Borgo Sud
Letteratura italiana
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La difficoltà di essere donne
Sono figure di donne ora aggressive, ora fragili, tenere e violente, disperate eppure fiduciose nel futuro, donne che riflettono il carattere aspro della terra che le ha generate, che ne conservano il fascino, che lottano per una sopravvivenza che non è solo fisica, quelle che popolano Borgo Sud, la zona marinara della città di Pescara. È qui che è ambientato il nuovo romanzo di Donatella Di Pietrantonio ed è in gran parte intorno ad Adriana, la sorella minore dell’arminuta, la cui storia la scrittrice ci ha così appassionatamente raccontato, che si concentra l’attenzione del lettore, che non può non rilevare le differenze caratteriali e culturali tra le due donne. Le esperienze dolorose dell’arminuta, il rapporto sofferto e mai risolto con la madre come con il resto della famiglia, sono filtrate dalla sua capacità di analisi, dalla attitudine allo studio che l’ha resa così diversa da Adriana e così pronta a soffrire in silenzio, a macerarsi in solitudine per le cocenti delusioni che sconvolgono la sua vita. Adriana è agli antipodi. Afferra e respinge l’amore con l’impeto e l’odio di chi fa le sue scelte col cuore e non con la ragione. È Adriana che scopre la tenerezza e la dolcezza del sentimento materno, nel momento in cui si trova tra le braccia il figlio Vincenzo, lei che era sempre stata in guerra con la madre, fino al punto di essere da lei maledetta e rinnegata.
La vita per queste donne è come una lunga linea nera interrotta solo da brevi e rari intervalli luminosi. L’amore per i loro uomini si trasforma nel tempo in un sentimento distorto e sofferto, incapace di recare pace e conforto. Esse sono prigioniere di se stesse e dei propri sogni, che si scontrano con una realtà difficile e ostile. Solo di fronte alla morte tutto si ridimensiona, come è naturale che sia.
Un romanzo profondo, che affronta tematiche difficili e dolorose, che ci descrive un mondo chiuso e limitato non ancora pronto ad accogliere gli aspetti positivi e negativi del progresso.
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Rapporti tra sorelle
Donatella Di Pietrantonio dopo il successo di L’Arminuta, torna con il seguito, intitolato: Borgo Sud, edito da Einaudi.
Borgo Sud è la periferia, è un povero borgo di periferia, un esempio però di fratellanza, di comunione, di cameratismo. Tutti sanno tutto di tutti, ma nessuno parla. E i modi per aiutare sono infiniti e vari. Il pescatore Raphael ci vive con Adriana e il bambino, ma lui è spesso via per mare, i debiti sono tanti, e gli usurai premono, le liti si sentono e sono vivaci. Fono ad una notte buia e nera dove Adriana fugge dalla sorella. Lei è la razionalità, la perfezione. Sposata con Piero, colta e precisa. Tuttavia qualche lieve crepa si intuisce, c’è, ma è un nulla, un pensiero vago. Adriana con il suo irrompere e la sua fuga mina un equilibrio millenario. Anni dopo, in una situazione totalmente differente, la narratrice di questa storia è costretta a venire a patti con questi fantasmi che ancora la feriscono e la sconvolgono. Un’altra volta Adriana è costretta ad andare a Borgo Sud. Cosa accadrà?
Un romanzo sulla famiglia, i figli, i rapporti tra consanguinei, una saga familiare da passare in rassegna:
“nell’ultimo periodo deve aver passato in rassegna i figli dispersi. Un appello silenzioso. Adriana scapestrata e introvabile. Sergio nel deserto a trovare il petrolio. Domenico trapiantato in campagna.”
Ma soprattutto è il rapporto tra sorelle ad essere scandagliato nel profondo, analizzato a fondo nelle sue più intime verità, anche dolorose. Infatti:
“Con mia sorella ho spartito una eredità di parole non dette, gesti omessi, cure negate. E rare, improvvise attenzioni. Siamo state figlie di nessuna madre. Siamo ancora, come sempre, due scappate di casa.”
Un romanzo intimo ed intimistico. Un serpente la cui spirale si avvolge su se stesso e travolge tutto. Scritto con una prosa elegante, raffinata pur minimalista, tagliente; il romanzo colpisce il lettore in profondità con sapienza letteraria e perfetta costruzione stilistica. Per chi ama immergersi nelle dinamiche familiari, nell’intimo esserci e sentire.
