Vi avverto che vivo per l'ultima volta
Letteratura italiana
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Splendido e doloroso
Non possiamo definirlo un vero e proprio romanzo, non possiamo considerarlo una biografia a tutti gli effetti, non è certamente ciò che si può chiamare saggio. Che cos'è allora questo libro di Paolo Nori? Forse la vera domanda da porre, però, è questa: dobbiamo necessariamente trovare una definizione per questa bellissima opera? Perché racchiudere in un unico sostantivo pagine che parlano di amore per la poesia, per la letteratura, per la cultura in generale? Pagine che parlano di storia e di attualità, che alternano il racconto della vita straordinaria di una donna e artista altrettanto straordinaria al racconto della vita e delle esperienze dello stesso autore. Pagine che trasudano un'infatuazione viscerale per una terra, una cultura, una lingua meravigliosa come quella russa, e che spiegano come questa passione si scontri con tutto ciò che, nell'opinione pubblica, nella politica, nella vita di tutti i giorni, essa comporta da quando è scoppiata la guerra tutt'ora in corso tra Russia e Ucraina. La protagonista è una figura affascinante come quella di Anna Achmatova.
"Prima di primavera c’è dei giorni
Che alita già sotto la neve il prato,
Che sussurrano i rami disadorni,
E c’è un vento tenero ed alato.
Il tuo corpo si muove senza pena,
La tua casa non ti par più quella,
Tu ricanti una vecchia cantilena,
E ti sembra ancora tanto bella."
Anna non era bellissima, era meglio, anche in mezzo a donne stupende la sua figura spiccava tra le altre per espressività, spiritualità, magnetismo. Anna non era una semplice poetessa (o poeta come preferiva essere definita), era uno dei più grandi poeti di tutti i tempi. La vita di Anna merita di essere raccontata non soltanto per la sua grandezza come artista, ma perché sarebbe stata una vita memorabile anche, come dice Nori, "se avesse fatto l'ingegnere navale". La giovane fa capire subito di che pasta è fatta quando decide di cambiare cognome (è nata Gorenko) sfidando il padre che le aveva proibito di mischiare il proprio con attività dubbie e discutibili come la poesia, definendole "faccende disonorevoli". Uno spirito battagliero, indipendente, orgoglioso, che si porterà dietro per tutta la vita e che la aiuterà ad affrontare un'esistenza da artista invisa al regime nell'Unione Sovietica guidata da Stalin. L'espulsione dell'Unione degli scrittori, l'isolamento, la privazione della tessera alimentare, le critiche dei colleghi, la riabilitazione, la ricaduta, la censura. Per poter continuare la sua arte, racconta l'amica Lidija ?ukovskaja "quando veniva a trovarmi, mi recitava versi di Requiem in un sussurro, ma a casa sua, alla casa sulla Fontanka, non si risolveva neppure a sussurrare; d’un tratto, nel bel mezzo del discorso, si interrompeva e, indicandomi con gli occhi il soffitto e le pareti, prendeva un pezzetto di carta e una matita; poi diceva ad alta voce qualcosa di molto frivolo: “Volete del tè?”, oppure: “Come siete abbronzata!”, scriveva velocemente fino a riempire il foglietto e me lo porgeva. Io leggevo i versi e, quando li avevo impressi nella memoria, glieli restituivo in silenzio. “L’autunno è venuto così presto” diceva Anna Andreevna ad alta voce e, acceso un fiammifero, bruciava il foglietto in un posacenere. Era un rito: le mani, il fiammifero, il posacenere – un rito splendido e doloroso". Anche la sua vita privata è stata movimentata e ricca di tormenti, tra relazioni travagliate, separazioni, tradimenti, un marito (il poeta Nikolaj Gumilëv) prima arrestato, poi fucilato, un figlio, Lev, con cui non è mai stata in grado di entrare in empatia, per il quale ha dovuto soffrire le pene della detenzione e le paure della guerra. E poi amicizie importanti e prestigiose, come quella con Modigliani (in realtà ben più di un'amicizia) o con l'immenso Bulgakov, per la cui morte ha scritto questi struggenti versi:
"Ecco, invece di rose sulla tomba,
Invece di turiboli d’incenso, io do questo, a te
Che hai vissuto in un modo così serio,
E che hai guardato il mondo, fino in fondo,
con un
Magnifico disprezzo.
