Bruciare tutto
Letteratura italiana
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Recensione della Redazione QLibri
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Che strano prete che sono...
Quasi per contrappasso dantesco, o per beffardo avverarsi del titolo profetico se non addirittura, come taluni sostengono, per volontaria e cinica orchestrazione commerciale, è lo stesso libro di Walter Siti che cade nel rogo della pubblica condanna.
Capo d'imputazione: uso scorretto ed improprio della letteratura resa complice di un tentativo di indulgenza e cristiana tolleranza verso un peccato (e relativo peccatore) universalmente considerato, e a ragione, il più abietto e deplorevole per la natura umana: la pedofilia.
"Il desiderio erotico di cui qui si parla è, più ancora dell'incesto, l'assoluto tabù della nostra epoca; sacrilego per definizione, basta accennarvi per sentirsi sporchi, basta che qualcuno ne sia portatore perchè lo si consideri un rifiuto dell'umanità, un'abietta carogna da condannare senza appello, un capro espiatorio di tutte le nequizie."
Un tema scottante, quindi. Anzi ardente sarebbe il termine adatto.
Le fiamme della dannazione eterna bruciano l'anima del pedofilo e quelle della giustizia terrena inceneriscono la coscienza di chi si macchia di questo orribile reato.
Tanto più se il male s'incarna in un sacerdote, nel rappresentante cioè di una chiesa che fa proprio della lotta al male e a tutte le sue manifestazioni il cardine della propria essenza e del proprio potere spirituale, sin dall'antico tempo della caccia alle streghe.
E don Leo, parroco come tanti di uno dei tanti borghi milanesi, ne è lucidamente consapevole: quanto vorrebbe poter guardare con occhi diversi quei ragazzini che giocano a calcio nel suo oratorio, gioire con loro e rendersi partecipe e guida della loro innocente gioventù: un buon pastore dovrebbe essere per il suo gregge, e non il lupo.
E poco importa se il lupo si sia manifestato una sola volta e quando era ancora ragazzo, quando ancora non indossava l'abito talare con le sue contraddizioni e dissidi interiori.
Anzi quella scelta ne fu proprio la diretta conseguenza:
"La combattuta decisione del seminario fu insieme un gesto di coraggio e una trincea: tu Dio m'hai messo in questa difficoltà ed io ti sfido correndoti tra le braccia. 'Non permetterai che io sia tentato al di sopra delle mie forze'."
A mio parere, è questa sfida impari tra uomo e Dio la vera chiave di lettura del libro di Siti: Leo diventa don Leo nel disperato tentativo di abbreviare le distanze tra lui e Dio, ma rimane solo con le sue domande senza risposta, perennemente in bilico tra ragione e amore, tra etica e carità.
Il romanzo di Siti è stato ormai additato come il libro 'sul' prete pedofilo e, chissà, forse anche come il libro 'di' un pedofilo per quella spontanea sovrapposizione in un romanzo della prima e terza persona che tende ad intrecciare ed amalgamare in un tutt'uno autore e protagonista.
Sinceramente, però, mi sembra un giudizio alquanto riduttivo e superficiale: è come se l'innegabile ripugnanza, il nauseante ribrezzo che scaturisce dalla lettura di alcune pagine del romanzo contaminasse l'opinione del lettore focalizzandola sull'aspetto sicuramente più turpe della vita di don Leo e mettendo in secondo piano, anzi oscurando completamente, tutto il resto.
E il resto è qualcosa che va ben oltre il peccato, bensì è il conflitto interiore, profondo, intimo, di cui quel peccato ne è testimonianza ed inevitabile conseguenza.
Ma non si cerca perdono, non si pretende una pena ridotta: c'è assoluta coscienza e consapevolezza della propria ossessione, ciò che tormenta don Leo è il silenzio del suo Dio, l'assenza di risposte alle sue domande, ai suoi dubbi.
E se i suoi dubbi diventano eretici non è per mancanza di fede ma per impiego di intelligenza: a meno che Dio non rinneghi tale dono, come potrebbe l'uomo esimersi dal ragionare, riflettere sulla propria vita e sulle contraddizioni della società in cui vive.
"I deboli di mente sono il prossimo più pregiato, la selvaggina più ambita dal cacciatore Gesù. A che serve leggere tanto, economia storia poesia? L'intelligenza è nemica della fede."