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legami imprescindibili
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"Da ragazzine eravamo inseparabili, poi avevamo imparato a perderci."
In "Borgo Sud" ritroviamo l'Arminuta e la sorella Adriana dopo parecchi anni. Sono due donne profondamente diverse per carattere, il legame tra loro è diventato più conflittuale ma rimane sempre molto forte.
Una chiamata dall'Italia costringe la protagonista a lasciare Grenoble, dove lavora, per far ritorno a Borgo Sud, il quartiere di pescatori dove Adriana vive.
Questo porterà l'Arminuta a rivivere i ricordi di una vita, gli amori e gli abbandoni che la accomunano alla sorella.
"C'era qualcosa in me che chiamava gli abbandoni."
Ho trovato lo stile essenziale e scorrevole come nel primo libro, mi è piaciuto molto il tipo di scrittura malinconica ma nello stesso tempo con un effetto "calmante" nonostante parli di sofferenze e dolori.
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Partite e ritornate
Questo romanzo è un sequel, per la precisione è il seguito del fortunato: “L’arminuta”, che ha portato successo e notorietà piena, e direi ben meritati, alla sua autrice Donatella di Pietrantonio.
Come capita per tutti i sequel, il racconto successivo non riesce mai bene come quello che lo ha preceduto, non perché non meriti, non è questo il caso, “Borgo sud” è parimenti incisivo come l’”Arminuta”, ma apparentemente non soddisfa completamente il lettore.
E se è vero, come è vero, è per motivi diversi, non per differente qualità.
Perché stavolta la storia è diversa, ed il lettore inconsciamente vuole il “già visto”.
Ed a torto; questa è una buona storia, forse d’impatto emotivo minore, sorprende di meno, ma è un racconto più tosto, più maturo, articolato, con una attenta rifinitura nei particolari, dettata dalla precedente esperienza di scrittura, già essenziale di per sé, asciutta e concisa, che qui vede con maggiore enfasi una mano che lima, toglie, carteggia con foglio abrasivo a grana fine, infine restituisce un elaborato tanto avvincente quanto sintetico.
È la scrittura in sé il valore aggiunto, è il come è scritto che rende proprio per questo ancora più bello e struggente un racconto che lo è già di suo, per trama ed intenzioni.
“Borgo Sud” non ha per protagonista stavolta chi parte e ritorna, ma il posto; l’arminuta qui fa i conti non con chi l’ha ceduta e da chi poi è ritornata, ma con il luogo, l’origine, non la culla, ma la terra, la terra vera, con i suoi solchi, le sue zolle, , le sue radici profonde, la sua roccia.
Stavolta la Di Pietrantonio non ci parla del rapporto tra genitori e figli, propri o acquisiti.
Non accenna ad una figura senza nome indicata solo come un ritorno, una ritornata, una restituita soddisfatta e rimborsata, sballottata da una famiglia all’altra, da una vita ad un’altra, radicalmente diverse l’uno dall’altra.
Ci parla invece di un altro rapporto, che prepotentemente “ritorna” nella vita della protagonista, quello tra fratelli, o meglio tra sorelle.
“…Abbiamo litigato a parole aspre, ma anche come bambine, a spinte e strattoni. Adriana sapeva riportarmi indietro, a tutto quello che avevo voluto lasciare...”
Una storia della stessa durezza e magnificenza, letteralmente permeata, avente la stessa scorza della terra d’Abbruzzo, il luogo vero protagonista, il personaggio principe ed ambivalente, reso a perfezione nei suoi due aspetti precipui.
Un modo di essere da borgo, come da titolo che rimanda ad un quartiere periferico di Pescara, che però contiene sia una ruspante scontrosità d’essere tipica di un microcosmo, sia allo stesso tempo la drammaticità delle più grandi e moderne città, discordanti, prosperose ma aride d’affetti ad un tempo.
Questo doppio, questa ambivalenza, questo uno di fronte all’altro senza interferenze, direttamente, sempre e comunque nel bene e nel male, permea atmosfere, dialoghi, modalità d’essere e di mostrarsi, si conserva anche in luoghi lontani da questa terra, comunque ambedue i libri riguardano un rapporto binario, madre/figlia nel primo racconto, e sorella/sorella in questo più recente.
