Le regole del fuoco
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Alba Rosa, Eugenia e la loro Caporetto.
Maria Rosa Radice, napoletana di buona famiglia, pur di sfuggire a quella vita di malinconia e apatia caratterizzata dalle continue pressioni di una madre frivola ed interessata esclusivamente a combinare il suo matrimonio con un qualsiasi uomo, parte come infermiera volontaria per il Carso. Ed è qui che incontra Eugenia Alferro, collega e compagna di stanza della protagonista dai lineamenti duri, i capelli corvini ed il volto spigoloso, ma anche donna della quale Alba Rosa profondamente si innamorerà in questi giorni che hanno rappresentato la sua Caporetto.
Il romanzo è impostato come una lunga lettera che la napoletana indirizza all’amica del fronte, è una missiva in cui questa si apre come mai a quella persona con cui condivideva la cura dei feriti, dei morti scampati e dei deceduti di fatto della Grande Guerra, in cui le narra tutto quello che non ha mai avuto modo o semplicemente il coraggio di raccontare. Ed in questo narrare, rivive. Rivive i suoi primi giorni con i malati, i suoi primi tentativi di imparare, le difficoltà di condividere quel dolore troppo immenso da gestire fino a risultarne anestetizzati, il ripudio per quelle pratiche necessarie come le amputazioni o ancora l’odore fetido di quegli arti in gangrena, ma riassapora anche la presenza di Eugenia, con quei suoi modi rudi di affrontare la realtà senza mai rifiutarsi a (e da) questa, con la sua schiettezza e i suoi rimproveri.
Un testo che si sviluppa su un doppio binario, quello della Guerra, concentrando cioè l’attenzione su quelle infermiere volontarie che con grande coraggio e nonostante il pregiudizio dell’universo maschile che mal le vedeva all’interno di quegli ospedali di fortuna, mai si rifiutavano di prestare soccorso e cure ai reduci del conflitto, e quello dell’’amore, un sentimento che trova le sue radici in due donne che con il loro essere ed il loro agire si completano, si offrono l’una all’altra nella consapevolezza delle conseguenze che le aspettano se scoperte. E tanto questo è un sentimento autentico, tanto ha costanza nel tempo e nello spazio, tanto persiste a mantenersi incolume, a resistere. Per la benestante protagonista, l’esperienza sul fronte si paleserà essere la molla del cambiamento, una volta tornata a casa e nonostante la crudezza degli eventi, deciderà di essere l’eccezione e non la regola, troverà la forza di intraprendere quel cammino atto a renderla una donna diversa.
Un elaborato rapido, diretto, che si conclude nell’arco di una giornata, non certo un capolavoro ma sicuramente capace di indurre alla riflessione.
«Che il dolore prima o poi ti piomba addosso e ti fa ruzzolare o ti paralizza come una valanga, ma l’importante viene dopo. Dopo, a poco a poco si scava una strada dentro di te, e va nel suo paese che sta in ognuno di noi, il paese del dolore, scatena un terremoto, e tutti gli altri dolori sussultano e precipitano. Poi, passato il terremoto, c’è un nuovo elemento nel paesaggio, una nuova montagna, un nuovo fiume, e sta lì, sta lì per sempre con te. Cioè, ora con me. Quella montagna, quel fiume ora sei tu.»
«Tutto è ieri, ormai. La guerra è un sipario, ricordi? Molti avranno monumenti dopo questa guerra, lo avrai anche tu. Il tuo monumento sono io. »
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Opinioni inserite: 3
Amore e morte
Letto in pochissimo tempo, anche per le sue modeste dimensioni, questo romanzo mi ha subito conquistata.
Scritto bene, con un linguaggio secco e asciutto che va subito al dunque senza perdersi in troppe e inutili descrizioni.
In queste pagine assistiamo ad una visione sulla Prima Guerra Mondiale non tanto dal punto di vista dei combattenti o di semplici civili, quanto da quello di una crocerossina napoletana volontaria, Maria Rosa Radice, spinta a ciò più che altro per fuggire da un finto e costrittivo mondo aristocratico che non le apparteneva.
Tramite i suoi occhi, l’autrice non ci risparmia implacabili e sincere descrizioni di feriti e ferite, malattie, morti e moribondi. Questi pezzi, seppur molto forti, sono quelli a mio parere riusciti meglio, un crudo realismo che raggiunge il suo obiettivo di disgustare e far riflettere sull’insensatezza del conflitto, suscitando pena e compassione per i poveri malcapitati con questo perenne puzzo di morte che dalle parole diventa reale e si aspira nell’aria.