Don Leo è avido di sapere, in assenza di un confronto, di un dialogo i suoi interrogativi si trasformano in teorie, in verità soggettive:
"Dio è amore": si, ma che tipo di amore?
La Chiesa ha sempre l'amore in bocca ma è un ombrello ambiguo che non ripara nei nubifragi; Dio non lecca, non bacia, non ha un corpo da penetrare e da cui essere penetrati.
Amare Dio è l'unico metodo per disfarsi, senza dolore, di se stessi: più la carne si sacrifica, più si apre alla luce. Ma i nervi, il tremito, la differenza di potenziale, la scossa? Nessuna reazione chimica celeste m'ha convinto e trasformato. Ho sete del mio male, Signore: ti sei donato a me ma non ti sento."
Don Leo sa che il suo amore è sbagliato, è contro Dio ma anche contro gli uomini, contro la morale: è un'ossessione che non gli lascia via di scampo perchè assecondarla significherebbe essere dannato da Dio e dagli uomini.
Quasi invidia don Fermo, l'altro sacerdote con cui divide la guida della parrocchia, per la rassegnata ma al tempo stesso serena colpevolezza con cui vive la sua relazione clandestina con la perpetua e rimane invece disgustato e terrorizzato dal sacerdote a cui confessa il suo male nella speranza di ottenere un minimo sollievo per la sua anima ed invece ottiene solo consigli sordidi e rivoltanti su come rendere più appagante il sesso con un bambino.
Morbosità? No, la pedofilia esiste purtroppo, è reale, fin troppo nascosta e spesso occultata anche dalla chiesa, per questo credo sia sempre giusto parlarne e scriverne, è un male che va portato alla luce e non sotterrato.
E nel romanzo di Siti io leggo condanna, non leggo indulgenza: è il peccatore che riconosce il suo male e vuole debellarlo, sconfiggerlo.
Non lo sottovaluta bensì cerca di combatterlo con l'unica arma di cui dispone: la fede in Dio, la carità cristiana e l'amore verso il prossimo, verso i migranti e gli extra-comunitari, i poveri del nuovo millennio, un amore che dev'essere più forte del suo amore malato.
E quando quel Dio gli metterà sulla strada il piccolo Andrea, abbandonato a se stesso da un padre ed una madre persi nel loro egoismo e nell'odio reciproco, don Leo quasi esulterà per la sua personale vittoria, per essere riuscito a dare al suo amore verso Andrea la giusta dimensione dell'affetto, dell'amicizia e della protezione quasi paterna.
Ma quel Dio è bizzarro, sembra si diverta a metterlo in crisi, come fece con Abramo ordinandogli di uccidere suo figlio; questa volta però non c'è nessun angelo a salvare l'innocente.
E' proprio vero allora, pensa don Leo:
"Dio vuole tutto o niente.. solo allora ti sentirai in pace, quando non avrai più niente.. Dio non si accontenta del qualcosa."
La disperazione non ha più argini nel suo cuore e sfocia con tutto il suo impeto:
"La mia croce era resistere alla natura e adesso che fai, mi togli la croce da sotto il culo? dici e disdici, non sai nemmeno tu quello che vuoi, ma che cazzo di onnipotente sei? un cretino indeciso che si fa chiamare dio".
E l'unica soluzione, l'unica alternativa possibile è bruciare, bruciare tutto.
Sorretto da una prosa incalzante e da uno sguardo lucido ed attento che scandaglia l'animo umano in profondità, il romanzo di Siti merita a mio parere di essere letto e giudicato di conseguenza sulla base della propria opinione ed interpretazione personale e non su quella di critici e benpensanti che spesso inneggiano allo scandalo per scopi propagandistici.
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Opinioni inserite: 3
Un imbucato alla festa del Regno...
Ho volutamente iniziato questo libro senza avere letto l'attacco della Marzano e tutto il gran parlare che se ne è fatto attorno.
Volevo essere libera da condizionamenti.
Ciononostante qualcosa si era comunque insidiato nella mia mente, avevo delle aspettative ed ero pronta ad impattare in determinate situazioni (ed eventuali emozioni).
Ed invece ho trovato altro.
Tutt'altro.
Questo, per me, non è un romanzo sul tema della pedofilia (che fa la sua comparsa dopo la prima metà), su una Chiesa allo sbando e sui risvolti morali che ne conseguono, o perlomeno non è solo questo.
