Accendimi
Letteratura italiana
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L'amore e la radio
Se volessi riassumere in poche parole l’essenza del nuovo romanzo di Marco Presta, mi verrebbero alla mente dei sostantivi: leggerezza, fantasia, surrealismo e amore.
Eppure, tutte queste parole, pur se corrette, risulterebbero inefficaci a incasellare dentro un preciso contesto, Accendimi. Un romanzo che è un inno all’amore (per la radio) e alla fantasia.
Perché la letteratura che è “tutto il contrario della scienza” non è intrattenimento irrazionale, ma un potente strumento per parlare della realtà con altri mezzi. Basti pensare a cosa perderemmo se Poe non avesse scritto i suoi racconti fantastici, che cosa sarebbe il mondo senza Kafka, come potremmo vivere senza i poco razionali viaggi in ippogrifo di Ariosto, senza la magia del Prospero di Shakespeare, dei viaggi di Alice; e non dimentichiamolo, del Pinocchio di Collodi.
Il fantastico ha le sue radici nei miti dell’antichità, si è sviluppato nei grandi poemi epici e ha continuato ad avere ampio spazio nel racconto e nelle fiabe popolari, per arrivare poi a maturazione col romanzo gotico e il romanticismo tedesco. E’ dunque quasi connaturato con la produzione narrativa e non è solo un modello letterario legittimo, ma vorrei dire quasi necessario.
Senza il fantastico la letteratura sarebbe soltanto realistica, e questo vorrebbe dire una drammatica rinuncia a immaginare, a confrontarci con universi diversi dal nostro, a sforzarci di trovare una logica anche dove apparentemente non c’è. Anche se si trattasse soltanto di un gioco, Calvino sosteneva che il gioco è il grande motore della cultura.
E di gioco e fantasia, il noto conduttore radiofonico della trasmissione Il ruggito del coniglio, sembra averne tanta visto che è riuscito a imbastire una storia verosimile permeata da un contesto tutt’altro che razionale.
La protagonista è una donna media, dalla vita media, tutt’altro che felice, anzi assai disperata.
Caterina, ecco il suo nome, è una pasticcera quarantenne con un fidanzato Gianfranco, vice-commissario (il vice la dice lunga) mediocre come un sufflè senza lievito, un lavoro appagante e un fratello scombinato, Vittorio, dotato dell’insano vizio di cacciarsi sempre nei guai. Gestisce con oculata precisione la pasticceria di famiglia con l’aiuto di due commesse: una cinese, Shu, incapace di parlare italiano e una molisana di sani principi, Carla, aitante quanto impulsiva. Si consola con un amore: ascoltare la radio mentre cucina a casa o prepara torte e bignè in pasticceria, su un “catorcio” degli anni Sessanta.
Ha due amiche, Susanna, una sorta di vamp bionda, accalappia-uomini (meglio se di buon partito) che le consiglia sempre di guardare al meglio (a Ernesto, il tabaccaio dirimpettaio che nutre per Caterina, qualcosa di più di una semplice amicizia) e Stefania, introversa e incapace di trovare una ragione all’apatia della figlia adolescente Giulia, isolata da ogni contesto sociale.
Fin qui ordinaria vita quotidiana
L’arrivo del fratello Vittorio scuote il torpore esistenziale, la monotonia di torte mimose e sacher pazientemente composte nel laboratorio. Vittorio è quindi il pretesto per rompere quel fragile quanto precario equilibrio sugli specchi di un’esistenza a cui Caterina stava tentando con fatica di aggrapparsi per non scivolare.
Forse solo la radio la salverà da un baratro, alleggerendo quella tensione emotiva, una radio però un po’ strana, una radio che sembra conoscerla. Una radio che le parla!
Allucinazioni uditive? Un sogno? Solo immaginazione? Marco Presta gioca molto molto bene con questa suggestione.
Dall’iniziale scetticismo, Caterina si rende ben presto conto quella voce ben distinta, che si rivolge a lei, la apprezza, la ammira, la ama. Non si sa da dove venga quella voce, Antonio, è un suono che viene da un’altra dimensione, un non ruolo e non tempo, che lentamente si insinua nella vita della pasticcera, illuminandola, in qualche modo accendendola e dandole nuova speranza, nuovi battiti.
Ecco quindi che nell’assurdo in cui le parole vengono alla luce, Caterina lentamente dall’iniziale sgomento, prova via via che accende “quel catorcio” qualcosa di diverso: il sottile dubbio di uno scherzo svanisce quando la radio si rende partecipe sempre più della sua vita, consigliandola, incoraggiandola, rafforzandola, unendo un legame, una passione commutandola in qualcosa di diverso.
Amore? Sì, qualcosa di simile che pagina dopo pagina si manifesta nell’aria eterea attraverso la voce sensibile di Antonio che rompe ogni armonia, salvando l’innocente e soprattutto gentile Caterina dal mondo marcio che la circonda, sordido e meschino (non si può non provare antipatia per Gianfranco o per il mellifluo tabaccaio) con personaggi assai ingenuotti come Vittorio, che chiederà alla sorella, qualcosa a lei molto prezioso per ripagare il debito di una truffa
Vive di voci questo romanzo di Presta, voci d’amore, di rabbia, di aiuto.
Voci di speranza in una nuova vita, senza la retorica della crema pasticcera.
Presta mescola bene gli ingredienti dell’umore umano, proprio come dovesse preparare una torta da vero pasticcere. Crea il sostrato, la base con una serie di personaggi accattivanti e ben caratterizzati psicologicamente, si concentra sul cuore della creazione, Caterina, spruzza sulla cima l’amore etereo dell’inconsistenza aggiungendo quel valore aggiunto che mal non fa.
E quel valore si chiama amore tra un corpo e uno spirito. Ovvero amore e passione verso la radio supporto amico, compagno, baluardo d’amore in mezzo a un disamore che appassisce tra la naturale incomprensione e lo stupore dei suoi protagonisti, e dove una nuova passione si accende nella, o forse con la radio.
Capace di scaldare il cuore con la semplice lettura, omaggiando una professione difficile come quella del conduttore radiofonico innamorato del magico mezzo di comunicazione per il quale lavora e vive, Accendimi è un inno all’amore per la radio, a un potente mezzo che ovunque ci troviamo, in qualunque dimensione possibile, ci sbatte in faccia emozioni.
Chissà se anche noi un giorno non sentissimo una voce parlarci e rivolgerci attenzioni in maniera più intima che dei nostri amici “in carne e ossa”, cosa faremmo?
Chiameremmo il più vicino manicomio ne sono sicuro. E la favola finirebbe subito.