Nel primo romanzo la protagonista era una “ritornata”, vale a dire una bimba, e poi ragazza, partita, o meglio ceduta da una famiglia povera ad una coppia benestante ma sterile, e poi ritornata coattivamente all’origine, con tutto quanto di sconcertante e di doloroso che ne deriva, sia dal trauma del doppio abbandono, prima e dopo, sia dall’incontro/confronto/scontro tra le due mamme, le due diverse famiglie, differenti condizioni non solo economiche ma anche logistiche con la quale colei che ritorna deve confrontarsi.
In “Borgo sud” questo dualismo del racconto globale si estrinseca in due luoghi diversi e lontanissimi tra loro, Grenoble e Pescara, l’università tempio della cultura e del pensiero civile e positivo ed il quartiere dei pescatori, talora disperato e disperante, rozzo ed aspro, stili di vita diversissimi ma ognuno a suo modo estrinseca una propria crudeltà d’essere.
Perché questo è un romanzo breve, ma è un racconto cattivo, è una storia di durezza e di meschinerie, che il linguaggio altrettanto rude quanto leale rende al meglio, è al tempo stesso l’apoteosi dell’amore della famiglia, della sua importanza, della sua essenzialità per il corretto crescere ed evolversi dell’affettività di ciascuno, quando è pieno, maturo, costruttivo, mancando il quale, e con quelle caratteristiche per quanto forti e marcate, tutto si riduce a giri a vuoto su sé stessi invece che a proficui ritorni, poiché un ritorno infine altro non è che un nuovo inizio, una nuova partenza, più spesso felice.
L’amore valorizza il borgo, qualunque borgo; l’amore della famiglia allora è il borgo natale, quello che rincuora, e restituisce vigore.
I vincoli di sangue, di terra, di appartenenza, in una parola sola, i vincoli di famiglia, sono l’unico amore fatto di tenerezza e antipatie, di premure e rigidità, di affetto e rigore, di delicatezza e scontri cruenti, che sono i primi, e perciò quelli che ti segnano da subito, in particolare, per sempre.
Speciale tra tutti, sono i legami tra sorelle: insieme, quando unite, diventano quasi invincibili, dormono insieme, si confidano, rilevano incongruenze e discrepanze che l’altra non vede o non riesce a vedere nella propria vita, anche in quella del proprio partner, ognuna di lei a tempo debito, quasi a turno, si prende cura dell’altra, corre dall’altra e dall’altra ritorna per lenirle le ferite, che spesso, se non sempre, coincidono, lasciando cicatrici uguali. Sperando di non arrivare tardi, perché:
“Il ricordo è una forma di recriminazione. È il perdono che non trovo.”.
Credo che alla maggioranza dei lettori, forse anche della critica, infine, resterà maggiormente impresso l’”Arminuta”, non me ne meraviglierei, e forse con ragione.
Tuttavia “Borgo Sud” splende di luce propria, ed è una buona luce, solo che più che faro o fascio diretto, è una luce di chiaroscuri, con un proprio fascino, crea una bell’atmosfera diffusa, ma certamente è diversa. Come è diversa ogni famiglia: è composta da persone, ognuna a suo modo, ma legati tenacemente tra loro da qualcosa d’altro oltre lo stesso borgo natio.
Specialmente in Abruzzo.
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Forzature
In realtà, ho letto prima questo libro e poi “L’Arminuta”, che ho trovato decisamente migliore, pur se drammatico, ma comunque mi è sembrato più realistico, mentre “Borgo sud”, in generale mi ha lasciata perplessa. L’ho letto più di una settimana fa e posso ben dire che nel complesso mi è sembrata una storia un po’ “forzata”.
La conoscenza del libro precedente non inficia la comprensione di “Borgo sud”: anche in questa vicenda, la protagonista non ha nome, non è chiamata neppure “arminuta”, cioè la ritornata, poichè cresciuta, ormai affermata docente universitaria, e nei luoghi in cui è nata ci torna davvero poco, in quanto si sposta tra Pescara città e la Francia.
