Primavera di bellezza
Letteratura italiana
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Altre vie, altre possibilità
Edizione Einaudi, collana ET SCRITTORI 1985, riedita nel 2023, introduzione di Piero Negri Scaglione (7 dicembre2022) con un saggio di Oreste Del Buono
Prima narrazione di ampio respiro per Fenoglio, primo romanzo, fucina di un processo di scrittura centripeto il quale maturò indipendentemente da questa prima prova editoriale lunga (1959) e a dispetto della sua stessa prematura morte che non gli permise di fare del romanzo di Johnny una storia chiusa e atta a essere congedata per il processo di stampa ( cfr. “Il partigiano Johnny, 1968)
In verità, la storia del partigiano Johnny è già tutta contenuta in questo primo romanzo ma qui si presenta sincopata, eccessivamente condensata, mentre nel volume postumo “Il partigiano Johnny” troverà quell’ampio respiro che permetterà di farci conoscere meglio il partigiano Johnny e dietro di lui Fenoglio scrittore, uomo e partigiano.
“Primavera di bellezza” è anche l’ultimo romanzo pubblicato in vita da Fenoglio che morì a soli 41 anni.
Ha un titolo non casuale, evocativo di un certo gusto poetico se non fosse che è il noto intercalare contenuto nel ritornello dell’inno poi trasformato in canzonetta, “Giovinezza”, tra i più popolari nel ventennio fascista. Si tratta della storia di Johnny, studente di inglese strappato agli studi universitari dalla guerra, frequenta la scuola per ufficiali a Moana, senza nessuna azione di guerra in piena guerra e un pensiero critico particolarmente affinato, sono intollerabili per lui ordini, divieti e prescrizioni privi di senso: la messa, il canto in marcia, il maggiore squilibrato. Fin da subito insofferente, l’eroe di questa narrazione epica contenuta in tutta la sua storia, compresa nei due romanzi, è critico soprattutto rispetto alla guerra, sul labile filo della diserzione, almeno intellettuale. Segue il trasferimento a Roma in treno, un treno che viene descritto in procinto di deragliare come l’esercito italiano; e Johnny non ha tutti i torti anche se non avrebbe mai immaginato le conseguenze dello sbarco degli Alleati in Sicilia, non tanto la caduta del regime quanto lo sbandamento dell’esercito dopo la firma dell’armistizio. Questa è la sua stagione, dopo i bombardamenti a Roma- bellissime le pagine su quello al popoloso quartiere di S. Lorenzo-, la triste realtà di un esercito in disfacimento : “…questo è il quarantotto completo. Non ci sarà mai più un esercito in Italia”, la fuga per il rientro a casa e il disperdersi della bella gioventù italiana, tanto disgraziata se sopravvissuta perché dal suo misero estratto si sarebbe in futuro formata una nuova generazione di sposi e di padri con un passato tremendo. Ma Johnny è l’uomo di altre fughe, quelle dal tiro nemico, del fascista, del tedesco, al nord, nelle sue terre; scopre la resistenza, dapprima un gruppo di soldati ribelli che non tornano a casa e con quell’incontro inizia la sua storia, per leggerla occorre mettere in pausa l’epilogo di questo romanzo e passare a“ Il partigiano Johnny”, una delle più belle esperienze di lettura che si possano consigliare.
