Le rondini di Montecassino
Letteratura italiana
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Devianza dai veri problemi della liberazione
Un romanzo sulla battaglia di Montecassino che inizia con una banale quotidianità, un tassista che le pone delle domande sull'origine del proprio cognome, che appare slavo, ma tale non è. Seguono stralci di vita, si usanze anche tribali, di gente che sarà in prima linea nelle battaglie di Cassino, sacrificati dagli Alleati Anglo-Americani, poi, però, ci scorda di mettere in evidenza che era un rischio che nessuno aveva imposto loro, ma si trascura la tragedia di Montecassino, ridotta a un calabrodo, di un'Italia, destituta di ogni potere: si requisivano le abitazioni ai civili per sistemare soldati di popolazioni di cui l'Italia forse non conosceva l'esistenza. Si deforma la tragedia vissuta dall'Italia, non solo per la guerra, in quanto tale, ma per ciò che é stato fatto da certi militari, inquadrati in reggimenti neanche regolari, al popolo italiano. Insomma, a fare la parte del protagonista, sia pure tragico, non sembra essere l'Italia e la sua gente, ma altri, giunti lí per caso, certo senza alcuna costrizione.
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Inutile verbosità
Devo ammettere che tanto mi attendevo da questo libro, in considerazione anche del fatto che l’autrice, con un altro romanzo, si è aggiudicata il premio Strega 2018; tanto mi attendevo, forse troppo, e quindi la delusione è stata cocente. Eppure il tema in argomento è interessante, quel ritorno al passato agli epici scontri di Montecassino, che videro impegnate, fra gli alleati, molte nazionalità, dagli inglesi e gli americani, ai polacchi, ai magrebini, perfino ai maori e molte altre ancora, con un rientro al presente, a una ordinarietà che stride con la tragedia di quel 1944 del fronte italiano. Sono tanti gli episodi, tanti i personaggi, tante e troppe le parole, con digressioni non di rado fuori luogo e che mi hanno sconcertato Si tratta di un’opera per certi aspetti squilibrata, con parti che avrebbe meritato maggiore attenzione, un più attento approfondimento e altre invece in cui l’autrice si avvita in riflessioni di poco conto. E poi ho riscontrato, nella scrittura, quella pedanteria e grevità che è propria di non pochi autori dell’est, elementi che di certo non portano acqua al mulino dell’opera e anzi finiscono lentamente con affondarla. L’’impegno c’è, non lo nego, ma ahimè i risultati sono modesti, anche perché probabilmente chi scrive non ha ben chiaro ciò che intende trasmettere, oppure è perfettamente cosciente della sostanza del suo messaggio, ma è incapace di renderlo compiutamente intellegibile al lettore. E’ un peccato, e aggiungo che la pochezza dell’opera non mi invoglia certo a consigliarne la lettura, perché sull’argomento della guerra, dei nostri rapporti con quel trascorso drammatico che rivive nei ricordi di chi vi ha partecipato c’è molto di meglio in letteratura e ben più meritevole di attenzione.
Sarà forse brava la Janeczek, ma francamente a me non è piaciuta, almeno in questo romanzo. Mi riprometto, comunque, di leggere qualche altro di suo, con la speranza di poter capovolgere il mio attuale giudizio.