1934 di Alberto Moravia
Letteratura italiana
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Leggere troppo fa male
Sarà che sono di parte e che spero sempre che Moravia la pensi come me, ma in questo romanzo lo scrittore ha fornito un altro grandissimo esempio di degenerazione intellettuale. Gli uomini di Moravia sono spesso giovani uomini soli, colti, che svolgono un mestiere di testa, che possiedono un grande potenziale intellettivo di cui finiscono per abusare fino a cacciarsi nei guai. Lucio, fra i suoi personaggi, è di certo il più malato: è convinto che la condizione normale dell'uomo sia la disperazione e, non solo, è ulteriormente convinto che dovrebbe essere così sempre e per tutti. Per questo decide che, per non arrivare ad ammazzarsi, è il caso che la si rende equlibrata e stabile e allora parte per Capri. Però incontra Beate, una tedesca romantica con manie suicide, che gli insegnerà molto o, per lo meno, Moravia farà in modo che insegni molto a noi: la giovane tedesca è convinta di essere come Kleist, uno scrittore romantico che ha fatto una brutta fine con la sua amante, e cerca disperatamente un uomo che sia disposto a fare il suicidio a due con lei. Presa dalla monomania, Beate si ritroverà disumanizzata: decisa a far rivivere in sé il fantasma dello scrittore, vivrà e morirà esattamente come lui, tradendo e rinunciando alla propria individualità per una causa superiore, che si rivelerà misera e che risulterà essere nient'altro che una psicopatica e totale indentificazione in un personaggio che la divorerà fino alla fine e le persone amate con lei.
Nel romanzo si respira una costante aria di malessere, irrespirabile nella prima metà del libro, accelererà i battiti verso la fine. Ci ho però ritrovato un sentimento che nelle opere moraviane sa di nuovo: la suspance.