Il personaggio serio e determinato di Eugenia, altra crocerossina volontaria che di mestiere vuole diventare medico a tutti gli effetti, mi è molto piaciuto, soprattutto per il modo in cui guida l’inesperta Maria Rosa.
Non mi ha invece particolarmente catturato la storia d’amore fra le due, trattata praticamente quasi verso la fine del libro e in maniera molto approssimativa e sbrigativa.
Consigliato a chi ha voglia di una lettura veloce o che dia uno sguardo inedito e al tempo stesso molto realistico sulla guerra.
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alba rosa
Ho preso questo libro perché volevo leggere un punto di vista diverso sulla prima guerra mondiale, quello di una donna al fronte come infermiera volontaria. Nell'epoca di cui si parla, le donne non erano ancora ben viste lontane dal focolare, e quindi arruolarsi come infermiera si trattava di una scelta rivoluzionaria per l'epoca. Tuttavia ho trovato la tematica non ben approfondita, si poteva dire e trasmettere molto di più in merito, sull'impreparazione di queste ragazze, su cosa voleva dire per loro trovarsi al fronte. Invece l'impressione che ho avuto è che si sia dato solo un'infarinatura di tutto e basta.
La stessa impressione l'ho avuta riguardo alla descrizione dell'amore nato tra la protagonista, Maria Rosa detta Alba Rosa, e un'altra infermiera Eugenia. Hanno dei trascorsi diversi, una napoletana proveniente da una famiglia agiata da cui sta fuggendo, l'altra del Nord nata in campagna e col sogno di diventare medico. Il loro amore nasce fra le corsie, in mezzo ai moribondi, alle bombe, alla paura, e infatti l'impressione che ho avuto dalle pagine del libro sia che più che un amore, le due ragazze cerchino consolazione, rifugio l'una nell'altra. Oltretutto Alba Rosa ha bisogno di una guida, non sa che vuole nella vita, mentre Eugenia sì, tanto che arrivano addirittura a parlare di un ipotetico futuro insieme. Però ecco, anche di questa storia d'amore purtroppo non mi è rimasto nulla, mi è mancata la scintilla, la vibrazione, che poi è quello che è mancato in tutto il romanzo. Alla fine della lettura infatti mi è rimasto un senso di incompiuto, di qualcosa che poteva essere molto di più ma non è stato. Mi dispiace ma penso che la scrittrice potesse dare un tono migliore a tutta la storia.
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Questa è stata la mia Caporetto
“Le regole del fuoco” (romanzo secondo classificato al premio Campiello 2016), così come le vede Elisabetta Rasy, nel romanzo finalista al Campiello 2016, vengono declinate nell’esperienza della napoletana Maria Rosa Radice e della comasca Eugenia Alferro, entrambe coinvolte da una scelta coraggiosa ai tempi della grande guerra (“Partivo per il Nord, per la guerra, per il fronte come infermiera volontaria”).
Hanno motivazioni differenti: l’una è fuggita all’ambiente annoiato dell’aristocrazia napoletana (“Ero venuta al fronte non per amor di patria ma per odio”), l’altra persegue un sogno professionale ambizioso per una donna d’inizio XX secolo e, anche per questo, sembra più adatta agli orrori e alle mutilazioni della guerra.
Pur essendo così diverse (“Mio padre è morto e il tuo?... Mio padre è socialista e crede a questa guerra”), le due giovani donne s’innamorano e vivono una struggente storia d’amore saffico tra le veglie in corsia, i bombardamenti, la fuga (“Questa è stata la mia Caporetto”)…
La guerra, così come le ha unite, le separa (“Anche tu non avevi più il mio indirizzo”).
Un tenero epistolario le riunisce brevemente (“’O surdato ‘nnammurato. Io invece ero un’infermiera innamorata di un’altra infermiera e nessuno avrebbe cantato il mio amore per te”), pur nella paura che le lettere possano essere lette anche da altri.
“Le regole del fuoco” e la perdita della fotografia dell’amata insegneranno comunque alla narratrice Maria Rosa, ribattezzata Alba Rosa nella consuetudine che gli amanti hanno di chiamarsi in modo personale, a scegliere la propria strada di vita: a Parigi, lontano dalla Napoli dalla quale era fuggita.
Giudizio finale: un romanzo romantico e crudele per celebrare la fierezza di una donna capace di autodeterminarsi.
Bruno Elpis