La signorina Tecla Manzi
Letteratura italiana
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Il furto del Sacro cuore
Più volte paragonato a quel gran narratore che è stato Piero Chiara, Andrea Vitali tuttavia non ne è che una pallida imitazione; sì, certo, entrambi scrivono del piccolo mondo della provincia italiana, il primo di Luino sul lago Maggiore, il secondo di Bellano sul lago di Como, ma, a parte questa caratteristica, non c’è nulla che li accomuna. Piero Chiara rivela un acume particolare nel parlare di vizi e virtù di un piccolo mondo, sondando l’animo umano e restituendoci un quadro sovente ilare, ma che viene descritto con affetto, come di un qualcosa che nel tempo si è perso e che mai più ritornerà. Anche Andrea Vitali descrive personaggi che sono tipici di una realtà circoscritta, ma resta in superficie, non approfondisce, preferendo invece narrarci di fatti e circostanze particolari e cercando di invogliare il lettore al riso. Anche in La signorina Tecla Manzi, una sorta di giallo senza omicidi e assassini, ambientato in epoca fascista, intesse una trama che a tratti scorre liscia, mentre in altri si inceppa. C’è uno spiccato intento di far ridere, ma al più sono arrivato al sorriso, proprio perché la discontinuità del ritmo, i capitoli particolarmente brevi e, se vogliamo dirlo, anche un intreccio non particolarmente avvincente di più non riescono a fare. Con ciò non intendo dire che il romanzo sia mediocre, ma che non ha molte pretese, se non forse quelle di far trascorrere alcune ore senza pensieri, soprattutto se si cerca di arrivare di persona alla soluzione, fra i patemi d’animo di un brigadiere innamorato, l’invidia di un appuntato che si sente vessato dai superiori, la timidezza di un carabiniere semplice che ha sempre paura di sbagliare e lei, il personaggio più riuscito, la signorina Tecla Manzi, la cui descrizione fatta dall’autore merita di essere riportata: “Secca da far paura e non più alta di un metro e cinquanta, stava compostamente seduta sulla sedia, la schiena bella diritta e la borsetta afferrata con due mani. Aveva un leggero tremito del capo e il vezzo di contrarre a intervalli regolari le ali del naso, dopodiché emetteva uno sbuffo, rumoroso e singolare”.
Spero che altri romanzi di Vitali che avrò l’opportunità di leggere possano appassionarmi maggiormente, fermo restando che questo, come ho sopra precisato, consente comunque di essere classificato come un innocuo e tutto sommato gradevole passatempo.
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L'affaire du Sacre Coeur
Ci sono tre carabinieri: uno sardo, uno siciliano e uno bergamasco. Non è l'inizio di una barzelletta ma il via della storia che ci svelerà chi sia la signorina Tecla Manzi e quali siano i suoi “affaire” con la regia caserma di Bellano intorno agli anni trenta in un'Italia in pieno fascismo.
La signorina Tecla ,“secca da far paura e non più alta di un metro e cinquanta, [...] aveva un leggero tremito del capo e il vezzo di contrarre a intervalli regolari le ali del naso, dopodiché emetteva uno sbuffo, rumoroso e singolare”. Si presenta in caserma per denunciare la scomparsa di un cuore, non uno a caso quello sacro, quello di nostro Signore, lasciando interdetto il brigadiere che raccoglie la denuncia. Da qui, ciò che a primo avviso può sembrare la fissazione di “una zitella per vocazione e per destino” diviene il capro espiatorio di una sequela di crimini che passano attraverso tombe profanate, casi di usura, bancari corrotti, fratelli scomparsi e poi riapparsi coinvolgendo molti abitanti del paesello.
Trama gialla e commedia s'intrecciano sulle rive del lago di Como, attraverso lo stile stringato e ironico di Vitali. Capitoli brevi, frasi secche e veloci descrivono un'Italia provinciale e i personaggi che l'hanno caratterizzata. Il volto di una nazione ormai scomparso, che passava attraverso la compassione e la misericordia senza negare spazio a un pizzico di maldicenza e di credulità. Sentimenti di uomini e donne comuni ma non banali, che pur non dicendo niente hanno molto da raccontare.
Un lettura rapida come scene da fiction, con rapidi cambi d'inquadratura dove i collegamenti sono lasciati al lettore e alla sua fantasia. Un romanzo semplice senza troppi significati nascosti, storie da bar e intrighi da dietro le persiane dove ognuno crede di conoscere la verità, che portano con se un buon sapore di fresco.
Consigliato!
