Caduta libera
Letteratura italiana
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Opinioni inserite: 6
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la guerra di chi l'ha vissuta
L'autore continua a non smentirsi con il secondo libro della trilogia siberiana. Come il primo è una biografia, la sua vita raccontata nel più semplice e comprensibile dei modi.
è il racconto di eventi caratteristici della sua esperienza in guerra durante la seconda guerra cecena, eventi che hanno segnato lo scrittore e che segneranno il lettore. Perchè davanti a un 'racconto del reale' di questo calibro non se ne può uscire indifferenti. è un libro che oltre ad aprire un mondo del tutto nuovo, ovvero il mondo dell'esercito e di tutto ciò che gira intorno alla guerra, fa riflettere su questi massacri e su quello che sta sotto, su chi comanda dal proprio ufficio e su chi ogni giorno deve uccidere per poter permettere a se stesso di vivere.
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Se questa è una guerra...
Dopo l'educazione siberiana appresa attraverso il comportamento degli adulti, carpita negli insegnamenti degli anziani, e più direttamente vissuta nelle crudeli strade della cittadina di Bender, il ragazzo di vita Kolima viene chiamato alle armi.
La disperazione e l' insofferenza si ergono potenti in partenza, si avverte un forte senso di ingiustizia mentre la sorte del giovane è decisa da militi indifferenti e da un generale arrogante. Finisce tra i sabotatori, gruppo elitario dell'esercito russo in cui è abbastanza facile lasciarci le penne.
Per Kolima la beffa è doppia, privato della libertà -come già accaduto in riformatorio- ma soprattutto servitore di quello stato inviso a lui e alla sua gente.
Divenuto cecchino viene assegnato ad un reparto impegnato nel conflitto ceceno.
Da questo punto in poi Lilin perde la testa e si limita ad un resoconto bellico di inammissibile mediocrità mista monotonia. Si glorificano le azioni del protagonista e del suo reparto, tra villaggi semidistrutti e scenari in cui la natura domina disinteressata alla follia umana; non vi è alcuna riflessione sulle brutture che attorniano i soldati, non vi è alcuna scansione dei loro pensieri, delle loro paure, delle nostalgie.
I personaggi sono poco più che macchiette, calati in un ambito quasi irreale tanto da far risultare la guerra come un gioco, in cui la morte aleggia per scherzo burlandosi dei meno coraggiosi.
Un romanzo buono magari come rapporto didascalico con dati bellici sciorinati tramite estrema freddezza, non come documento attestante la ferocia umana. Lilin annaspa patetico nel descrivere le sensazioni di un diciottenne caricato di armi, mandato lontano da casa e costretto ad uccidere; sembrerebbe condannare con ferocia ma finisce col farsi sopraffare dalla mera cronaca. Non vi è traccia di coscienza alcuna, uccidere o venire uccisi senza rimorsi in una visione involontariamente e goffamente nichilista e disillusa.
Come fa un giovane, per quanto avvezzo alla violenza, a trasformarsi in un batter d'occhio in killer spietato? cosa gli passa per la testa quando uccide? chi sono i nemici che combatte? perchè se odia il proprio governo lo serve senza fiatare pur capendo di essere solo una stupida pedina sacrificabile? Queste alcune delle tante questioni appena toccate e risolte in maniera ridicola dall'autore.
La presunta veridicità dei fatti è messa a dura prova, troppi gli errori tecnici di carattere militare inerenti armamenti e operazioni. Sempre basato su una serie di aneddoti il romanzo è scritto in modo asciutto e semplice, tipico dell'autore che scrive in una lingua non sua. Ciò tuttavia non può giustificare magagne facilmente raggirabili con qualche piccola accortezza (interpellare un esperto ad esempio).
Inoltre sembra davvero improbabile che un reduce racconti dell'incubo vissuto senza la minima parvenza di angoscia e orrore.
Questa volta il cantastorie della Transnistria non mi incanta.
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la solitudine del cecchino
Chi di voi ha visto “Il nemico alle porte” non può che aver trovato più di una assonanza con il libro di Nicolai Linin “Caduta libera” [Einaudi 2010]… non per la trama, completamente differente, ma per il personaggio dal quale traspare la stessa cruda visione della guerra! Quella che si ha attraverso il mirino da cecchino.
Kolima, il nomignolo con il quale l’autore si lascia chiamare anche in questo libro, si ritrova catapultato nella guerra in Cecenia… sembra viverla in maniera asettica, non c’è un obiettivo preciso, non c’è eroismo per la Patria, non c’è un onore nazionale da salvare o una vittoria da portare avanti con la vita o la morte, ci si trova solo la voglia che il tutto finisca nel minor tempo possibile cercando di portare a casa la dannata pellaccia.
Arruolato a forza nei sabotatori viene scelto per diventare, grazie alla sua preparazione nelle steppe russe, un infallibile cecchino. Un cecchino vive la guerra come una partita testa a testa con gli altri pari nemici, con loro condivide la solitudine e la ricerca della perfezione totale, nell’arma, nel luogo da scegliere, nel silenzio interiore ed esteriore… alla fine il tutto diventa una partita di scacchi con la morte senza esclusione di colpi.