In effetti posso dire di non aver trovato le stesse sorelle: il rapporto della protagonista con la sorella Adriana qui è a volte più conflittuale, la vita ha fatto prendere loro strade diverse che le ha allontanate. L’io narrante se ne rende conto ben presto: è la comunità dei pescatori la vera famiglia di sua sorella, che si rivolge a lei solo perché in difficoltà, ragazza-madre innamorata di un uomo che non la merita, implicato in strani traffici.
Adriana incolta, rozza, e lei, la protagonista, che è stata sempre più fortunata, avendo conosciuto l’agiatezza, adottata da un’altra famiglia, imparentata con i suoi genitori biologici. Entrambi però accomunate dal destino di dolore: una famiglia biologica che le disprezza, uomini che non le amano abbastanza. Ho trovato qualche passaggio disturbante, ha urtato la mia sensibilità, ma ho apprezzato lo stesso la scrittura della Dipietrantonio, secca, asciutta, anche se nel complesso, come si può capire dal tono del mio commento, non mi ha esaltata.
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Sicuramente ci saranno lettori che apprezzeranno il romanzo
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L'Arminuta è cresciuta
"L'Arminuta è diventata grande"...così cita la pubblicità di questo romanzo.
E tu, che L'Arminuta l'hai amata visceralmente, ti chiedi se sarà possibile ritrovare le stesse vibrazioni, lo stesso magone nella pancia, la stessa commozione...
Mi sono avvicinata al libro con emozione e timore, voglia di rincontrarla e paura di non riconoscerla.
La punta delle dita in fibrillazione e gli occhi ansiosi... e già questo basterebbe in realtà.
Poi inizi a leggere e tutte le preoccupazioni vengono spazzate via...
Lei c'è, la ragazzina "restituita" è diventata una donna realizzata, ma ancora alle prese con gli abbandoni, c'è sua sorella Adriana con il suo carico di vitalità e irrequietezza, c'è l'Abruzzo con il suo entroterra aspro (anche nei sentimenti) e con il suo mare, il pesce appena pescato, la comunità che si fa famiglia.
C'è ancora la maternità e ciò che resta di un'infanzia trascorsa nel disamore, nell'anaffettività.
Ci sono le crepe lasciate aperte da queste mancanze, vuoti da colmare con l'amore e che, nonostante tutte le difficoltà, lasciano sempre passare la luce.
C'è il matrimonio e la ricerca "necessaria" della propria identità, anche a costo della felicità dell'altro.
C'è il passato che torna, torna sempre...
Sopra ogni cosa c'è il rapporto tra due sorelle, due anime profondamente diverse, inizialmente estranee eppure indivisibili.
Il disagio trasformato in affetto diventa il più forte dei sentimenti.
"Con mia sorella ho spartito un'eredità di parole non dette, gesti omessi, cure negate. E rare, improvvise attenzioni.
Siamo state figlie di nessuna madre.
Siamo ancora, come sempre, due scappate di casa.
[...]
Per ognuna di noi restava la certezza dell'altra al fondo del dolore che non ci siamo mai confessate."
Nella scrittura della Di Pietrantonio c'è questa dolcezza, questa calma di fondo che si amalgama al dolore, alla durezza della vita, dando origine così a pagine meravigliosamente ruvide, capaci di farti male, ma con grazia.
Ti senti cullata da una melodia triste, come una ninna nanna che ti fa addormentare mentre piangi.
Quello che provi è un dolore composto, senza eccessi, dove ogni parola è esattamente dove dovrebbe essere.
Qui ogni parola è preziosa, lucente come un diamante, e proprio come un diamante... taglia.
Da non perdere.
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L’origine del cuore
Due sorelle e la loro storia, microcosmo di affinità e lontananza, fisica e caratteriale, condivisione affettiva in un paese, Borgo Sud, arroccato sulle colline, terra forte e gentile, immerse nella durezza del dialetto abruzzese.
Un legame di sangue spezzato da una diversità acclarata, vite devianti e caratteri opposti, visioni estreme, la stessa difficoltà d’ amare.
Adriana è vivace, pericolosa, imprudente, girovaga, da sempre la sorella ha avuto paura di lei provando un forte disagio nel cuore del loro legame di parentela, una giovane donna che sa come ricondurla all’ origine.