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Una nazione allo sbando
Attraverso gli occhi del ventenne Johnny, studente universitario e giovane recluta del corso per ufficiali del Regio Esercito, Fenoglio racconta il disfacimento di un’intera nazione impantanata in una guerra insensata e alle prese con un regime fascista arrivato ormai al capolinea. In questo momento delicato, il nostro protagonista è alle prese con il duro addestramento e con la pesante quotidianità della vita militare, in cui la difficile coabitazione tra gente proveniente da ogni parte dello Stivale e di ogni estrazione sociale dimostra quanto ancora sia lontana la vera unità all’interno del Paese. Ma le divisioni non mancano neanche a livello politico, la fiducia nel Duce e in ciò che rappresenta è al minimo storico e, a parte qualche “fascistello” che ancora ci crede, “la stragrande maggioranza era afascista, i pochi restanti antifascisti, distribuiti tra settentrionali e meridionali; con questa sostanziale differenza: che per gli anti del Sud i fascisti erano buffoni, per gli anti del Nord criminali.” Per le reclute, ancora lontane del poter essere impiegate al fronte, la vita scorre noiosa fino al fatidico 8 settembre 1943: l’armistizio segna un punto di non ritorno, negli ambienti militari la disorganizzazione e l’incertezza regnano sovrani, la rassegnazione è il sentimento più diffuso e porta ad una inqualificabile arrendevolezza nei confronti degli ex alleati tedeschi. In una nazione divisa, la scelta è restare in un esercito allo sbando o disertare ed unirsi ai ribelli partigiani. Johnny, disgustato e ormai senza fiducia né speranza, vorrebbe soltanto tornarsene a casa ma, ad un passo dalla meta, il suo orgoglio, il suo amore per la Patria, la sua rabbia, lo porteranno ad imbracciare di nuovo le armi. Fenoglio, in poche pagine, riesce ad unire il rilevante valore storico e politico di un’opera che rappresenta una testimonianza importante di uno dei periodi più difficili del nostro paese alla qualità letteraria, regalandoci una lettura al tempo stesso interessante e piacevole. L’autore usa uno stile per lo più sobrio ma si diverte a sfoggiare neologismi e frasi dissacranti nei confronti della retorica e della fraseologia fascista e ad affiancare alla lingua italiana brevi interludi in inglese. Se il sarcasmo gioca un ruolo fondamentale in quest’opera, a risaltare sono le amare e provocatorie riflessioni sulla superficialità, sull’indolenza, sulla negligenza di un popolo che vuole difendere i propri confini con cannoni finti, che si arrende nonostante la netta superiorità numerica, che quando le cose si mettono male si fa annientare dal panico, dalla confusione, dalla paura. “Attraversarono la borgatella, muta e sprangata, solo una gelosia si scostò mostrando una esangue corolla di visi di ragazze, che fissarono tragicamente i soldati, i disgraziati uomini della generazione dalla quale avrebbero estratto i loro sposi e amanti”.
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Vivessimo in un paese serio
Per i titoli delle mie recensioni in genere estraggo qualche frase, breve ma significativa, dal testo da recensire. Il trucco, in genere, funziona. Per questo singolare e inquietante romanzo di Fenoglio ho dovuto combattere con l’imbarazzo della scelta: il testo contiene un ottimo assortimento di espressioni che non soltanto calzano alla perfezione l’opera, ma offrono anche una testimonianza incisiva su quanto poco sia cambiato nel nostro paese dal 1959 (la data di pubblicazione).
“Vivessimo in un paese serio” è un’espressione che ho sentito ripetere molte volte, da persone di inclinazioni politiche diverse. E non è l’unica. Molte sono le espressioni che testimoniano gli stessi rancori, le stesse discriminazioni, lo stesso odio di allora.
“Voi figlietti di papà...” “Terroni...” “Polentoni...” “Bagascioni di romani.” “Ma siamo tutti cattolici, evidentemente.” “Le donne sono uguali dappertutto.”
La storia narrata da Fenoglio è tutta nostra. La leggiamo attraverso gli occhi del protagonista, un giovane piemontese, allievo ufficiale alla fine dell’estate del 1943. Johnny ci conduce da una quotidianità di naja inconcludente e tragicomica fino allo sfascio dell’esercito italiano, provocato dall’armistizio (in realtà una resa quasi senza condizioni, realizzata e proclamata troppo in fretta) dell’8 settembre. Gli ufficiali, seguendo l’esempio delle alte sfere dello Stato, prima impartiscono una serie di ordini contraddittori, poi fuggono, abbandonando l’intero esercito italiano allo sbando. Un disastro. Uno dei tanti esempi di “eroismo” che conosciamo bene.
“Mica buffoni, criminali sono.”
Che fare di fronte al pessimo esempio che proviene dall’alto? Anche questa domanda sembra molto attuale. Allora i tedeschi erano davvero “quattro gatti”, ma l’esercito italiano era disorganizzato e privo di mezzi. C’è chi tenta di resistere all’attacco dei tedeschi, anche in assenza di ordini superiori. Si sa che è una battaglia persa in partenza. Johnny è uno dei pochi che non ritiene inutile resistere.
“Primavera di bellezza”, scrive l’autore, è una traduzione dall’inglese. Provocazione? Comunque, le incertezze non tolgono nulla all’efficacia della narrazione, che tra sorprese, anticipazioni e colpi di scena incalza, trascina e cattura il lettore senza possibilità di fuga. Il romanzo è corale: i personaggi sono caratterizzati da pennellate a volte rapidissime, ma sempre incisive. Lo stile è insolito, a volte difficile, mai banale: a mio parere la presenza di neologismi e di inserti in lingua inglese contribuisce a descrivere la confusione, la rabbia, la disperazione di quei giorni. È il nostro passato che ritorna, crudele nella sua attualità.