Cattiva
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Rinascere da capo
Titolo ambiguo, “Cattiva”: lo è la madre, cattiva, con i propri pensieri disperati che urlano silenziosi, o la figlia, con i suoi pianti improvvisi senza apparente motivo? O forse lo sono in egual misura entrambe, ciascuna portatrice a suo modo, seppur a livello inconsapevole, di bisogni egoistici?
Attraverso una scrittura intima, inquieta, priva di edulcorazioni di sorta, a tratti anzi quasi sfrontata e coraggiosamente schietta, si anima la vicenda narrata nel nuovo romanzo di Rossella Milone, edito da Einaudi. Una piccola storia che si rivela grande come non può che esserlo ogni volta il miracolo della vita che si rinnova e si affaccia inerme e incosciente al mondo.
Una coppia di genitori, Emilia e Vincenzo, da un lato, una bimba di appena due mesi dall'altro. Con sensibilità e delicatezza tutte al femminile, viene posta al centro di queste pagine l'esperienza della maternità e, in particolare, la nascita del primo figlio, vera e propria rivoluzione nella vita di una donna che, per ovvi motivi, risulta sempre maggiormente coinvolta (e sconvolta) da un evento come questo rispetto a ciò che invece succede alla figura paterna. Un groviglio di sentimenti, emozioni, sensazioni, capitolo dopo capitolo, trova precise e intense descrizioni, mentre a poco a poco emerge il convincimento che nella cura della prole ci sia qualcosa di ancestrale, istintivo, addirittura “animalesco”; e allora non ci si stupisce neanche più pensando di essere una lupa o qualsiasi altra bestia di cui sopravvive appunto l'istinto nella parte più recondita delle nostre cellule. Del resto, come l'autrice ben sottolinea, non vi è niente di razionale nei primi mesi di vita di un bambino, semmai è tutto molto illogico, imprevedibile, profondamente materico e corporeo.
“E allora mi chino su di lei, le accarezzo la fronte, le ficco la mia gola sul viso, una preda che si arrende e mostra la giugulare. Voglio che qualche parte di me che non conosco – i pori, il modo unico in cui si compongono le mie particelle invisibili di acqua e urea – sappia cosa si fa, sappia come calmarla, darle la sicurezza che pretende. Io non lo so. Ci sarà qualche parte dentro di me che ancora tiene le pinne, o la coda, che ancora tiene il sangue freddo dei rettili da cui provengo, che ancora si ricorda come si fa a tenere a bada un cucciolo che frigna, […] quella parte di me che sta assopita nel mio tempo perduto, sepolta come un fossile – saprà come si fa?”
La linearità della storia s'intreccia a ricorrenti e ampi flashback che ripercorrono talvolta l'infanzia, talaltra episodi dell'età adulta della protagonista, mentre il ricordo delle varie fasi del parto si snoda in parallelo con il proprio carico di ansia e dolore. Facendo ricorso a un io narrante davvero emozionante e coinvolgente, la penna della Milone ci consegna il ritratto di una giovane donna che cammina lungo il non facile percorso da seguire per diventare madre, pericolosamente in bilico tra feroci notti insonni e voglia di normalità, tra timore di allontanarsi troppo dalla propria figlia e inconfessabile desiderio di fuggire; su tutto, pesanti come macigni, incombono un senso di inadeguatezza ad affrontare la nuova situazione postnatale e quello di solitudine che sfocia spesso violento nelle forzate veglie notturne e permea fin da subito anche la vita di chi nasce.
“Quando uno nasce, nasce per sé, ed è in quel momento lì che l'individuo mette al mondo la propria solitudine: quando nasci, quando muori, il resto non conta, ché la fatica di nascere e di morire è la fatica di contenere tutto quello che c'è al centro, e gli altri non possono fare nulla, in quegli attimi fortissimi tutto quello che ti rimane è quello che sei.”
“I pescatori rimangono. Il mare rimane. C'è un pezzo di città che sta sveglio con me. A sentirmi meno sola non mi sento, la notte ha un suono troppo robusto, quasi ingombrante, ché anche se stiamo svegli – io e quegli uomini – ciò che condividiamo non è la veglia, ma una specie di isolamento.”
Particolarmente suggestive le immagini di Napoli e della sua costa in versione notturna, quella città di mare dove “[...] il sonno, si è perso nei vicoli strettissimi” e sulla quale aleggia sempre la presenza rassicurante del suo vulcano. Un bel romanzo originale incentrato sull'estrema fragilità femminile in un momento certamente unico e speciale nella vita di ogni donna, ma non per questo privo di sofferenza e sentimenti contrastanti che finiscono per provare psiche e corpo. Pagine che parlano dell'immensità di quell'amore che fa sì, quando viene al mondo una nuova vita, che chi è madre rinasca per buona parte una seconda volta.
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Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Smottamenti emotivi...
Parlare di questo libro non sarà affatto facile, soprattutto non sarà facile trovare parole che rendano l'idea...perché quelle usate dalla Milone sono le uniche possibili, sono quelle giuste.
Sono feroci e delicatissime.
Brutali e poetiche.
Perché in fondo è proprio su questo contrasto, su questo chiaroscuro, che si fonda il rapporto tra una donna e il suo bambino appena nato (e ancor prima che nasca).
La Milone toglie tutto lo zucchero a velo che solitamente ricopre questo momento della vita di una donna...e chiama le cose con il loro nome, senza abbellimenti sociali, senza fronzoli, senza pudore alcuno.
Dà voce ai cedimenti, agli smottamenti emotivi, al "pianto delle sette", al terrore paralizzante di scoprirsi necessari.
La nascita di un figlio, del primo figlio in particolare, ti sconquassa...e non solo fisicamente...ti spacca in mille parti.
Il parto, che la scrittrice qui viviseziona passo passo, è sconvolgente, comunque tu voglia raccontartelo...e poco importa che le donne lo facciano dall'inizio del mondo, accovacciate dietro i cespugli o su di un lettino ospedaliero, quando ci sei tu lì sopra vuoi solo che il dolore finisca presto, che il tuo corpo ritorni ad essere tuo.
E dopo quel viaggio lacerante, a nascere si è sempre in due.
"Vuole qualcosa che io non le so dare, chè anch'io, come lei, sono nuova da poco, e il fatto che io abbia le parole, abbia più tempo e capelli, più pelle, più cervello e vista, più peli e anche più grasso, che io sia la madre e lei la figlia, non serve a niente, non significa niente.
Significa solo che buona parte di me deve rinascere da capo"
Cambia la percezione del tempo.
Tempo che viene strappato via tutto all'impovviso, ma anche tempo che si dilata...non passa, diventa pesante e appesantito da quell'altro figlio che nasce insieme al tuo, il sonno.
Il sonno che diventa "persona", che prende posto nel corpo, si allarga in tutte le direzioni, lo invade, lo bracca senza pietà.
È un romanzo viscerale, corporeo, carnale...che puoi sentire, toccare, e da cui ti senti toccato.
Dentro c'è ogni donna, anche quella che crede di non esserci, c'è lo sguardo maturo di chi non ha paura di ammettere il proprio desiderio di fuggire, il proprio disorientamento.
Perché dopotutto...paura, rifiuto, sconcerto, rabbia, tristezza...sono tutti passaggi attraverso cui passa l'amore.
"CAMMINARE CON TE È BUIO, PERDERTI È L'ABISSO.
DEVO FIDARMI DEL BUIO."