Bevevi, sapevi scherzare solo tu,come
scherzavi tu,
E soffocavi, tra pareti soffocanti,
E hai lasciato entrare l’ospite terribile,
E sei rimasto lì, con lei, a guardarla in faccia.
E non ci sei più,
E nessuno intorno dice niente,
Di questa vita orribile e meravigliosa.
Che la mia voce, almeno, come un flauto,
Suoni al tuo muto banchetto funebre."
C'è tutto ciò in questo libro, ma c'è anche molto di più. C'è un autore che, parlando di Anna Achmatova, parla anche di se stesso, della scintilla che ha acceso la sua passione per la letteratura, degli studi, dei viaggi, della famiglia, della passione per il calcio, dell'infatuazione per un paese terribile e straordinario come la Russia, delle soddisfazioni che questa gli ha dato ma anche di tutti i problemi che, a causa sua, è costretto ad affrontare da quando è iniziato il conflitto "tra fratelli e sorelle". In più citazioni, riferimenti, consigli letterari, una forte dose di confidenziale simpatia, uniti ad una sapiente scrittura, rendono piacevole, interessante, vivo un volume di difficile catalogazione ma di ottimo impatto per il lettore, che non potrà fare a meno di procurarsi le opere di questa grande figura del novecento che, con le sue poesie, ci voleva avvertire che avrebbe vissuto per l'ultima volta.
"«In America» dice «mi hanno detto che lei è molto conosciuta, ho letto alcune delle sue cose e ho capito che lei è l’unica che mi può rispondere: cos’è l’anima russa?» L’Achmatova, con gentilezza ma con decisione, cambia argomento. Il professore fa un’altra volta la sua domanda. Lei cambia ancora argomento. Lui rifà la domanda. Lei cambia argomento. Lui si arrabbia e lo chiede a Najman, se sa cos’è l’anima russa. «Non lo sappiamo, cos’è l’anima russa!» dice l’Achmatova, che si è arrabbiata anche lei. «Dostoevskij lo sapeva!» grida il professore americano. «Dostoevskij sapeva molte cose» dice l’Achmatova, «ma non tutto. Per esempio pensava che, se uccidi una persona, diventi Raskol’nikov. Ma noi adesso sappiamo che puoi ucciderne cinquanta, cento, e la sera andare a teatro beato e tranquillo.»"
Indicazioni utili
“Noi e Anna Achmatova”
Sebbene più volte l’autore lo definisca un romanzo, man mano che mi addentravo nella lettura de “Vi avverto che vivo per l’ultima volta” non avevo l’impressione di trovarmi tra le pagine né di questo né di una biografia in senso stretto.
Fatto sta che la più recente pubblicazione di Paolo Nori, uscita lo scorso mese di febbraio con la Mondadori, è un libro sorprendente, potente e di grande originalità che riesce ad andare ben oltre le sopraccitate categorie letterarie intrecciando sapientemente vivacità narrativa e approfondimento storico-biografico, e che sa inoltre farsi amare. Un libro che, come già precisa sin dalla copertina il sottotitolo, pone al centro dell’attenzione la straordinaria figura di donna e poeta che fu Anna Achmatova, ma nel contempo pure noi e questa scellerata, rinnovata epoca bellica che, nostro malgrado, stiamo vivendo. Il titolo riprende un verso della stessa Achmatova, tratto dalla Poesia 5 del ciclo “Nell’anno Quaranta”, tra i cui testi confluiscono il suo destino personale e la profonda tenebra calata con la guerra sull’Europa:
“Ma io vi avverto
che vivo per l’ultima volta.
Né come rondine, né come acero,
né come giunco, né come stella,
né come acqua sorgiva,
né come suono di campane
turberò le persone
né visiterò i sogni altrui
con gemito insaziato.”
[citazione dal volumetto “È flebile la mi voce e altre poesie”, a cura e traduzione di Paolo Galvagni, Edizioni Via del Vento, edizione ampliata 2021]
Classe 1963, Nori è un noto scrittore emiliano e traduttore dal russo. Il suo amore viscerale per la Russia, la sua lingua, la sua letteratura pervade ogni singola pagina di questo volume. Nell’inverno del 2022, poco dopo l’inizio del conflitto armato tra Mosca e Kiev, gli venne bloccato, “per evitare tensioni”, un intero seminario di quattro incontri su Dostoevskij che lui avrebbe dovuto tenere all’Università degli Studi Milano-Bicocca; a suo tempo, si parlò a lungo di quel caso, e l’autore medesimo non manca di esporre tale assurdità nel suo libro.
