Anonimo veneziano
Letteratura italiana
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Love story veneziana
Anonimo Veneziano è una musica, una sceneggiatura in due atti (alla quale il presente commento si riferisce) poi divenuta romanzo di Giuseppe Berto, un film interpretato da Florinda Bolkan e Tony Musante all’epoca di “Love story”.
La sceneggiatura è essenziale, i due protagonisti non hanno nome, sono qualificati da pronomi: Lui e Lei. Nell’atto primo ripercorrono una Venezia sfocata nella nebbia, ma tanto vivida quanto minacciata dalla morte per dissolvenza (“Nel silenzio, si ha l’impressione di sentire che affonda”). L’atto secondo si svolge in una casa adattata a sala prove.
LUI è un artista (“oboista alla Fenice”) intemperante e sconclusionato (“Sono un cialtrone”), ha rinunciato ai sogni di successo: per inconcludenza e per disordine progettuale (“Ti ricordi quando sognavo di diventare un grande direttore d’orchestra?”). Nei primi momenti dell’incontro LUI si propone con la consueta maschera (“Lui… sempre con lo stesso tono ironico e aggressivo, ma in sostanza cercando dolorosamente un contatto che lei rifiuta”).
LEI è una donna ferita nel sentimento, ha scelto di allontanarsi con il figlio Giorgio e si è rifugiata a Milano tra le braccia di un uomo facoltoso.
“Perché mi hai telefonato di venire? Dopo otto anni”
La domanda insinua un dubbio terribile, in un’epoca – il 1971 - in cui il divorzio non è contemplato dal sistema giuridico: “Voglio tenermi Giorgio perché tu non hai nessun diritto su di lui” è soltanto una provocazione. L’ennesima.
La tentazione della donna è quella di ripartire subito con il primo treno per Milano, ma le corse sfilano via, una dopo l’altra, senza di lei: via con i fotogrammi lagunari che nell’atto primo vengono proiettati sulla scena.
“Se non è per Giorgio, perché m’hai fatta venire a Venezia?”
La risposta è definitiva, immutabile, melodrammatica. Di fronte alla morte si può gridare che l’amore è ancora vivo e travolgente, ma può finire anche senza una ragione: per una maledizione strutturale (“Il nostro amore è stato una lunga lotta per la sopraffazione”), per semplice incompatibilità con la linearità dei comportamenti, per vocazione distruttiva.
Resta un’idea disperata di continuità (“Ma questo concerto per oboe che sto facendo deve venir bene”), l’ultima, insieme al desiderio di ribadire i principi misteriosi dell’esistenza (“Le cose troppo grandi non sono di questo mondo”).
L’opera celebra lo strenuo desiderio di sopravvivere grazie a un sortilegio artistico: si chiami musica, atmosfera unica di una città serenissima nello sprofondare, o potenza tragica dell’amore…
Bruno Elpis
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Lei, lui e la Piu' Bella
Nell'aria greve di nebbia novembrina, umida e fitta ma incapace di intaccare lo splendore della Piu' Bella, il rapido delle ore dodici sbuffa rallentando al binario quattro di Venezia.
Scende lei, elegante in quella mise che non attira l'attenzione, studiata per mediare fascino e ricchezza in nome di prudenza che soffoca ostentazione.
Lui la sta aspettando, una manciata di anni in piu' e quell'indole geniale incompresa ed ovattata.
Erano marito e moglie un tempo, lo sono ancora , chissa' per quanto tempo lo saranno se una promessa d'amore persiste in chi sopravvive, al di là della vita, al di là della morte.
Pubblicato nel 1971 come dialogo diretto così come era stato concepito per il medesimo film, esso attiro' su Giuseppe Berto una serie di critiche e una scarsa attenzione del mercato. In seconda riedizione, l'autore ripropose il testo amalgamandolo alle didascalie, in modo da creare un piccolo romanzo. Direi che la rielaborazione si avverte, l'effetto narrativo e' sufficientemente piacevole ma quegli inserti tra i dialoghi hanno un tintinnio metallico, macchinoso.
Se l'approccio d'inizio non e' fenomenale e le prime pagine rasentano la banalita' ritrita ( ma magari allora non lo era) , con lo scorrere il racconto acquisisce approfondimento psicologico e tragicita' che volumizzano la trama, la rendono piu' spessa ed emozionale.
Signora d'eccezione ovunque, non sono molte le righe dedicate a Venezia , vista anche la brevita' del testo. Eppure le poche descrizioni sono vivide, intense, scenografiche e sensoriali, con Anonimo Veneziano Berto riesce a rievocare la presenza della Piu' Bella Del Mondo anche solo con un accenno. Venezia c'e'anche durante i silenzi : magnifica, unica, magica, preziosa.
