Lisario o il piacere infinito delle donne
Letteratura italiana
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Ridondante...ma non troppo
Il romanzo è tra i cinque finalisti del Premio Strega 2014; devo dire che negli ultimi anni sono scettico riguardo i libri che vincono, o si classificano, nei vari premi letterari; di conseguenza evito di leggerli a meno che la trama abbia anche carattere storico. Il presente è esaustivo nel merito.
La vicenda ha luogo nella Napoli del ‘600 sotto il dominio spagnolo; la città è capitale del viceregno, sovraffollata, miserevole, sporca e meta di un coacervo di varie figure e figuri di altre nazionalità, pittori, scenografi dell’epoca, artigiani, prelati. In questa non proprio entusiastica cornice, la protagonista è una ragazzina di nome Lisario appartenente a una nobile famiglia spagnola; a causa di un intervento sbagliato per eliminare un gozzo alla gola, la ragazza perde l’uso della parola ma, in gran segreto, impara a leggere e a scrivere dedicando le sue “lettere” alla Madonna. Il giorno in cui viene promessa in sposa a un uomo di non suo gradimento, cade in una specie di catalessi e dorme per diversi mesi risvegliandosi grazie all’intervento di un medico proveniente dalla Catalogna, Avicente Iguelmano, che diventerà in seguito suo marito ma anche il suo persecutore. La trama coinvolge altri personaggi di vario tipo che interferiscono sulla vita di Lisario con descrizione di accadimenti al limite del surreale. Il romanzo e le vicende storiche si intrecciano in maniera armoniosa in una Napoli piena di contraddizioni, con la presenza del famoso Masaniello, il Generale pescivendolo che si ribella alle vessazioni del governo spagnolo, e con le cicliche epidemie di tifo che decimano la popolazione.
Ma cos’è questo piacere infinito delle donne? Non lo voglio menzionare per non togliere la curiosità al lettore…in sintesi un romanzo che, a mio parere, ha meritato essere finalista nel Premio Strega dello scorso anno; l’autrice, non conosciuta dal sottoscritto, ha saputo ben amalgamare i fatti storici con la trama romanzata della vicenda aggiungendo anche un pizzico di fantasia che dà sapore al tutto.
Siamo in piena epoca barocca e, forse, per questo motivo il romanzo appare un po' ridondante…
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LA VOCE DI LISARIO
Lisario indossa pizzo sui pidocchi, perle sulle orecchie sporche. Le hanno strappato la voce, ma ha imparato a scrivere. Bella addormentata, è molto più sveglia degli gli altri: il sonno le consente di fuggire attraverso le porte chiuse, di spezzare catene, di scavalcare tempo e spazio. Prigioniera dell’ordine sociale, del padre e del marito, trova sempre un modo e una via per gabbarli, spernacchiarli e fuggire. Lucertola spaventata, Lisario passa gran parte della sua vita fuggendo tra lacrime e sangue, ma anche tra piaceri, allegrie, tenerezze. Per non parlare dell’Amore.
Lisario non diventerà mai Belisaria, donna maritata dal nome completo, ma rimarrà principessa coraggiosa e ci condurrà nella sua fiaba per mari e per terre flagellate dalla guerra, dalle malattie, dalla miseria. C’è chi la ama con passione sincera, chi la vuole uccidere, chi vuole possederla e dominarla, usarla e strapparle il segreto, invidiato e temuto, del piacere senza fine che appartiene soltanto alle femmine. Intanto lei, muta e indomita, scrive i suoi dolori e le sue gioie alla Madonna, senza dimenticare di segnalare il suo indirizzo, non sia mai che la Suavissima la scambi per un’altra.
Insieme a Lisario corriamo e ci nascondiamo nella Napoli di Masaniello, metropoli brulicante di folle, di follia e di vita, così come era stata ritratta nelle tele di Micco Spadaro. Giambattista Basile è morto da poco, ma i temi barocchi della sua grande opera, Lo Cunto de li Cunti, splendono ancora nelle vie e negli antri segreti. La nostra protagonista attraverserà la sua città più di una volta, ma l’abbandonerà per un lieto fine, che non sarà per sempre ma per poco.
Il romanzo è ambientato in un’epoca più violenta della nostra, ma non diversa: sono passati i secoli eppure siamo ancora qua, oppressori e oppressi, uomini e donne, ricchi e poveri, a spiarci senza capirci. Lingua napoletana e lingua italiana concorrono a comporre uno stile fresco e vario come l’ambientazione: odori e umori e colori e architetture si mostrano integri e intensi, tra fogne e gelsomini, grande arte e piccoli raggiri.
I personaggi crescono nelle loro vicende, insieme ai loro pregi e difetti, desideri e talenti, volti e caratteri. In quest’opera generosa non mancano azioni e passioni: la narrazione fa riflettere e sognare, mantenendo una forte risonanza con la Storia, forse il personaggio più avvincente. Ed è proprio la Storia che, nel finale, superata la peste e i postumi della ribellione, saluta il lettore attraverso il ricordo di alcuni giganti, unici nella loro arte: il Caravaggio, di cui si sentono, immensi, risonanze e ricordi; Micco Spadaro che ritrae presente e passato; Alessandro Scarlatti, “nuovo astro musicale”.
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Silenzi e grida a Napoli
Prende vita dalla penna di Antonella Cilento uno spaccato storico e sociale datato 1640 circa.
Le immagini sono quelle di una Napoli in fermento; la dominazione spagnola, lo strapotere del governo, le vessazioni, la fame, le rivolte.
Se per strada si vivacchia, si grida, si fomenta giorno dopo giorno la protesta, nei palazzi nobiliari si gozzoviglia, si banchetta e ci si sollazza.