Ho trovato una fotografia spietata ed impietosa della nostra società, della miseria umana, della nostra pochezza di fronte ad una realtà che non siamo assolutamente capaci di affrontare.
Attorno al nostro prete protagonista (che potremmo definire pedofilo non praticante), forse alter ego dello scrittore, forse proiezione dei suoi peggiori incubi, ruotano una serie di personaggi disperati e disperanti, portatori sani del peggio del peggio che il ventre del nostro tempo sia stato in grado di partorire.
Desolazione a profusione.
E poi una dissertazione piuttosto articolata e approfondita sulla fede, sul rapporto tra Dio e Satana, su religione e perversione, sul desiderio (quello distruttivo), su azione ed intenzione, su un Cristianesimo ad alta digeribilità.
Il personaggio di Don Leo fa da veicolo e dà voce ad una serie di dubbi etici e morali, si mette in discussione nella misura in cui non riesce a comprendere un Dio che lo condanna per i suoi pensieri, ma continua a cercarlo, concedendogli anche una sorta di serenità abusiva, che non merita.
Un sacerdote assolutamente imperfetto, che, paradossalmente, si macchia di "eccesso di morale".
Non è un libro facile, né tantomeno consolatorio.
È sicuramente un libro teologico, scritto da un ateo.
Non so neanche dire se mi sia piaciuto o meno...
Mi ha lasciata turbata, a tratti annoiata, un po' infastidita, spesso ammirata.
E forse già questo mio sentirmi combattuta fra sensazioni contrastanti è da considerarsi effetto collaterale di una lettura che ha smosso qualcosa.
E non è poco.
Eppure qualcosa non mi ha convinto, ma più che nei contenuti direi nella struttura: un continuo confondere le voci, dialoghi confusi e disordinati che si accavallano a dialoghi interiori, personaggi che spuntano dal nulla.
Ecco, la costruzione del romanzo non è stata affatto nelle mie corde, l'ho trovata slegata e disomogenea.
Ma la scrittura è alta e il finale, degno di Lucifero, mi ha lasciato letteralmente stordita, e mi ha in parte ripagata dei momenti no.
La vera colpa di Siti, forse, è stata quella di aver scritto un libro in cui è riuscito a vestire di dignità il mostro (mi viene in mente Humbert Humbert)...e di aver creato personaggi così osceni da mettere in ombra l'oscenità di chi avrebbe dovuto catalizzare tutto il nostro disprezzo.
Alla fine ti senti un po' tradita dalle tue stesse sensazioni, avverti qualcosa di scorretto...
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La solitudine del più grande tra i peccatori
Molto discussa l’ultima opera di Walter Siti “Bruciare tutto”, per il tema indubbiamente scabroso, che affronta con impietoso realismo. Ed è proprio l’impietoso realismo che turba le coscienze e rende la lettura difficile e, in alcune pagine, persino sgradevole. Eppure, io credo fosse proprio questo l’effetto che Siti volesse raggiungere. Perché, è innegabile, che il tema della pedofilia sia oltremodo spiacevole, in quanto attiene alla perversione più odiosa che possa manifestarsi nel comportamento sessuale di un individuo. Se poi l’individuo è un rappresentante della Chiesa, la deviazione si carica, se possibile, di aspetti ancora più deprecabili. In realtà al centro di questo romanzo è la desolante solitudine spirituale e morale in cui si dibatte il personaggio di Don Leo, consapevole dell’abietta inclinazione che mina profondamente il suo equilibrio psichico. La sua consapevolezza lo avvicina e al tempo stesso lo allontana da Dio, di cui avrebbe bisogno, ma al quale si rivolge talvolta con rancore e con dolore. Il dramma di Don Leo, descritto senza indulgenza, ma con compassione, è ben lungi dall’essere un’assoluzione. L’autore non si identifica mai col personaggio, anzi ne prende le distanze, per poterne meglio analizzare e descrivere i turbamenti dell’animo. Ancor più desolante è il personaggio del giovanissimo Andrea, vittima di un vuoto affettivo lasciato da genitori egoisti e ignoranti, abbandonato a se stesso da Don Leo che vede in lui la materializzazione della sua depravazione. E’ un mondo di emarginati e reietti quello che descrive Siti, adattando il linguaggio ai personaggi, usando espressioni dialettali laddove necessarie. Fin qui il tema trattato in tutta la sua scabrosa sostanza. La polemica sorta intorno all’opera, tuttavia, mi sembra inopportuna. Premesso che è opportuno respingere qualsiasi valutazione di opportunismo commerciale nella pubblicazione di questo romanzo, non si può ignorare che l’argomento è, purtroppo, di grande attualità ed è inutile affermare che esso andrebbe dibattuto solo nelle sedi più idonee da professionisti e religiosi adeguatamente preparati. L’argomento è scabroso e spiacevole, alcune pagine del romanzo sono sconvolgenti, ciononostante l’indignazione che esse suscitano nel lettore è la giusta reazione, la più auspicabile che l’autore potesse attendersi. Il dramma umano che qui si rappresenta è duplice: esso riguarda la sfera religiosa, il rapporto con Dio e con la fede, e la sfera sessuale odiosamente deviata, fino alla più amara delle conclusioni, che non ci sia nulla in tutto ciò che meriti di essere salvato, che l’unica soluzione possibile in questo deserto spirituale sia bruciare tutto.