Da leggere in un giorno cupo, intriso di quella stessa nebbia che si fa pioggia e pioggia che si fa mare e mare che lucida i marmi e i lastricati di Venezia, che della decadenza ne fa vezzo.
Anonimo Veneziano, in Re Minore per oboe ed archi rende giustizia alla grandezza della citta' sirena, mezza palazzi e mezza mare,mentre un artista sconfitto suona l'ultimo concerto. Nota dopo nota, la morte di un uomo solo, di una citta' che non puo' essere immortale, di particelle di uomini anonimi che insieme vestono l'anima meravigliosa di Venezia stessa.
Buona lettura.
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Anonimo veneziano
Cos’è “Anonimo veneziano”? Per la maggior parte delle persone un gran bel film, una colonna sonora famosissima: in realtà è un piccolo capolavoro della letteratura italiana lasciatoci da un grande scrittore come Giuseppe Berto.
“Anonimo veneziano” deve il suo titolo all’Adagio del Concerto per Oboe in re minore di Alessandro Marcello; la musica ha un ruolo importante in questo romanzo innanzi tutto perché i protagonisti sono musicisti poi perché diventa la colonna sonora di un amore ma anche il riscatto, l’ultimo dono di una vita forse sbagliata.
Lui aspetta lei alla stazione, si rivedono dopo più di otto anni, tutti e due sulla difensiva, a farsi del male, a scoprire di amarsi ancora di quel loro amore possessivo, unico….l’incontro, il rivedersi, dura il tempo di una giornata, scandito dall’orario dei rapidi che da Venezia vanno verso Milano e che lei ogni volta manca di prendere fino all’ultimo, quello delle 21.18, quello che ha promesso a lui che prenderà senza storie perché a lui le storie non piacciono.
Venezia è la coprotagonista di questo romanzo, con la sua decadenza, le sue piazze, le fondamenta, la marea, la nebbia che piano piano avvolge tutto e le rende i capelli pesanti (poveri capelli tuoi, sono diventati spinaci) il suo odore di morte: l’autore stesso nella breve prefazione ci spiega il ruolo cardine di Venezia “…e per stabilire tra il protagonista che sta morendo e la sua città che sta morendo insieme a lui, un più pietoso legame”. Già, lui sta morendo, ha pochi giorni di vita ed è la sua “paura della paura” ma anche la voglia di trovare il coraggio di morire che lo spinge a cercarla dopo tanto tempo, la volontà di affrontare gli ultimi giorni con l’immagine di lei negli occhi, nella mente, nei ricordi.
“Anonimo veneziano” è nato come sceneggiatura nel 1967, pubblicato nel 1971 sotto forma di testo a dialoghi e poi nel 1975 rieditato sotto forma di vero e proprio romanzo con l’aggiunta di una prefazione dell’autore nella quale Berto ci fa sapere “..che in vita mia non avevo mai lavorato tanto per scrivere tanto poco…” talmente tanto ha dato e aggiunto ai suoi personaggi e alla storia stessa.
Questo è uno splendido romanzo d’amore, potrebbe tranquillamente essere stato scritto almeno un secolo prima in pieno ‘800, per l’ambientazione, i dialoghi, i sentimenti portati all’eccesso e invece è moderno, estremamente moderno ed attuale come lo sono sempre i sentimenti d’amore o di dolore che siano.
Giuseppe Berto inserisce nel racconto tre omaggi: il primo all’Ecclesiaste nel quale il protagonista trova le risposte a qualsiasi accadimento della vita (E nessuno può niente - sul giorno della morte); il secondo ad un film cult degli anni ‘70 “Metti una sera a cena”; il terzo ad un altro capolavoro come “Morte a Venezia” al quale dedica un brano del dialogo fra i due (Quando sei fottuto, l’unica cosa che può consolarti è che insieme a te siano fottuti anche gli altri).
E’ difficilissimo rendere lo struggimento che ci avvolge e pervade mentre si legge questa storia d’amore e morte ma è molto arduo anche spiegare a parole la poesia dei periodi in sé, delle descrizioni, la scelta delle parole, il piacere che si prova leggendo un italiano come questo.
La frase più bella, che ha per me un profondo significato la pronuncia lei quando apprende della malattia di lui “Vorrei che fossi già morto”…. poi leggendo di Venezia, del Concerto che lui sta finendo di incidere ho pensato che la vera ingiustizia, la vera tristezza è che purtroppo le cose così come le città ci sopravvivono, nonostante noi.