La Malnata
Letteratura italiana
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Contro le ingiustizie
E' una bella storia ma non credo rispecchi l'idea di "caso letterario" come invece viene pubblicizzata. Sicuramente è apprezzabile la scrittura, il contesto storico in cui si pone la storia è ben delineato così come i personaggi con tutti i loro limiti. Mi è piaciuta la genuinità di questa amicizia, la voglia di non arrendersi davanti alle ingiustizie e di non chinare il capo. Tuttavia alla fine del libro mi è rimasta come l'impressione che mancasse qualcosa e che si sarebbe potuto fare qualcosa in più.
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Operazione editoriale
Piccola storia della piccola Italia fascista, storia ambientata a Monza ai tempi della guerra in Etiopia, un piccolo universo umano opportunamente dicotomizzato in buoni e cattivi: i borghesi prepotenti, fascisti e sciupafemmine, i poveri, popolani e antifascisti, portatori di un’etica familiare positiva basata sull’amore e sul rispetto reciproco. In mezzo a questi due mondi una ragazzina che funge da cerniera, è Francesca Strada, la figlia di buona famiglia che incontra i Malnati, due ragazzini quattordicenni che trascorrono il loro tempo sul Lambro in compagnia della Malnata, Maddalena, tacciata dalla piccola comunità rappresentata come portatrice di sventure, una piccola strega, riconoscibile anche dal viso segnato da un angioma che dalla tempia scende al collo. Francesca e la Malnata diventano amiche tra alterne vicende e la maledizione della seconda ricade sulla prima la quale viene contaminata dalla cattiva frequentazione fino ad un epilogo risolutivo che giunge a sciogliere una brutta faccenda anticipata dal prologo e lasciata presagire al lettore.
Rimasta vaga sulla trama, onde evitare di sciogliere quei pochi nodi che rendono la lettura vivace ma prevedibile, mi esprimo sulla qualità dell’operazione editoriale messa in atto: è evidente che la capacità di scrittura della giovane autrice sia stata purtroppo oltremisura esaltata e finalizzata, un esordio letterario cui seguirà una serie televisiva e un’uscita contemporanea in traduzione in trentadue lingue. Non ho letto un capolavoro e ciò mi lascia perplessa, la scrittura è a tratti ingenua, casserei del tutto l’orribile episodio del primo flusso mestruale, affinerei la caratterizzazione psicologica, inserirei qualche anacronia e migliorerei l’ambientazione, farei lievitare la storia con un nutrito numero di pagine in più, tutte necessarie e smetterei di pensare ai romanzi come a prodotti da immettere nel mercato. Auguro alla scrittrice un percorso più autonomo e indipendente da queste logiche sperando che nel frattempo non la danneggino. Il romanzo verrà letto e apprezzato ma spero che il nuovo canone letterario possa nutrirsi di altro.
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Maddalena e Francesca
«La gente la chiama con un nome brutale [...] Lei l'ha indossato come un'armatura e adesso ne va fiera. È una ragazza forte. Non le interessa quello che dicono gli altri. E di questi tempi è l'unica cosa che conta.»
È un esordio fortunato quello di Beatrice Salvioli, diplomata alla scuola Holden e la cui opera prima, “La malnata”, vede la pubblicazione in contemporanea in Europa. Una storia forse non originalissima, con diversi déjà-vu ma anche con una buona ambientazione, una ricostruzione storico-sociale abbastanza fedele e un legame d’amicizia che sa trattenere.
Come ne “L’amica geniale” di Elena Ferrante anche questa volta le protagoniste sono due bambine preadolescenti tra loro estremamente diverse. Provengono da contesti sociali differenti, le classiche figure che raramente viene facile pensare che possano incontrarsi nella vita. Tuttavia, la curiosità è una delle caratteristiche principali dell’uomo e la diligente e tranquilla Francesca Strada non resiste alla fama della Malnata, sua coetanea nota per essere considerata dal popolo al pari di una piccola “strega”. Vuoi perché le sue profezie portano disastri, vuoi perché porta male, vuoi per quel bambino, suo fratello, caduto o spinto giù dalla finestra, ella ha una fama che non lascia possibilità d’appello ai più.
Monza, 1936. Il Duce è presente nella testa della classe media, il fascismo è una realtà conclamata. È festa per quella dichiarazione di guerra all’Etiopia, una delle tante decisioni fatte passare come successi e scelte strategiche ma di poi dimostratesi, come la Storia insegna, un disastro.
