Branchie Branchie

Branchie

Letteratura italiana

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Le avventure di Marco Donati dalla Roma minimalista di Campo de' Fiori all'India vorticosa dell'orrendo Subotnik. Tra Alice di Lewis Carroll e i film di arti marziali, un gioiello di felicità narrativa, culto della sua generazione.



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Opinioni inserite: 3

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Branchie 2015-07-07 13:10:05 Kaonashi
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Kaonashi Opinione inserita da Kaonashi    07 Luglio, 2015
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Il delirio di un universitario

Branchie è il primo libro scritto da Niccolò Ammaniti, realizzato nel corso dei suoi studi universitari. Ci viene narrato di Marco, un giovane malato di cancro che intraprende un viaggio verso l'India per costruire un acquario, ed è li che vive una serie di avventure sempre più tendenti verso il surreale.

Branchie, forse non l'ho ancora precisato, è delirio puro. Ammaniti non si cura di piacere al lettore, di risultare credibile ai suoi occhi o di proporre qualcosa che possa intrattenere in modo sensato: il suo è un puro viaggio visionario in un mondo tanto improbabile quanto instabile nelle sue fondamenta, permeato di ironia nera e di uno stile noncurante di essere politically correct. La graduale trasformazione da romanzo con una premessa del tutto normale - quella precisata all'inizio - verso un concentrato di storie al limite dell'assurdo è posto con naturalezza da Ammaniti, che non si sente in dovere di giudicare il suo viaggio.

E seppur sia da applaudire la sua noncuranza nei confronti di norme stilistiche canonizzate o ad una trama che debba necessariamente rispettare dei modelli già affrontati, non si può d'altra parte ignorare che Branchie è fondamentalmente un'opera estremamente vuota a livello contenutistico, che non propone - e non vuole proporre - nulla che colpisca il lettore a livello emotivo o che lo porti a riflettere su qualcosa.
Trattasi dunque di uno scritto senza pretese, che si fa trascinare dall'onda e si evolve in sé stesso risultando quasi un immenso flusso di coscienza riportato in un romanzo. E come tale deve essere affrontato.

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Branchie 2014-01-08 08:33:16 diogneto
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diogneto Opinione inserita da diogneto    08 Gennaio, 2014
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oniricaMente

Un inno all’onirico, alla danza sufi intorno ad un tema delicato come una malattia terminale, un getto d’inchiostro che arriva alla testa con tutta la sua freschezza e ti aspetti, da un momento al’altro, di svegliarti insieme a Marco Donati che, di questo sogno è il protagonista svogliato, ma vivo.

Il primo romanzo di Niccolo Ammaniti, Branchie [Einaudi 1997 ], è un piccolo capolavoro che mi ricorda, con le dovute proporzioni, The Dark Side of the moon dei Pink Floyd dove si mescolano tradizione, innovazione, sogni, realtà, viaggi sommersi per regalarti un mondo che non c’è ma, dentro il quale, ti ci trovi bene.

Marco è un ragazzo che sa di dover morire, un cancro ai polmoni gli mina la vita, e rinuncia ad ogni sorta di cura per lasciarsi morire… la prospettiva della costruzione del più grande acquario indiano gli aprirà la strada per una avventura folle ma che lascia, in bocca e nello stomaco, il sapore di verità che vengono perlopiù taciute come l’esasperata ricerca della gioventù e della bellezza eterna e il traffico di organi.

Non pensate di incontrare un romanzo che si fa leggere con la lacrima pronta a bagnarne le pagine perché Ammaniti usa l’ironia, il surreale e l’onirico per leggere le righe curve della vita di Marco lasciandovi il sorriso sulle labbra dimentichi della malattia e pronti a volergli bene per quel gran cazzone che è.

Nello “scritto” ci leggo anche la sfrontatezza di chi scrive per diletto, senza paura di dover piacere gettando quello che ha dentro come un fiume in piena che arriva alla foce. Non ci sono argini che lo delimitano solo la voglia di scrivere. Bene, bravo, sfrontato, esploratore, innovatore, colonizzatore di terre ancora inesplorate.

Quindi non so se vi piacerà Branchie ma penso che, nella vostra libreria, non possa mancare!

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il lupo della steppa
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Branchie 2012-01-20 16:05:35 isabella82
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isabella82 Opinione inserita da isabella82    20 Gennaio, 2012
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Gioventù cannibale, astenersi sensibili

Ecco un Ammaniti giovane, impreciso, logorroico, pedante, crudele e sadico, coinvolto in una narrazione escatologica, senza capo nè coda. Si tratta di un divertissement, più che di una riflessione ben precisa su un tema in particolare. Il destino di Marco, la sua fine fantascientifica non sono che una riprova di come all'autore non interessi comunicare qualcosa di reale, sensato. C'è piuttosto il desiderio di colpire, spaventare il lettore, suscitare una forma di repulsione. E certamente ci riesce, a discapito purtroppo del peso intrinseco dell'opera.

Ma possiamo perdonarglielo, si tratta sempre di un'opera prima.

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Che la festa cominci
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