Il romanzo si snoda in un vortice di carne e sangue, fango e merda… ne senti il puzzo prima di addormentarti e il sapore acre non ti lascia fino alla fine del libro, che poi è la fine dell’incubo di Kolima. Vieni trascinato nella nebbia degli scontri e, dietro ogni porta che si sfonda, senti il cuore pulsare per la paura di un ombra che vi si muove dietro.
A mio avviso il libro si pone diverse spanne sopra Educazione Siberiana sia per la sua linearità che per il coinvolgimento emotivo che ti lascia attaccato ad ogni pagina.
Consigliato anche a chi non ha letto Educazione Siberiana.
Alessandro Conti
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il vuoto della guerra
Questo libro è una testimonianza dell'assurdità e dell'atrocità della guerra, testimonianza che ci arriva direttamente da chi, suo malgrado, la guerra l'ha dovuta vivere, subire ed agire. Nicolai Lilin usa un linguaggio crudo e spesso brutale per descrivere la follia di una guerra decisa "ai piani alti del potere", i cui veri motivi sembrano essere perlopiù oscuri a chi combatte, rischiando la vita tutti i giorni. ll protagonista di questo romanzo aveva solo diciotto anni, quando è stato costretto a partire per il servizio militare nel gruppo dei sabotatori dell'esercito russo durante la Seconda campagna cecena, come tanti giovani, chiamati a rispondere al servizio militare, è stato strappato dalla propria vita e mandato, come carne al macello, nell'inferno della guerra, che appare come una dimensione "altra" rispetto alla realtà: un non-luogo con le proprie leggi, con il proprio linguaggio, nel quale non c'è spazio per l'umanità, ridotta a mero istinto di sopravvivenza attraverso la distruzione del nemico. Il nemico perde la propria identità, cade nell'anonimato, diventando materia da distruggere, "monumento" da esibire. Ma cosa accade nella mente di un giovane soldato, risucchiato nel marcio della guerra, costretto ad uccidere per vivere? E' proprio la risposta a questa domanda che si può leggere tra le righe di questa lucida testimonianza: la mente sembra disorganizzarsi, in modo tale da percepire meno emozioni possibili, da pensare meno pensieri possibili, per salvare sè stessa dalla disintegrazione. Senza emozioni e senza pensieri c'è il vuoto e la guerra fuori diventa guerra interiore, distruzione interiore, il soldato per salvarsi non può sentire la paura, la disperazione, il disgusto, può sentire solo il vuoto e agire, agire in fretta e salvarsi. Questa perturbante sensazione di vuoto è descritta molto bene: "Io guardavo in alto e il cielo sembrava vuoto, tutto quanto sembrava vuoto. Mi sentivo abbandonato, solo, intrappolato in un posto maledetto dal quale non esisteva possibilità di ritono", la guerra diventa quindi una condizione interna dalla quale forse non esiste possibilità di ritorno, anche se si riuscisse a ritornare fisicamente a casa.
Questo libro racconta verità scomode e atroci che denunciano per esempio l'uso delle mine anti-uomo nell'esercito russo e le torture sul nemico rimaste impunite. Leggere questo romanzo permette una riflessione profonda sulla guerra, riflettere, pensare è l'unica arma che abbiamo contro quel grande vuoto che è la guerra.
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Sopravvivere, non importa come!
Ho fatto fatica a portare a termine questo libro, lo devo ammettere.
L'ho trovato pesante come lettura, cupo, con poche pause di riflessione, solo cadaveri, sangue e poi altri cadaveri e altro sangue.
Le pagine sono un susseguirsi di scontri armati tra i boschi o nelle città Cecene distrutte, morti da entrambi gli schieramenti, esecuzioni sommarie dei nemici (chiamati semplicemente "arabi" o "terroristi"), descrizioni delle armi utilizzate e delle tattiche di guerriglia.
Quando sono arrivato alla fine ho tirato un sospiro di sollievo e, dopo un giorno, ripensandoci a mente fredda, ho capito:
è pura e semplice guerra!
Non lasciamoci ingannare dai film Hollywoodiani, la guerra non ha niente di positivo, non migliora le persone che la fanno ma le annulla, spesso, purtroppo, in modo definitivo.
Come dice il protagonista conta solo una cosa, nient'altro: "salvare la pelle".
Come non ha importanza, se ti fai degli scrupoli la pelle non la salvi, l'eroe senza macchia e senza paura non esiste, se non nei romanzi.
Il nemico non ha pietà e anche tu devi comportarti di conseguenza, non devi dare segni di debolezza, anche tu non devi avere pietà.
Uccidere altri essere umani che vedi nel mirino del cannocchiale diventa la normalità, il pensiero che potrebbero avere una famiglia dalla quale non torneranno più non ti deve neanche sfiorare...se non lo ammazzi tu lui, più tardi, potrebbe ammazzarti.
In Cecenia venivano mandati militari di leva, come lo stesso Lilin, per due anni di guerra senza soste.
