La ragazza con la Leica
Letteratura italiana
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E invece no
La fotografia in copertina catalizza l’attenzione su un personaggio affascinante e degno di essere narrato.
Aggiungiamo quel sottotitolo impresso, che ricorda la vincita del premio Strega 2018 e pare essere garanzia di una buona lettura. Invece no.
Scrittura piatta e priva di pathos, nemmeno il minimo sindacale che questa giovane rivoluzionaria avrebbe meritato.
La narrazione è talmente fitta di dettagli e precisazioni, amalgamati in maniera pessima, che difficilmente si riesce a procedere fluidamente. Più volte ho dovuto tornare sui miei passi, perdendo il filo del discorso ed annaspando confusa.
Pagine saltate, pagine sofferte.
Tanto intenso il prurito per cui le mie unghie hanno cercato sollievo, che quel nido di cimici schiusosi in una notte di Sri Lanka e’ un ricordo corroborante, a confronto.
Spendo queste righe veloci per dire che, nel mio Inferno, appartiene all’anello degli Illeggibili.
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La storia d Gerda
La storia di una fotoreporter degli anni '30 dello scorso secolo, Gerda Taro, alla cui immaginazione si deve l’invenzione del nome d’arte col quale è universalmente conosciuto un altro famoso fotografo– Robert Capa.Prevale prepotentemente da queste pagine la gioia di vivere di una giovane donna, che però solo a 37 anni perde la vita, nel suo breve percorso terreno però sono tanti gli aneddoti che due testimoni in particolare, anche suoi amanti, raccontano nel libro.
Una frase mi ha colpito relativa al momento storico narrato, cioè poco prima della seconda guerra mondiale, e prima di morire sotto un carro armato mentre documenta la caduta della Spagna repubblicana.
“Scattava a raffica in mezzo al delirio, la piccola Leica sopra la testa, come se la proteggesse dai bombardieri”
Particolare
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L’aria era satura di primavera socialista
Helena Janeczek raffigura Gerda Taro, La ragazza con la Leica, attraverso il contributo di tre testimonianze. Due amanti medici e l’amica di sempre: Willy Chardack, Buffalo, N.Y., 1960; Ruth Cerf, Parigi, 1938; Georg Kuritzkes, Roma, 1960.
La breve vita di Gerda Pohorylle rappresenta la trama spesso sotterranea di narrazioni che ripercorrono la parabola della giornalista (“La nostra Gerda suona la Remington come uno Steinway”) che diviene fotografa di guerra accanto ad André Friedmann, (“L’ungherese con la Leica… Friedmann? Simpatico gradasso… fatti la barba, con i tempi che corrono il genere maudit è svalutato”), meglio conosciuto sotto pseudonimo (“Come diceva il poeta maledetto: Je est un autre. Dovete chiamarmi Robert Capa”).
Siamo negli anni 30 e nel bel mezzo dei tumulti (“Il 1° maggio del glorioso 1936… la processione rossa convocata in place de la Bastille con il motto «pour le pain, la paix et la liberté» e la richiesta sindacale, concreta e rivoluzionaria, della settimana lavorativa di quaranta ore”) di un Europa percorsa sia dagli impulsi rivoluzionari (“L’aria era satura di primavera socialista”) sia dai gelidi venti della guerra e del nazifascismo.
La lettura non è semplice: la trama viene atomizzata nella dovizia dei particolari e nella molteplicità dei personaggi e dei punti di vista, il raccontare è pervaso da un afflato mitteleuropeo che si concretizza in frequenti espressioni in lingua francese e tedesca. Talvolta, anche al lettore navigato, può risultare difficoltoso concentrare l’attenzione sul fil rouge senza disperdersi nei mille rivoli della narrazione. E, se posso esprimere fino in fondo la mia perplessità, il profilo psicologico di una protagonista sicuramente affascinante e carismatica scompare nell’oscurità di frasi troppo dense o nella rarefazione di dialoghi concettuali e di rimandi culturali.
Giudizio finale: ostico, promettente, sfidante e anche proditorio rispetto alle aspettative.
Bruno Elpis
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Un ritratto approssimativo e didascalico
Ho trovato la lettura di questo libro molto difficoltosa. L'idea di far raccontare la vita e la personalità di gerda Taro da tre differenti personaggi non è stata molto felice. Ne emerge una figura di una donna idealizzata e molto stereo tipata. Sembra assurdo ma al termine del romanzo non sappiamo nulla di gerda Taro. L'autrice fa di lei un Santino rivoluzionario senza però mai approfondire la sua personalità. Le tre diverse voci narranti la descrivono in maniera superficiale e ripetitiva come una donna coraggiosa, ribelle e spensierata.