La famiglia di Maddalena Merlini è in una condizione di miseria, una condizione di miseria che si aggrava con la partenza del fratello Ernesto per l’Africa. Già quando lavorava alla fabbrica Singer la situazione non era idilliaca, figurarsi ora che è costretto a lasciare la madre e le sorelle senza mezzi ma che è anche costretto a rinunciare al matrimonio con Luigia che resterà in patria ad aspettarlo.
Anche il clima in casa è diverso nelle famiglie delle due protagoniste. In casa Merlini, nonostante tutto, vige l’allegria e la stessa Francesca, abituata a un affetto ben diverso, viene accolta con calore. In casa Strada il padre è sempre al lavoro nel cappellificio di famiglia, la madre è vistosa, conformista e dedita alle apparenze, legata ad una figura potente del posto, il fascista Colombo, padre di due ragazzi a cui è riservato un ruolo non di poco rilievo nella vicenda. Non stupisce, dunque, che Francesca sia sorpresa e affascinata dall’affetto che invece vige in casa della Malnata.
Tra i personaggi “satellite” che ruotano attorno alle due figure principali ecco Matteo e Filippo, gelosi del rapporto tra Maddalena e Francesca tanto da faticare ad accettare quest’ultima, ed anche Noé, figlio del fruttivendolo di Tresoldi e portatore di autenticità e di un amore silenzioso, ed ancora Carla, la domestica che aiuterà Francesca nelle sue imprese di fuga per raggiungere l’amica.
A ciò si aggiunge il contesto storico, l’indottrinamento fascista totalizzante, il maschilismo che regna incontrastato, gli uomini crescono violenti e le donne sono strumenti per il piacere che devono stare al loro posto. Può Maddalena vivere e resistere in un contesto del genere? Può non emergere nel suo essere sovversiva?
«Di lei parlavano segnandosi le labbra con una croce o facendo un gesto stizzoso con la mano come a scacciare una vespa, quasi ne avessero paura. Di una ragazzina che avrebbe dovuto rifare il primo ginnasio, gli adulti parlavamo come di una brutta malattia, un pezzo di ferro arrugginito, di quelli che ti tagli, ti viene la febbre alta e muori.»
È una ragazza come tante, che non cerca altro che affetto e giustizia, che sfida tutti e si comporta come una selvaggia; Francesca è la sua unica e prima amica ed è il suo esatto opposto. Ciascuna impara dall’altra, tra sfide che le vedono solidali tra soprusi e falsità. La prima a subirne è proprio la Malnata a causa della sua fama e del pregiudizio che le ruota attorno.
Ferite, violenza, morti precoci. Denominatori che in questa storia non mancano e che si sommano a tanti altri elementi che si incastonano tra loro. Ad osservare gli avvenimenti vi è il fiume Lambro che osserva i giochi dei ragazzi, che osserva la violenza gratuita che viene perpetrata.
Scena profetica è quella relativa alla corsa automobilistica del Gran Premio che si svolge nell’autodromo di Monza, che vede gareggiare Tazio Nuvolari alla guida dell’Alfa Romeo in Ferrari contro un tedesco alto e biondo, una scena che rimanda a quell’Italia fascista che soccomberà ai nazisti.
A narrare le vicende è Francesca, colei che conosce a memoria il decalogo de “Piccole italiane”, la classica prima della classe, la classica giovane vestita come una signorina perbene, ma che non si sottrae a un’amicizia vera. Per lei mente, rinuncia, fugge, tradisce, pensa, vive secondo principi diversi da quelli sino ad allora appresi.
Una storia d’amicizia e di grande affetto tra due ragazze che vivono in uno dei periodi storici più complessi e bui del nostro tempo. Tra ingiustizie e coraggio.
La Malnata di Beatrice Salvioni è un romanzo di formazione, una storia che nasce e si sviluppa sapendo sfruttare una buona idea. Non originalissima, infarcita anche di quei giusti tratti idilliaci difficilmente esistenti in un contesto quale quello delineato, ma ben coniugata ai fini. Non viene meno, a tratti, il pensiero che riporta ad altre opere della letteratura contemporanea quali L’Arminuta, Oliva Denaro, L’amica geniale, Il treno dei bambini etc e che ne tratteggia una colleganza inevitabile. Con le sue pecche e i suoi punti di forza, con qualche sbavatura dal punto di vista del ritmo, lo stile è ancora un poco acerbo e molto in linea con il format holdiano. Un ottimo prodotto.
