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Letteratura italiana

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Siamo alla fine di luglio, nel 1914, a Venezia. Il 28 giugno a Sarajevo è stato assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando e l’Austria ha consegnato il suo ultimatum alla Serbia. Molesini mescola sapientemente avvenimenti storici - i giorni cruciali che precedettero lo scoppio della Prima guerra mondiale - e personaggi realmente esistiti con figure di invenzione. Tutt’intorno la laguna non perde la sua magia neanche sotto l’incombere della tragedia, i battellieri, l’isola dei matti, su tutto grava la sensazione che se il mondo dovesse esplodere non sarà solo Venezia e la sua bellezza a tremare.



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Presagio 2014-05-21 12:30:48 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    21 Mag, 2014
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I giorni prima dell’uragano

Questo romanzo storico esce proprio nell’anno in cui si celebra il primo centenario dello scoppio della Grande Guerra, un conflitto che, al di là di quello che costò in milioni di vite umane, segnò una svolta epocale, con la fine dell’Europa quale entità capace di dominare la scena planetaria, con la caduta di tante monarchie, con l’avvento di un regime comunista e negli anni immediatamente successivi alla sua fine con il sorgere in Italia del fascismo e in Germania del nazismo che portarono al secondo grande scontro mondiale.
Andrea Molesini ha colto questa occasione per imbastire un’opera strutturata come una tragedia greca (un prologo, tre atti e un epilogo), ambientando la trama nella sua Venezia, all’epoca meta di soggiorno della più facoltosa nobiltà e borghesia europea. Quella descritta non è una città da cartolina, anzi è limitata al Lido e all’isola di San Servolo, l’isola dei matti, sede appunto del manicomio. L’autore, tuttavia, non si limita solo a proporre una vicenda su quelli che furono gli ultimi giorni di pace, ma va ben oltre, scende nei meandri dell’animo umano per evidenziare quanto ineluttabili appaiano le grandi e piccole scelte nel destino di ognuno e tanto qui a maggior ragione si comprende come siamo solo dei predestinati. Non è un caso quindi se l’opera è introdotta da una frase di Rainer Maria Rilke (Il futuro entra in noi, e si trasforma in noi, molto prima di accadere); questa epigrafe, scritta dal grande poeta di lingua tedesca proprio in quel periodo, significa in buona sostanza che ogni essere umano sa, sia pure inconsciamente, quel che è prima che lo diventi. E’ una premessa drammatica e ben calza allo svolgimento di questo bellissimo romanzo.
Se fino a ora ho esposto l’opera nelle sue linee generali, ritengo opportuno adesso dare qualche notizia in più, affinché il lettore si faccia un’idea più precisa.
È il luglio del 1914, il 28 giugno Gavrilo Princip a colpi di pistola aveva spento a Sarajevo le vite dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono di Austria-Ungheria, e di sua moglie Sofia, lo stato febbrile volto a una guerra, già in atto da tempo, ha colto nell’attentato ai reali l’occasione propizia per concretizzarsi. Schermaglie diplomatiche, più che altro dimostrative, animano quel mese di luglio, ma ciò che già da tempo era stato deciso trova finalmente il suo sbocco in una guerra che è il disperato tentativo per monarchie ormai obsolete di contrastare la loro naturale fine, ed é così che queste (impero russo, impero austro-ungarico, impero turco-ottomano e l’ancor giovane, ma troppo tardi instaurato impero germanico) buttano sul tavolo da gioco della storia le loro consunte carte, così che il 28 di luglio scoppia la prima guerra mondiale. A Venezia, all’Hotel Excelsior, il gran mondo riempie di frivoli cicalecci i saloni, esponenti di un’epoca, chiamata Belle Epoque, in cui tutto sembra eternamente spensierato, in cui, dietro un paravento di eleganza e nobiltà, si cela un profondo malessere, una povertà di valori destinata, prima o poi, a esplodere.
Molesini avrebbe potuto parlarci di questi sconosciuti per spiegarci quei giorni, ma anziché scrivere un romanzo corale, come i suoi due precedenti, preferisce imperniare la sua trama su due soli protagonisti, il commendator Spada, proprietario dell’Hotel e una sua avvenente cliente, la marchesa Margarete von Hayek. L’uomo non è insensibile al fascino della nobile dama, ma è un pragmatico e comprende che per lui ella può rappresentare solo un esaltazione dei sensi e non un vero e proprio amore, e di ciò ne trae profitto, accompagnandosi con lei senza patemi, ma con impeti carnali. Lei è una femmina fatale, pericolosa quindi, e depositaria di un segreto che, una volta svelato, ce la mostra in un’altra luce. In questo contesto intimo la mostruosa macchina volta all’inizio di una guerra acquista sempre più velocità, fino a quando il 28 luglio l’Austria dichiara guerra alla Serbia, che ha rifiutato un ultimatum impossibile da accettare secondo il buon senso.
Il discorso con cui il commendator Spada comunica ai suoi ospiti, seduti a tavola per la cena, l’inizio delle ostilità è per me la parte più bella del libro e già da sola giustifica la lettura dell’opera. Non c’è retorica nelle parole dell’albergatore veneziano, ma tanto giudizio e soprattutto umanità. Sono pagine che si leggono con vivo piacere, provando un’indicibile emozione. Quella dichiarazione di guerra risuona nel silenzio generale del salone come una condanna per gli appartenenti a un mondo che da lì a pochissimo sparirà e della Belle Epoque, in cui tutto sembrava possibile purché lo si volesse, non resterà che un vago ricordo e i dipinti del can can di Toulouse-Lautrec.
Nel romanzo di Molesini questo passaggio, questa fine di un’era è ben descritta, benché sembri toccare solo le anonime comparse del suo libro. Per i due protagonisti e soprattutto per la marchesa la convinzione che sia stato spazzato via un modo di vivere la vita in nuce già esiste in loro, nella loro storia d’amore senza speranza, nella estrema sensualità di lei, secondo un copione già noto, ma con una sua peculiarità: lei tende ad autodistruggersi, magari coinvolgendo altri, come un presagio, lo stesso che sotto forma di incubo accompagna le notti del commendatore, con quella bestia che è in noi ed è pronta ad azzannarci. Guai a contrastarla, perché in fondo la guerra è l’emblema di quella bestialità che ci è propria e solo con la consapevolezza che è tipica dell’artista che si limita a osservarla e a descriverla è possibile non essere dalla stessa sopraffatti.
Romanzo che mette allo scoperto la più recondita natura dell’uomo, Presagio è scritto con signorilità, senza mai trascendere e anzi misurando le parole una per una (stupendi al riguardo i duelli verbali fra i due protagonisti), è volto a un messaggio universale, a una ricerca della verità, a quel Wahrheit con cui inizia il libro, che si chiude con un finale enigmatico, ma segnato da una profonda pietà.
Se l’impianto è teatrale, in un contesto di crescente tensione in cui par già di udire i tuoni delle cannonate, Molesini ha il pregio indiscutibile di accompagnare a una tragedia una vena poetica di cui sia i due protagonisti che l’intero libro beneficiano ampiamente, e questo ha effetto anche sul lettore che giunto all’ultima pagina ricava netta la sensazione di aver letto qualche cosa di molto diverso dal solito, di avere per le mani un’opera di grande valore letterario, una di quelle che, benché riferita a un’epoca, è senza tempo, stupenda oggi come lo sarà domani.

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Non tutti i bastardi sono di Vienna e La primavera del lupo, entrambi di Andrea Molesini
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