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Un libro "discutibile" e riprovevole.
Bruciare tutto è l’ultimo libro edito da Walter Siti. E’ un libro amarissimo, all’interno del quale troviamo, però, pagine scritte benissimo, con una prosa bellissima.
Leo è un parroco, dice Messa in un quartiere di Milano, dove accanto a persone che da tempo vi abitano c’è la nuova emigrazione che avanza. Ha trentatré anni, e con lui nella stessa parrocchia c’è Fermo, un prete che ha una relazione sessuale con la propria perpetua. Leo ha pensieri lodevoli verso il creato e anche contro se stesso; è tormentato: si chiede come un essere umano, in specis un prete, possa davvero amare Dio. E’ molto abile nelle sue omelie, che vengono seguite da una pletora diversa di persone: i nuovi immigrati, i vecchi milanesi, che sono diventati troppo cinici ed insicuri per seguire con passione la bellezza delle sue parole. Il Nostro, poi, deve sottostare ai suoi desideri più reconditi che sono assai minacciosi. Lui ama i bambini, ma non in modo casto, come “il padre di tutti”, ma proprio in quanto “oggetti”, vittime inconsapevoli del suo desiderio sessuale. Ha fantasie sconce ed impronunciabili. Non c’è bisogno di toccarli veramente i bambini, ma è indubbio che anche loro vogliono sedurre e farsi amare, l’importante è che questo desiderio rimanga nei loro giochi e che non venga esplicitato, invece, nella realtà. Leo è anche vigliacco; vorrebbe affrontare altre questioni: fare il missionario, aiutare le persone nella loro terra d’origine e quando sta per partire conosce Andrea, un quattordicenne che ha già una sua precisa visione del mondo. Andrea si innamora di Leo che vorrebbe approfittarne, ma non lo fa. Così Andrea si suicida, perché proviene da una famiglia anaffettiva, che lo tratta con disgusto, in modo che lui non può rivolgere il proprio affetto verso “nessuno”. Un finale luciferino ed atroce.
Questo libro parla, dunque, di pedofilia ed è stato oggetto vivace di discussione. In particolare Michela Marzano in una recensione apparsa su Repubblica, parla di questa caratteristica peculiare del romanzo, e di come ciò non può passare sotto silenzio perché i contenuti di un libro contano. Non si può parlare sempre bene di un romanzo se tocca temi sensibili: l’autore affronta temi riprovevoli che possono infastidire chi sulla pedofilia ha già delle opinioni consolidate, ossia che è cosa orrenda, che tocca i cuori e le nostre coscienze, e non si può dare retta ad un romanziere che riapre un discorso altrimenti chiuso. Non è una censura verso la letteratura. Ma anch’io, personalmente, ritengo che la pedofilia sia un argomento delicato, da trattare nelle sedi opportune, con dei professionisti che sappiano trattare l’argomento con tutte le cautele del caso. Non è un chiudere gli occhi davanti all’orrore, ma è prudenza, precauzione per non fare altro male. E’ certo, anche, che Walter Siti grazie a questo diverbio ha raggiunto, grazie ad un rutilante battage pubblicitario, un buon livello di vendita, mai ottenuto prima. La tensione è alle stelle e il dibattito aperto.