Carta forbice sasso. Memorie senza raccordo
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2
ORIGINALE ESORDIO
Una nuova pubblicazione si affaccia sulle scene editoriali italiane, un libro di poco più di cento pagine il cui titolo ricorda immediatamente il gioco della morra cinese. L’autore è un giovane sardo, il genere è atipico, la struttura complessa, lo stile efficace e alto.
Un prologo firmato Egidio C. Sanjust , datato Tangeri, ottobre 2112; una prima parte “Il contesto”:pochi sprazzi del 2037, un batti e ribatti tra il direttore di una rivista intitolata “Sardus Pater” e un suo fedele lettore, una seconda parte “La miccia” giugno 2037/ novembre 2037; una terza parte “Il boom (ricordi a tappeto) anni 2046/47; una quarta parte “Ceneri” (2067) che copre a ritroso gli anni dal 1993 al 2018. Un epilogo: 2107.
Destreggiarsi tra i vari piani temporali è una sfida al lettore che viene invitato implicitamente a dipanare le fila di uno scenario urbano, politico, sociale con epicentro Cagliari e villa Zevi, sede di una ONLUS che verrà implicata in un processo mentre gli scenari mondiali mettono in essere l’ennesimo conflitto. I fatti vengono presentati attraverso dei documenti seguendo un criterio da indagine storica con recupero di fonti rappresentate da scambi epistolari, diari privati, conversazioni intercettate, memoriali. Una vera e propria ricerca storiografica mirante a colmare i vuoti di comprensione che gli eventi generano e la cui interpretazione porta alla stessa distorsione della Storia. Al di là dei fatti narrati o meglio degli stralci di vissuti recuperati, al di là degli attori ( Pier Giorgio e Lucrezia, Marta, Elia, il pugile Cappai, il cabillo Cargeghe), cioè che personalmente mi colpisce è l’insieme di messaggi impliciti che mi è parso cogliere.
Il filone sociologico muove da serie preoccupazioni dovute al melting pop che vede la Sardegna ritornare ai suoi antichi dominatori perché i nuovi flussi migratori- a dire che quelli preoccupanti non sono tanto quelli che portano a erigere nuovi muri per evitare l’atavico processo migratorio che ha caratterizzato la Storia- depauperano la Terra Sarda delle sue risorse migliori: quelle umane.
Il filone storico offre la prospettiva vichiana dei corsi e ricorsi e la constatazione amara di un’impossibilità di comprensione degli eventi storici nel loro divenire e nel loro fissarsi a eterna memoria magari in ottica revisionista. Mi pare passi il messaggio che gli stessi protagonisti la modifichino per i loro fini e intenti umani e a noi non rimanga, anche nella migliore delle ipotesi, una ricostruzione monca e già falsata all’origine. Lo storico può aiutare a ricostruire e comprendere gli eventi ma essi , noi , tutti avremo sempre una mera “costruzione verbale spesso apocrifa”.
Il filone puramente narrativo -descrittivo si nutre di una vena futuristica e apocalittica con una Cagliari ridotta al fantasma di se stessa e delle sue invasioni barbariche.
Il filone politico contempla meccanismi, interazioni, prospettive che più che futuristiche hanno la tristezza di essere contemporanee.
La storia è come” sa murra” : in bilico tra strategia e psicologia. Buona fortuna.
Indicazioni utili
La deriva
“Nessuno può dirsi certo della vittoria, ma nemmeno della sconfitta”.
Il principio della Morra cinese - Carta, forbice, sasso - chiude un romanzo corale fatto di lettere, ritagli di giornale, blog e memoriali, attraverso cui si ricostruisce una storia dai contorni fantapolitici, ammantata da una patina di raffinatezza decadente.
Le lettere, soprattutto, sono dense, cariche di un'arguzia amara che inquadra con precisione impietosa i protagonisti - tutti personaggi sopra le righe, permeati da un emblematico infiacchimento morale - mentre il lettore assiste quasi nel ruolo di voyeur al crollo delle maschere, all'allentamento dei freni inibitori e all'emergere di una “verità libidica” conseguenza di una diffusa deriva sociale.
E' un romanzo dal linguaggio forbito e dal fascino un po' barocco, da leggere con lentezza, soffermandosi su frasi cesellate magistralmente e dialoghi in punta di fioretto.
L'ironia, a tratti grottesca, stempera fin dalle prime pagine la drammaticità del contesto apocalittico di una città fantasma, Cagliari, avvolta da un silenzio “che erode più del salmastro”, all'ombra di un terzo conflitto mondiale e di un islamismo che prende sempre più il sopravvento.
Limite del libro è la percezione, nella seconda parte, di troppa carne al fuoco, di un carico iperproteico che a volte si fa fatica a metabolizzare.
Alla fine, si avverte l'esigenza di un maggiore approfondimento di certe vicende personali - compreso un oscuro delitto - mentre avrebbero figurato meglio sullo sfondo i (troppi) personaggi secondari e le pagine riguardanti i rivolgimenti storico-politici.
Ma questo non è un romanzo lineare, né vuole esserlo.
Piuttosto, è circolare, come gli eventi che narra, come la Storia che sempre si ripete, con punti di svolta spesso inavvertiti.
Ed è lirico, nel suo pessimismo di fondo:
“...e dio non c'è preghiera che tenga a farlo desistere. Bisogna accettarne la demolizione sistematica, le sparse detonazioni organizzate. E' un pugile interstellare.”