Trio
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Un ‘armonioso’ triangolo
Quanto mi costa stroncare la Maraini, che ho tanto amato in “La lunga vita di Marianna Ucria”, in “Colomba”, “Buio”! La Maraini è una delle più importanti scrittrici italiane e la mia opinione è umile, ma dettata da una profonda delusione.
Questo breve romanzo (112 pagine) non mi è piaciuto. E probabilmente la mia è una voce fuori dal coro, perché ci sono recensioni positive e articoli che esaltano questa storia di un’amicizia tra due donne, più forte dell’epidemia di peste che le ha separate e dell’amore che provano per lo stesso uomo.
Due le motivazioni della mia delusione: non c’è la ricostruzione storica cui la scrittrice mi aveva abituata in ‘Marianna Ucria’ -forse è comprensibile vista la brevità del libro, quindi di storico c’è solo l’accenno alla peste del 1743 - e ho trovato assolutamente inverosimile il triangolo amoroso Agata-Girolamo-Annuzza.
Girolamo è sposato con Agata con la quale ha avuto una figlia, ma è innamorato ricambiato dalla migliore amica della moglie, Annuzza. Agata conosce tutto ciò, ma non rinuncia né al marito, poiché lo ama ed è il padre della sua bambina, né all’amica con la quale condivide ricordi di infanzia.
Una situazione troppa idealistica, troppo forzata. L’acme del paradosso è alla fine del libro, quando Agata scrive ad Annuzza che nella precedente lettera le aveva chiesto aiuto nel cercare un bravo marito cosicché possa finalmente dimenticarsi del bel Girolamo, marito di Agata:
“Ma cosa succederà a Girolamo se venisse a sapere che ti sei innamorata di un altro? (...) sono qui per pregarti di non smettere di amare mio marito, perché lo faresti soffrire e quindi lui farebbe soffrire me. (...). Ti sembro pazza?ti sembro dissoluta? (..)Annuzza ti chiedo di continuare ad amarlo, perché in questo triangolo si è creata una certa armonia che andrebbe persa se tu smettessi di cercarlo”.
Tutto il libro consta di questo: uno scambio epistolare tra due amiche innamorate dello stesso uomo, bellissimo come un dio, soggiogato dalla sua stessa bellezza. Sullo sfondo, una situazione molto simile a quella che stiamo vivendo ancora adesso: una epidemia con tanto di corpi abbandonati senza il conforto dei familiari, fosse comuni, lazzaretti sovraffollati, clima di incertezza, paura per chi viene dal paese vicino...solo che siamo a Messina, nel 1743.
Se cercate la Maraini dei grandi romanzi resterete delusi come me. Se invece la tematica dell’amicizia spinta agli estremi vi piace, sopporterete il parossismo che mi ha fatto storcere il naso. Una cosa è sicura: di meglio poteva fare!
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Quando la confezione è più bella del regalo.
Mentre mi aggiravo in libreria in cerca dei miei amati classici, vengo attirata da una copertina rosso vermiglio con dipinte due giovani donne, l’una seduta e l’altra addormentata sulle gambe della prima. Così leggo che si tratta dell’ultima fatica letteraria di Dacia Maraini dedicata alla storia di due amiche (come non pensare alle insuperate ed insuperabili Lila e Lenù della Ferrante), della peste, di Messina e di un uomo conteso.
Così decido a bruciapelo di acquistarlo e subito mi rendo conto che il libercolo (si tratta di cento pagine a malapena, oltretutte scritte con un carattere molto grande) si sarebbe esaurito nel giro di un pomeriggio sul divano… le ultime parole famose. Ho impiegato molto più per terminarlo, neanche si fosse trattato di un tomo del meraviglioso Tolstoj!
Si tratta di un epistolario tra due amiche che si ritrovano a vivere lontane a causa della peste che colpì la Sicilia nel 1743 e che, non si sa come dal momento che non viene rivelato nulla dei fatti antecedenti alle lettere intercorse tra loro, si ritrovano innamorate dello stesso uomo. Ci si aspetta una varietà di sentimenti espressi o malcelati: invidia, rabbia, desiderio di annientamento dell’altra o, quantomeno, uno scambio reale tra due donne che sono legate da una fortissima amicizia, ma vivono il dramma della contesa. Eppure tutto rimane sottotono.
La stessa peste, che così tanti morti provocò, mi è parsa quasi evanescente. Le ragazze ne parlano, ma come se fosse lontana da loro, pur mietendo ferite anche intorno a loro.
L’introspezione, dunque, è assente. La descrizione della condizione epidemica è superficiale, la contestualizzazione di questo epistolario senza trama è ancor meno presente: la vicenda potrebbe parlare di cose accadute l’altro ieri piuttosto che un mese fa… insomma, è proprio il caso di dire che a volte la copertina accattivante inganna!
Assolutamente sconsigliato.
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Un trio che non convince
Con “Trio. Storia di due amiche, un uomo e la peste a Messina” Dacia Maraini propone al suo lettore un titolo che si articola attorno ad una serie di pilastri fatti da amicizia, amore e il diffondersi della peste quale dato storico di riferimento.
Sicilia, 1743. L’epidemia della peste è in un costante dilagare, Agata e Annuzza, amiche sin dai tempi dell’infanzia, sono spinte da questa ad abbandonare la città per ripararsi in campagna e cercare di salvarsi da quella malattia che nulla sembra risparmiare. Tra le due protagoniste, che scandiscono il racconto attraverso la forma dell’epistola, vi è Girolamo. Esse sono legate da un affetto solido, eppure, il loro rapporto deve far fronte a una circostanza inaspettata data dal fatto che l’uomo, sposato con Agata, è innamorato di Annuzza e da questa a sua volta ricambiato. Le due donne ne sono consapevoli e mantengono al riguardo un atteggiamento privo di rabbia, rancore, astio o qualsivoglia forma di manifestazione di sentimento umano. E questo è un primo elemento che tende a stonare nella narrazione in quanto le medesime sono poste su un piano talmente aulico da rasentare la santità e dunque da non suscitare empatia in chi legge che fatica ad entrare in simbiosi con loro, a far parte del disegno creato dalla scrittrice.
A ciò si aggiunge uno stile narrativo che, vuoi per la forma della missiva, vuoi per l’assenza di un vero coinvolgimento in un contesto di fatto estremamente ber circoscritto e delineato attorno ai volti dei tre protagonisti, non riesce a persuadere. È come se tra conoscitore e narratore vi fosse un filtro, un vetro invisibile di separazione. L’effetto è quello di una penna insolitamente piatta e affatto trascinante.
In conclusione, per quanto l’idea possa essere interessante, il componimento non convince pienamente e rispetto ai precedenti lavori della Maraini lascia molteplici perplessità soprattutto per quel che ne riguarda la struttura che viene percepita quale vacua, non definita, non attorniata da quegli elementi che avrebbero al contrario potuto determinarne le forme e i confini.
Per chi dovesse avvicinarsi alla sua prosa consiglio di cominciare con altri titoli, invece, per chi già la conoscesse, il rischio di delusione è alto.