Si intuisce tuttavia il grande lavoro di ricerca storica compiuto dall'autrice, che trapela in modo eccessivo nelle pagine del romanzo.
Personalmente ho trovato i dialoghi poco realistici e molto didascalici.
L'opera resta sospesa, a metà strada tra biografia e romanzo.
Un vero peccato perché una figura come gerda Taro avrebbe meritato un omaggio diverso, soprattutto in termini di creatività e inventiva.
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una ragazza "caleidoscopio"
Elena Janeczek: scrittrice italiana nata in Germani da una famiglia di ebrei originari della Polonia, autrice di vari romanzi, ne La ragazza con la Leica, racconta la storia di Gerda Taro, minuta e bellissima, un metro e mezzo di orgoglio e ambizione, nata a Stoccarda, ebrea coraggiosa spregiudicata, volubile e volitiva. Cospiratrice anti nazista a Lipsia e a Berlino per amore di un uomo e della libertà, grande fotografa a Parigi a fianco di un profugo ungherese che deve alla sua immaginazione l’invenzione del nome d’arte col quale è universalmente conosciuto: Robert Copa. A ventisette anni, il 1 agosto 1937,Gerda muore sotto un carro armato mentre documenta la caduta della Spagna repubblicana.
“Era la gioia di vivere, qualcosa che esisteva, si rinnovava, accadeva ovunqu, prima a Lipsia, poi a Berlino.”.
La libera e sensuale Gerda ha lasciato un ricordo indelebile scavato nelle vite di chi l’ha incontrata. In un’Europa difficile ha segnato un modo di stare al mondo.
“Scattava a raffica in mezzo al delirio, la piccola Leica sopra la testa, come se la proteggesse dai bombardieri”.
Romanzo polifonico in forma d inchiesta, una ballata struggente, un inno alla breve estate dell’anarchia. Intreccia la memoria di Willy Chardack, ebreo, rifugiato a Parigi, di Ruth Ceref, ex modella e Georg Kuritzkes: memorie scandite dalla cronologia interiore del rimpianto o del risentimento, Gerda è l’oggetto di una straziante nostalgia. Tra affresco corale e nodi familiari, epica e memoir, il romanzo è uno scintillio di passioni. Una vicenda di erranze, fughe, sangui misti e meticciati, connivenze che creano comunità sovranazionali. Spiazzante, Gerda sapeva far girare la testa all’universo maschile, ci sguazzava come un pesciolino ornamentale nell’acquario, ma in modo insolito, palese, senza malizia, quasi candido. E’ lei il cuore pulsante capace di tenere insieme un flusso che allaccia epoche e luoghi lontani restituendo vita alle istantanee dei ragazzi degli anni ’30, alle prese con la crisi economica, l’ascesa del nazismo e l’ostilità verso gli ebrei e i militanti di sinistra.
Emergono insieme il lato eroico e quello frivolo, un caleidoscopio dalle mille facce, una scrittura sapiente e una profonda partecipazione emotiva. L’autrice si ancora alla verità storica: trova il punto di incontro tra la Storia e le storie immaginate, rintraccia il vero, lo ascolta e lo racconta consegnandoci il ricordo di una creatura incantatrice con una speciale vocazione per la vita.
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L'occhio che osserva e rivela
Sono sempre stata affascinata dai grandi fotografi che esprimono nel bianco-nero la loro arte. Questo pensavo fosse non solo un libro, ma un inno alla fotografia e soprattutto al potere che ha la lingua universale delle immagini. Inizia in effetti così. Ti insegna ad osservare. In una manciata di pagine ti fa capire quante cose ci sono “dietro” una semplice fotografia, che sembra anche quasi un’immagine banale: tanti particolari, tante sfumature, tanta ricchezza. Ma molto presto il libro si trasforma, di fatto, in un vero e proprio romanzo storico, ricco di fatti, di personaggi, quasi una cronistoria. Molto diverso da quello che mi aspettavo, credo che possa piacere molto di più agli amanti dei romanzi storici, perché fitto di riferimenti a fatti realmente accaduti, visti attraverso la lente di personaggi non comuni e comunque veri.