Si alternano le facce di una città cupa, sovraffollata e maleodorante a quelle di una città fastosa, che pullula di artisti e pittori, fortemente ricercati presso le corti.
In un quadro dalle tinte contrastanti, pieno di ombre e di luci, si innesta la vicenda umana di una donna.
Chi è in realtà la docile Lisario? Quale è la malattia che la fa cadere nel sonno?
E' velato di mistero il racconto della vita della giovane donna, imprigionata in una condizione sociale che non le permette facoltà di scelta e di ribellione.
La Cilento narra una storia al femminile, una storia intrisa di amaro e compassione, a metà strada tra fiaba e cruda realtà.
Lisario è donna, deve sottostare alle decisioni della famiglia, ma nessuno potrà mai violare i suoi segreti; solo a lei appartiene un piccolo mondo che parla di sensualità, di piacere, di amore, di sogni.
Il progetto letterario della Cilento è ambizioso; dare forma ad un romanzo storico che si regga su radici salde è operazione complicata, così come piantare su questo terreno una storia credibile che riassuma in sé il clima del tempo, le atmosfere politiche e sociali, le consuetudini ed i costumi, il tutto senza tralasciare caratterizzazione e consistenza dei personaggi.
Un dato è certo; la Cilento ha una padronanza stilistica indiscutibile, dimostrandosi un'ottima voce per la nostra letteratura attuale. La sua penna riesce ad esprimere sensazioni e sentimenti oltre che a raffigurare volti, colori, profumi e suoni, utilizzando quando necessario il colore del gergo dialettale che buca le pagine del romanzo ponendo il lettore in mezzo a dialoghi scoppiettanti, in mezzo al caos di strade e piazze.
Eppoi l'eccellente uso della vena ironica, che smorza i toni gravi e tragici, disseminando qualche sorriso anche tra le pagine più dolorose.
Unico neo riscontrabile, una cesura netta che attraversa la trama del racconto; un salto narrativo che serve all'autrice per introdurre altri personaggi sulla scena, ma che crea un certo disorientamento per il lettore, fino a che i fili della storia non si rinsaldano nel prosieguo.
Un lavoro interessante, una buona riproposizione di un periodo storico oramai lontano, una buona prova di scrittura.
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a me il piacere
Avicente Iguelmano era un medico catalano di quelli che "Dio ce ne scampi e liberi" così, lasciata la sua terra, aveva sperato di trovare nella "Colonia" rifugio e nuovo avvenire, mettendo miglia marine fra lui e i suoi fallimenti. A Napoli grazie alla protezione della Senora Eleonora Fernanda Antigua di Mezzala, nobildonna molto influente a Corte, aveva fatto la conoscenza di don Ilario Morales comandante della guarnigione del Castello di Baia, sposato con donna Dominga Morales, genitori della bellissima Belisaria, Lisario, bambina sfortunata che per un'incauta operazione chirurgica era diventata muta e per una malattia misteriosa narcolettica.
Al medico catalano don Ilario affidò la cura della "bella addormentata" convinto dalla Senora di Mezzala che nel giovane riponeva molta fiducia. Avicente, abituato a guarir malanni con inutili pilloline rosa, zuccherini e basta!, davanti a quella fanciulla addormentata non sapeva che fare. Passò giorni interi a studiarla, a guardarla dormire, ma dormiva davvero? Cominciò a scoprirla, lentamente e delicatamente. Prima un lenzuolo, poi gli indumenti finanche quelli intimi. Cominciò a scrutarne il corpo, infine a toccarla e poi...il sesso. Ecco la chiave, la chiave?
Alla fine Avicente, turbato, decide di rinunciare, fugge da quel castello e da quel corpo che l'attrae meledettamente. Ossessionato. Sesso...sesso...sesso. Quella donna gli è entrata dentro, così come il mistero del piacere, sì, il godimento erotico. Quella donna addormetata prova piacere o no ? Avverte o no la sua presenza ? Alla fine Lisario rinviene, i Morales, gridano al miracolo e don Ilario giunge a concedere la mano della figlia al suo "salvatore". Lisario sa quello che faceva Avicente al suo corpo mentre lei era incosciente? Il dubbio è nella coscienza di Avicente, non nella mente di Lisario che però non può raccontarlo questo segreto e allora? Lo scrive e a chi altri se non alla Madonna. Lisario è muta ma ha imparato a leggere e scrivere nonostante alle donne quest'arte non fosse insegnata. Invia lettere alla sua Pregiatissima,Suavissima e Dolcissima Signora; le racconta di questo marito strano, che la spia e la osserva dentro, come fosse un animale e poi...
Si chiama Jacques Israel Colmar ,è un giovane pittore, conosciuto durante una cerimonia religiosa e lei se ne è innamorata, rivela anche questo alla sua Dolcissima Signora. E' molto diverso da suo marito, ne è attratta ed è pronta a lasciare tutto e tutti per lui. Quale sarà il destino di questi giovani amanti?
E' magnifica la Napoli "dipinta" dalla penna della Cilento, quella seicentesca vivace e chiassosa, pezzente e indomabile "raccontata" dai pennelli di Juan Do e Jesepe de Ribera (lo Spagnoletto) quella cialtrona e ribelle di Masaniello, quella ruffiana e servile di Tonno d'Agnolo. Al centro della scena c'è lei, donna Lisario, che da oggetto diventa soggetto, l'eros infatti è quello gridato dalla Lisistrata di Aristofane, quell'energia misteriosa che non è e, non deve più essere piacere solo degli uomini.
La forza di Lisario conquista, lei e noi lettori scopriremo che il suo amare "non ha alcun limite eccetto il cielo*"
*Miguel de Zerbantes