La protagonista ha contrabbandato una falsa normalità, due orfane simboliche di genitori indifferenti e in parte sconosciuti, abbandonate al mondo, a loro stesse, semplicemente sorelle, e ciascuna ... “ restava nella certezza dell’altra al fondo del dolore che non si sono mai confessate”....
Il viaggio temporale di questa insegnante universitaria emigrata in Francia riabbraccia nel presente e nel ritorno al borgo natio momenti di vita vissuta, un precoce legame matrimoniale ( con Piero ) precocemente spezzato da plurimi tradimenti a lungo negati, una madre imprevedibile come il suo affetto, un padre egoista e ottuso a cui tutto è dovuto, e Adriana, incontenibile nell’ esercizio della sua libertà, anche se la memoria può giocare brutti scherzi.
Il ritorno, richiamata da un evento tragico e indecifrabile, riabbraccia il sospeso lasciando il costruito, la propria carriera, quel mondo a parte costituito da un libro aperto sulle poesie che ama, un seminario da preparare, un ordine stabilito e tornando a Borgo Sud riemerge una vita che sembra più vera, scandalosa, pulsante tra chiacchere che volano di bocca in bocca.
Sopravvive un legame dicotomico, d’altronde Adriana è sempre stata così, una che cambia umore da un momento all’ altro mentre Il pensiero va all’ex marito, all’ impossibilità’ di vivere un futuro diverso dal suo, forse neanche oggi, uno stato ... “ di inquietudine che tollera la distanza voluta “... Questo è il suo segreto, la sua devozione, l’ essere stata fedele a un uomo che non avrebbe mai potuto amarla.
Quanta memoria rivive, quel giorno in cui Adriana si affacciò con un figlio sulla porta di casa, frutto di un legame turbolento con un uomo violento, alcolizzato, senza presente e futuro.
Quante situazioni, pensieri, luoghi, a cominciare da una madre che si è ritirata piano piano nell’ indifferenza terminale, morta di cancro ma di molto altro, sopraffatta dalla vita, dalla sua inutilità, con i figli distanti.
Il ricordo ...” è una forma di recriminazione, è il perdono che non trovo “...
Le due sorelle sono e saranno sempre due scappate di casa, figlie di nessuna madre, ognuna con la certezza dell’altra al fondo di quel dolore che non si sono mai confessate, nel presente sopravvive una maledizione da cancellare, retaggio di un passato vergognoso e c’è un figlio, Vincenzo, cresciuto tra i cocci di un matrimonio confessato tardivamente e che ne porta gli esiti dentro.
Rimane un legame forte indifferente a se’ stesso, una preghiera per il futuro, un’ aria stanca dopo il pericolo scongiurato, il desiderio e la consapevolezza di un lento ritorno alla propria vita.
E allora ...” so cosa chiedere, non a chi. È limpido e deserto il cielo di novembre. Solo le leggi eterne che governano il moto delle stelle e i cicli delle stagioni sulla terra porteranno la fortuna per Vincenzo, forse un po’ di pace a mia sorella. È questa l’ unica preghiera “...
Un romanzo che riserva una certa asciuttezza espositiva e scava nell’origine abbandonata di un passato tuttora pulsante, una scrittura vivida rivolta alla propria terra, una storia al femminile che declina in una riflessione psico-relazionale sul senso del proprio cammino.
Certi legami sopravvivono, altri si spezzano nell’indifferenza o nella necessità dolorosa della quotidianità e di un futuro diversi.
L’ incedere del racconto abbraccia sensazioni di una vita intera, gioie, dolori, la struggente bellezza e la turbolenza di un rapporto diverso e complementare nella tragicommedia affettiva del proprio lascito famigliare.
Il dolore è un sentimento difficile da affrontare, a tratti traspare e si sente, la fragilità anche, ma l’insieme non genera un’ armoniosa presenza, con l’ impressione di un percorso balbettante e stereotipato tra intervalli di buona letteratura.
Il seguito de “ L’ arminuta “ ( 2017 ) non sembra possederne impatto, forza e profondità, bensì un’ immagine piuttosto sbiadita di se’.
Alla fine, malinconicamente, emergono l’ accettazione di un reale acclarato, la speranza e la consapevolezza di un futuro possibile, una preghiera poco consolatoria, prima di riprendere il cammino quotidiano, con un certo distacco, senza fretta, in luoghi che sembrano mancare....