«[…].Forse significava questo, essere grande e donna: non era il sangue che veniva una volta al mese, non erano i commenti degli uomini o i bei vestiti. Era incontrare gli occhi di un uomo che ti diceva “Sei mia” e rispondergli: “Io non sono di nessuno”»
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Un bellissimo esordio
Un bell’esordio questo di Beatrice Salvioni con il romanzo di formazione “La malnata”. La storia si svolge a Monza nel periodo del fascismo, la guerra di Abissinia ormai alle porte. Protagonista è la voce narrante, Francesca, adolescente di buona famiglia, che appoggia il regime, va a Messa la domenica e partecipa alle adunate del popolo in divisa. Viene educata in un mondo di regole, deve stare lontana da compagnie considerate cattive e diseducative e soprattutto dai maschi. E non deve dimenticare di essere una femmina e seguire i clichè che la famiglia e i tempi impongono alle donne.
E poi c’è Maddalena, detta la “Malnata” perché di lei si dice che porti sfortuna. Ruvida, forte e fragile al tempo stesso, Maddalena è di famiglia modesta ma viva di quella che a Francesca appare finalmente vita vera. Vive in una zona popolare della città e le è morto tragicamente un fratellino da piccolo.
Francesca è attratta dalla Malnata e dai suoi amici in modo incontenibile: li vede andare a passare il tempo a piedi nudi sulle rive del Lambro rincorrendo gatti e lucertole, giocare a suonare i campanelli e scappare e, se capita, rubacchiare ciò che non possono comprarsi. Ed è proprio da un cestino di ciliegie che a Francesca non viene comprato e che Maddalena e i suoi amici rubano che nasce l’amicizia tra le due. “Io non ho paura di niente”, il motto della Malnata spesso ripetuto che continua a risuonare dentro Francesca che a poco a poco si distacca dal suo essere perfetta secondo le convenzioni e inizia a spendere bugie con la madre pur di trascorrere un po’ di tempo con Maddalena e i suoi amici, per andare anche lei sul Lambro e avere alla fine le ginocchia sbucciate e graffi qua e là che per lei sono segni dell’essere vivi. L’estate più bella che Francesca abbia mai vissuto, un’estate nella quale finalmente Francesca sente il profumo della libertà, di ciò che a lei è sempre stato proibito perché male per scoprire che male non è. E Francesca sente in modo evidente, pur senza ragionarci, che in quella libertà non risiede ciò che va rifuggito che va invece cercato altrove, forse nelle privazioni che le sono state imposte da convenzioni e nell’asservimento a un codice morale sbagliato e accettato supinamente.
E alla fine Francesca troverà la forza della ribellione alle ingiustizie in un bel finale in crescendo.
Non è il capolavoro della vita questo di Beatrice Salvioni, ma è sicuramente un romanzo ben congegnato, ben scritto e molto godibile.
Lo stile è piano e facilmente leggibile, i personaggi che ruotano intorno alle due protagoniste sono ben disegnati e funzionali al racconto. Bella a mio parere la figura del padre, il cui dissenso dalle convenzioni è molto tiepido ma sicuramente in linea con il racconto. O forse, più che di dissenso, il padre di Francesca è solo un uomo disilluso per aver capito ciò che è chiaro a molti ma che gli è necessario per mandare avanti l’azienda. Chissà. Contrariamente alla madre, che fin nel profondo soggiace a convenzioni e pregiudizi.
Belle le figure dei familiari di Maddalena e l’atmosfera semplice, accogliente e piena di sentimenti che sanno creare nella loro modesta casa soprattutto se confrontata con quella di Francesca.
E non tralascerei neanche Noè, il figlio del fruttivendolo, dalla parte di Francesca e della protagonista. Un ragazzo semplice e buono che vive le ingiustizie come sue ed è disposto a rimetterci in prima persona. Forse perché quel padre così burbero che ha alla fine si rivela più comprensivo di quel che si penserebbe.
E naturalmente i Colombo, l’altra metà, quella “cattiva”, perfetta rappresentazione di un mondo nel quale conta solo la classe sociale e l’appartenenza al fascio.
“La malnata” vale la pena di essere letto e rimane uno splendido inizio di un’autrice che ci auguriamo ci dia nuove soddisfazioni.