi sono domandata: ma questa che leggo, potrebbe essere la realtà? E tutte le volte mi sono risposta che sì, purtroppo lo è.
A Villa Ada, storico parco di Roma, si prepara una festa colossale in onore di un palazzinaro arricchitosi in modo ambiguo; in tale sede si dipanano le vicende parallele di Saverio Moneta, impiegato di mobilificio e satanista a tempo perso, e Fabrizio Ciba, scrittore intellettualoide completamente ripiegato su se stesso. Tutto il “ bel mondo” di star e starlette varie della Tv accorre, chiassoso e sbrilluccicante , a questo evento “imperdibile”: tutto per ottenere il famoso quarto d’ora di celebrità, incurante di ogni cosa che non siano il proprio aspetto, il proprio guadagno e la propria immagine.
Esilaranti i non troppo convinti adepti della setta di Saverio, che più che un rituale satanico sembrano preparare una grigliata… oppure il chirurgo plastico che, candidamente, dichiara che il tempo delle figuracce, il tempo in cui si provava ancora vergogna per qualcosa, “è morto e sepolto. Se n’è andato col vecchio Millennio”.
Alla festa, trionfo del kitsch, accade di tutto : il maldestro tentativo di Saverio & colleghi di effettuare un rito, e con ciò trovare un senso alla propria vita, scatenerà un vero e proprio caleidoscopio di eventi tragicomici, con un finale inatteso e onirico, proprio dello stile dello scrittore.
Immagini forti, dialoghi surreali e ossessioni narcisistiche completano il quadro, stappando non di rado una risata e suscitando una riflessione, non troppo ottimistica, su cosa significa essere e apparire oggi.
“…Aveva capito che era necessario fare cose straordinarie(non necessariamente intelligenti) per farsi notare”.