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Alla ricerca di un tesoro nascosto
Siamo negli anni ’30 del secolo scorso ed il fascismo si sta radicando sul territorio. A Bellano, sul lago di Como, due carabinieri si guardano in cagnesco presso la locale stazione dell’Arma per motivi di prestigio e territoriali: uno è il sostituto comandante, brigadiere Efisio Mannu, sardo, l’altro è l’appuntato Misfatti, siciliano, sempre ansioso di dimostrare la sua abilità investigativa su quel “mangia pecore” di Mannu, che, purtroppo per lui, è superiore in grado. Tra i due, il bergamasco Locatelli, giovane e sprovveduta matricola, non perfettamente a suo agio nei confronti dei due navigati colleghi. La tranquillità della Regia stazione è turbata dall’improvvisa irruzione di una anziana signora, piccola e petulante, che vuole denunciare il furto di un cuore (sconcerto tra i solerti tutori dell’ordine), intendendo per “cuore” la teca di un Sacro Cuore di Gesù, posto sulla testata del letto del fratello malato. Di qui, una serie inimmaginabile e convulsa di equivoci, una trama divertente che il bravissimo Andrea Vitali sviluppa con la consueta ironia e fulminanti battute in salsa bellanese .
A rincarare la dose, mentre il Mannu si dedica a tempo pieno a risolvere il rebus del Sacro Cuore sparito (ma lo sarà solo temporaneamente), l’appuntato Misfatti viene spedito perfidamente dal suo superiore ed a suo rischio e pericolo, a risolvere una vicenda scottante, quella cioè di un guaritore che sostiene di liberare dai vermi i pazienti che ne sono affetti, imprecando, ahilui !, nell’atto finale dell’esorcismo liberatorio nientemeno che contro Mussolini, commettendo quindi un periglioso gesto sovversivo, oltre che politicamente scorrettissimo.
Altri eventi contribuiscono a complicare la vicenda : una tomba profanata, il suicidio di un direttore di banca e la presenza, che aleggia su tutto il romanzo, di un considerevole malloppo (il quadretto del Sacro Cuore non conteneva altro che, oltre al religioso simbolo, la chiave da decrittare per ritrovare il tesoro nascosto). Su tutto e tutti, l’astuta, imperturbabile signorina Tecla Manzi, che non si lascia sfuggire il bandolo della matassa, circondata da una buffa congerie di personaggi ingenui e spontanei, che delineano bene l’Italia di quegli anni lontani.
Da leggere d’un fiato, lasciandosi coinvolgere dal fascino magico di un grande, genuino scrittore.
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“La signorina Tecla Manzi” di A. Vitali – Commento
La mano di Andrea Vitali pennella il ritratto de “la signorina Tecla Manzi” con sfumature gialle. La nubil-donna è un’icona tipica della poetica umoristica e umana dell’autore bellanese. Perché Tecla non è una velina (figura peraltro tipica della nostra sciagurata epoca, mentre il romanzo di Vitali è situato negli anni trenta, con retrospettive sino agli inizi del secolo), bensì “una donnetta secca secca come un missoltino”. Per i non comaschi, preciso che il ‘missoltino’ è l’agone essiccato, da mangiare con la polenta secondo la tradizione culinaria lariana. La signorina ha inoltre un passato di follia strisciante (è stata una pittrice di dubbio talento e una mistica visionaria), che getta molti dubbi sulla credibilità delle sue affermazioni.
La storia muove da alcuni eventi, che si intrecciano nella caserma dei carabinieri di Bellano. Questi i fatti:
1) “la Tecla” denuncia il furto di un oggetto kitch, apparentemente di nessun valore: un quadretto raffigurante il “Sacro Cuore di Gesù”;
2) il becchino del paese, tal Sabino Frascati, scopre con orrore che è stata violata la tomba di uno spregevole strozzino, in vita macchiatosi di molti peccati. I carabinieri, tuttavia, accertano che la salma non può appartenere all’usuraio, perché nella tomba profanata giace … il cadavere di una donna;
3) nella vicina Vendrogno un sedicente guaritore, specializzato in esorcismi vermifughi, richiede la recita di una formula anti-regime. Occorre pertanto indagare per accertare uno degli illeciti più frequenti in epoca fascista: il reato d’opinione.
Il drappello dei carabinieri è composto dal comandante pro tempore, il sardo brigadiere Mannu, dal siciliano appuntato Misfatti e dall’intellettualmente modesto Locatelli, giovane bergamasco con un passato di bracconiere.
Dunque: tre filoni di indagine, tre inquirenti e … tre fratelli Manzi. Oltre alla zitella Tecla, dominano la scena il fratello muto “dal viso grossolano e rincagnato”, collaboratore dell’usuraio, e il redivivo Nello che, fuggito dalla sua strana famiglia, ha simulato di essere rimasto vittima di un crollo al traforo del Sempione.
Sullo sfondo, l’atmosfera lacustre di Bellano e delle Prealpi.
Il finale è “alla Vitali”: con sorpresa e riflessione etica.
Il romanzo è divertente, forse un po’ troppo fitto di personaggi e situazioni. Lo stile è quello al quale l’autore ci ha abituati: rapido, accattivante, faceto e condito di umorismo.
Bruno Elpis