Meglio non sapere
Letteratura italiana
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Titti Marrone è giornalista del "Mattino" e tieni corsi universitari di sociologia dei media. Si è occupata a lungo di storia del Mezzogiorno pubblicando negli anni '80 vari libri tra cui, con Pasquale Villani, "Riforma agraria e questione meridionale" (De Donato). Ha scritto: nel 1990 "Il mestiere del regista teatrale (Marcon); nel 1993, con lo scrittore polacco Gustaw Herling , "Controluce" (Pironti); nel 1996 "Il sindaco" (Rizzoli), un libro su Antonio Bassolino ai tempi del primo mandato municipale; nel 2008 "Omaggio a Napoli" (Alinari).
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Infanzia rubata
Cosa fu la reclusione nei campi di sterminio?
Violenza, malattie, fame, morte?
Certamente per la maggior parte di questi inermi esseri umani significò la fine, ma per i sopravvissuti fu solamente l'inizio di un calvario psicologico eterno.
Titti Marrone raccoglie la testimonianza bruciante e commovente rilasciatale da due sorelle scampate alla furia bestiale dei nazisti.
La storia di queste due bambine prima all'interno del campo separate dalla madre, e poi una volta liberate, trovatesi ad affrontare il lungo percorso della riabilitazione sociale e psicologica, è la storia di una infanzia spezzata.
Le ferite cagionate dalla criminalità nazista non furono solo quelle fisiche, ben più profonde e indelebili furono quelle dell'anima; ferite queste che pur con tutta la cura e l'amore possibile, non si rimarginano, ma restano nell'io più profondo pronte ad aggredire come mostri in qualsiasi istante.
Cosa significa strappare un bambino dall'amore della famiglia, dalla spensieratezza dei giochi, da una vita fatta solo di colori e sorrisi, una vita che ancora deve sbocciare?
Il vocabolario di un bambino non concepisce ancora i termini cruenti e dolorosi, non potrebbe mai afferrare il significato di tanto odio e di situazioni abominevoli.
L'infanzia è il tempo dei perché e della curiosità della scoperta: ma come ci raccontano le sorelle, una volta sradicati dalla normale vita di bimbi e catapultati in quel mondo infernale, non esistono più “perché” sulle labbra, cade un silenzio di ghiaccio che pone termine alle gioie di quell'età.
In quelle condizioni, è meglio non fare più domande, meglio non sapere.
Questa testimonianza corre su un doppio binario, ripercorrendo i traumi subiti dai figli ma ricordando anche quelli delle madri. Madri separate forzatamente dai propri piccoli, consapevoli della brutale condizione in cui essi verranno a trovarsi da soli e del non potere nulla per proteggerli; questo è un peso che annienta ed è solo l'inizio di un baratro che spezzerà per sempre la normalità di un rapporto.
Alle famiglie che ebbero la fortuna di riabbracciarsi, attese un lungo cammino per tentare di ristabilire l'agognata “normalità”, ricostruendo i legami e provando a credere di nuovo nell'amore.
E i genitori che non si ricongiunsero più ai figli?
Questo libro dedica delle pagine splendide e intense al ricordo di una madre che non seppe più nulla della sorte del figlio per anni, apprendendola solamente dopo decenni di vana speranza; una donna colta nella pienezza del proprio dolore vissuto con dignità, una vita passata a masticare lacrime amare mantenendo sempre accesa una luce nel cuore così forte da respingere anche l'evidenza delle prove fornitele sulla crudele e barbara morte inferta al sangue del suo sangue.
A tratti è un racconto spiazzante e crudo che fotografa la bestialità e le nefandezze dell'uomo senza veli e senza scomodare ideologie di qualsiasi sorta.
Qui si parla solo di esseri umani e di un dolore sconfinato e difficilmente immaginabile.
Qui ci si commuove e si esplode di rabbia.
Ottima ed efficace la penna della Marrone, capace di rendere il racconto fluido senza privarlo di intensità e pathos, armonioso e ben strutturato visto il difficile compito di cucire i pezzi della memoria delle diverse voci narranti.
Indicazioni utili
Meglio (non) sapere
"Quando le due bambine scesero dal treno e si trovarono di fronte la madre, fu come se la vedessero per la prima volta. Per qualche attimo la madre e le figlie rimasero a guardarsi in silenzio. E si scoprirono estranee e lontane.Lei le aveva aspettate consumando il marciapiede del binario con rapidi passi nervosi, rabbrividendo nel mattino di dicembre che inondava la stazione Termini con il chiarore tagliente del vetro.[...] Allungò la mano per una carezza, ma restò come bloccata a mezz’aria quando vide le bambine stringersi ancora di più a miss Lauer. Allora provò una fitta di dolore nel petto, ma si sforzò lo stesso di sorridere.... "
Definire Meglio non sapere come un libro, è diminutivo, se non coercizzativo. Infatti questo reportage narrativo è una testimonianza cruda, forte e a tratti terribile di un evento che , se pur orribile, assume qui i tratti dell'abominaevole. Meglio non sapere è la stroia VERA di due bambine e della loro famiglia, rinchiusi in uno dei tanti campi di concentramentoe costretti a subire sopprusi e ad essere utilizzati come cavie. Ho avuto la fortuna di incontrare di persona le protagoniste di questo libro e mi hanno colpito. Perchè nonostante quello che hanno subito sono state in grado di costruirsi una vita propria, perchè hanno trovato il coraggio di raccontare e di trovare un pizzico di compassione anche nei loro deportatori, perchè nonostante fossero piccole non hanno mai perso la propria dignità. Infatti i campi di sterminio avevano lo scopo di snaturare la stessa natura umana, convincere i deportati di non essere più uomini. Ma nel libro non c'è soltanto la loro lotta per la sopravvivenza, bensì appare il percorso che hanno fatto dopo essere sopravvissute per ritornare alla normalità. Ed ecco che ci appaiono scene dalla macabra aberranza: bambini che si contendono un semplice cucchiaino (considerato da loro come un mezzo per la sopravvivenza), Andra e Tatiana Bucci che rinnegano la propria famiglia e ragazzi uccisi per non lasciare traccia. Rabbia. Questo è il sentimento che si prova nel leggere il libro: profonda rabbia. Ci si trova a dover leggere di uomini abominevoli che negano le loro atrocità, che giustificano i loro esperimenti in nome di una perversa teratologia. Andra e Tatiana Bucci hanno dovuto subire tutto ciò, ma il loro rimpianto più grande è quello di non aver riconosciuto la propria madre, di non averla abbracciata e ringraziata per non aver permesso loro di dimenticare i propri nomi. Meglio non sapere non si limita al racconto dei campi di sterminio, ma indaga il difficile processo di trasformazione dei sopravvissuti. E in quetso magma storico di eventi e peccati atroci, Sergio resta il simbolo più indelebile di avvenimenti che hanno scosso tutte le coscienze umane e che hanno rivelato la stolta mentalità dell'uomo. Ma ciò che mi rimarrà sempre impresso delle due sorelle, è Andra che piange quando racconta della nascita di suo figlio perchè mai come in quella occasione la vita aveva vinto la morte dei campi di sterminio. Un libro da leggere, che fa riflettere e suscitare emozioni. Un libro che racconta qualcosa che è MEGLIO SAPERE o meglio, non dimenticare. Non è un testo piacevole da leggere (per ovvi motivi), ma imprescindibile.
Assolutamente da leggere (anche se di non facile reperibilità, almeno nella mia città)