E Anna Andreevna Achmatova, chi era costei? Il suo è stato uno dei grandi nomi della poesia russa del cosiddetto “secolo d’argento” e del Novecento in generale, nonché di quella a livello mondiale, in Italia conosciuto senz’altro dagli appassionati di versi, ma non famoso proprio come quello di Tolstoj o altri autori celebri della letteratura russa. La sua scrittura, così autobiografica e pregna di dignitoso dolore, conduce nelle ferite profonde inferte alla Russia dal regime sovietico. Lei stessa – come moglie, madre e artista – patì in prima persona l'oppressione della terribile epoca staliniana.
Nata nei pressi della città di Odessa nel 1889, l’Achmatova legò la sua vita in modo particolare alla città di Pietroburgo (ribattezzata dapprima Pietrogrado e poi, dal 1924, Leningrado), dove iniziò a prendere forma la sua poesia. Achmatova non era il suo vero cognome (Gorenko), ma lo prese da una nobile antenata tartara quando il padre, venuto a conoscenza dell’attività poetica della figlia, le proibì di disonorarlo in tal modo. L'Achmatova, estremamente colta, si mosse in seno al movimento letterario russo acmeista insieme al primo marito Nikolaj Gumilëv, padre del suo unico figlio, Lev, e giustiziato nel 1921, tre anni dopo la loro separazione. La vita familiare dell'Achmatova sarà segnata anche da altri arresti e detenzioni (anzitutto, quelli del figlio negli anni Trenta); malgrado la lunga censura, il trasferimento in Uzbekistan durante il secondo conflitto mondiale e le gravi difficoltà economiche (era stata privata della tessera alimentare) non lasciò la patria, vedendosi "riabilitata" soltanto a partire dalla metà degli anni Cinquanta. Morì nel marzo del 1966, all’età di settantasei anni, in un sanatorio vicino a Mosca.
Tutto questo (e anche altro) viene raccontato in dettaglio da Nori attraverso una prosa molto coinvolgente che scivola volutamente nel colloquiale, mentre i paragrafi dei venti capitoli di cui si compone il volume alternano con ammirevole naturalezza passato e presente, la Russia di ieri e quella di oggi, così pure la vita dell’Achmatova scavata fin nel profondo e la vicenda personale dello scrittore stesso ripercorsa spesso con nostalgia, non senza lanciare preoccupazioni e interrogativi in merito al futuro che l’Occidente si sta costruendo con l’insensatezza, l’aggressività e il ritorno alle armi. Un libro davvero molto bello, questo, in cui non può non trovare ampio spazio la letteratura (non solo russa), così come l’orribile guerra sul fronte russo-ucraino (“tra fratelli e sorelle”) che si trascina ancora dopo ben oltre un anno e mezzo di combattimenti e di veleni per così dire mediatici. Leggerlo significa anche acquisire informazioni particolari su ciò che sta accadendo, farsi un’idea più precisa su una realtà molto più complessa di quanto appaia alla miopia del nostro sguardo.
E Paolo Nori, come infine confessa, ha paura: paura che per le generazioni future sia ancora necessario augurarsi la pace come si faceva un tempo; paura che noi, che viviamo per l’ultima volta, “ci facciamo invadere dalla bestialità. Che non ci rendiamo conto di quello che stiamo diventando e che, forse, siamo già diventati.”
Un sentito plauso all’autore, dunque, poiché ha anzitutto il merito di raccontare e raccontarsi con semplicità e umiltà, suscitando curiosità, riflessioni e, cosa notevole, appassionare addirittura il lettore abitualmente poco o nulla appassionato – come la sottoscritta – di letteratura russa. Quella letteratura rivelatasi, a conti fatti, “più forte dell’esercito sovietico, del Politburo, del terrore, della guerra, dei gulag”. La stessa che resisterà anche alla piccolezza e all’ipocrisia dei “poveri burocrati occidentali”.