Le scelte disponibili erano due: rischiare la vita tutti i giorni sperando di tornare a casa intero oppure, se rifiutavi, il carcere militare che annientava completamente, sia nel fisico che nella mente, chi ci finiva.
I compagni di squadra di Lilin, il corpo speciale dei sabotatori, erano la sua famiglia, loro contavano su di lui e viceversa, si coprivano le spalle a vicenda in tutti i combattimenti.
Il loro capitano era il loro faro guida da seguire ciecamente.
La parte che mi ha colpito di più, però, è stata il suo ritorno a casa.
Dopo il congedo torna nella società civile ma sta male psicologicamente, non avere il giubbotto antiproiettile indossato quotidianamente per due anni lo fa sentire indifeso, il silenzio lo fa impazzire, non avere un'arma in mano lo fa star male.
Si aggira nudo per casa con un Kalashnikov scarico in mano e la TV con il volume al massimo.
Non riesce a raggiungere un equilibrio mentale, la società gli fa schifo, la TV che parla delle ragazze (in verità usa un altro termine) del Grande fratello russo o della popstar del momento gli fa schifo, vedere le notizie che riguardano i morti in Cecenia nelle notize di coda gli fa schifo.
Alla fine distrugge la Tv, prende il suo fucile da caccia e torna a casa sua...nei boschi della Siberia.
L'istinto del cacciatore è lo stesso, sia che ci siano animali oppure uomini nel mirino del fucile...la guerra annulla tutto e tutti.
Fa male...fa soffrire...piangere...impazzire...morire.
Fortunati noi che la guerra non la conosciamo!
Eppure quando vediamo le immagini di guerra al TG, seduti comodamente sul divano, non ci fanno effetto, siamo ormai assuefatti, ma la cosa che mi fa più orrore è sentire persone entusiaste del fatto che "finalmente" andiamo a dare una lezione a quelli là.
Politici che mandano a morire i figli della nazione che loro governano...ma non i "loro" figli..."loro" sono i "Fortunate son" come cantavano i Creedence.
"...it ain't me, it ain't me I ain't no senator's son..."
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caduta libera
Come promesso, (per chi ha letto la mia opinione su "educazione siberiana") ho letto il secondo libro di Nicolai.... difficile dare un' opinione ad una lettura così cruda e cinica, perchè d'istinto potrebbero urtare le parole che utilizza per raccontare la sua esperienza di cecchino durata due anni di servizio militare.
Bisogna riflettere un attimo prima di dare un giudizio su questo libro, soprattutto quando ci si trova a dover vivere un certo tipo di esperienza e non avere alternative. Perché l'alternativa di Nicolai,se si fosse sottratto al servizio militare, sarebbe stato il carcere militare il che significava un non ritorno alla società, in quanto i soprusi le violenze psicologiche e non, sarebbero stati tali da annullare completamente l'uomo. Non che le dinamiche della guerra in generale e in particolare la guerra cecena, che il protagonista ha vissuto, fossero diverse, ma forse Nicolai sentiva di avere una possibilità in più, se uscito vivo dal campo di battaglia, di poter in qualche modo riprendersi la vita.
Una frase chiave che mi ha fatto riflettere è questa ".... tutte le cose che fanno di un individuo quello che è, come i sentimenti legati alla coscienza, alla morale, al rispetto del prossimo, elementi che cambiano a seconda della cultura e dell'educazione ricevuta, tutto questo svanisce davanti all'istinto di sopravvivenza". Ecco di fronte alla sopravvivenza come ci si comporta? Cosa accade ? Dove vanno tutti i principi e gli ideali? Nicolai risponde a tutto ciò raccontando la sua esperienza, terribile, agghiacciante reale sicuramente difficile da comprendere fino in fondo, perché fortunatamente non mi sono mai trovata nella circostanza della sopravvivenza, se non si pensa a questo aspetto, leggendo, si rimane semplicemente senza parole. Ma capire un libro vuol dire in qualche modo immedesimarsi nel racconto e l’aspetto della sopravvivenza è stato, per me, la chiave per poter comprendere e ingoiare questa lettura.
La guerra annulla le persone, annulla i destini, e mescola innocenti e carnefici, la guerra è mossa apparentemente da chi sta sul campo di battaglia, ma come sottolinea il protagonista è solo una copertura di traffici gestiti dal governo.
Avrei voluto sapere qualcosa di più del dopo, del ritorno, che è solamente accennato nelle ultime pagine, dove si percepisce la sofferenza che prova e il paradosso di sentirsi fuori luogo a casa dove regna la pace. Forse si dovrà aspettare il suo terzo libro per chiudere il cerchio, perché mi manca un tassello e mi interessa conoscere in maniera più approfondita l’influenza che ha avuto nella sua testa nel suo animo, un’esperienza del genere, perché il libro racconta bene l’aspetto diretto sul campo descrivendo l’azione e meno il pensiero, perché la riflessione è arrivata sicuramente dopo quando ha riniziato a vivere, perché durante la guerra non c’è stato il tempo per pensare, ma solo per sopravvivere.