La guerra privata del tenente Guillet
Letteratura italiana
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Cummandar-as-Shaitan
Siamo nel 1941 quando l’esercito italiano, sconfitto dal nemico britannico, deve rinunciare al controllo dell’Eritrea abbandonando di fatto le sue velleità di colonialismo nel Continente Nero. La batosta sembra aver convinto tutti, governo di Roma compreso, a deporre le armi e lasciare le ex colonie. Soltanto un ufficiale, seguito dai suoi fedelissimi ascari, continua a combattere costringendo il nemico a non abbassare la guardia e impedendogli di lasciare il Corno d’Africa per unirsi agli altri contingenti impegnati in Egitto. Una resistenza che appare del tutto insensata visto il contesto, ma che allora era forse l’unico modo per cercare di aiutare i connazionali impegnati sul fronte nord-africano e che la dice lunga sul coraggio, la determinazione e l’amore per la patria di questa sorta di epico guerriero di nome Amedeo Guillet, noto con il leggendario soprannome di Cummandar-as-Shaitan, ovvero il Comandante Diavolo. Conosciamo questo controverso personaggio attraverso il ritratto che ne traccia quello che è stato al tempo stesso suo nemico e profondo estimatore, Vittorio Dan Segre. L’autore racconta le intrepide gesta dell’ufficiale italiano e dei suoi uomini delle Bande Amhara a cavallo prima nella guerra regolare, poi nella guerriglia successiva alla sconfitta. Contravvenendo alle direttive dei vertici del regime che intimano a tutti i militari la resa, Guillet sveste la divisa ufficiale, cambia nome e aspetto diventando il musulmano yemenita Ahmed Abdallah Al Redai e continua una sorta di guerra privata affiancato dai suoi leali soldati indigeni che accettano di seguirlo soltanto in virtù del suo carisma e della stima che provano nei suoi confronti, senza paga, spesso senza acqua e senza cibo, al servizio di una corona e di una bandiera straniere ma spinti dalla profonda e ineluttabile devozione per il loro comandante. Poi la tormentata fuga verso lo Yemen, il rimpatrio e la ripresa delle armi questa volta al fianco degli alleati perché, in ogni caso, ciò che lo spinge a combattere è sempre e solo il bene della sua nazione. La magia dei paesaggi africani, il fascino esotico dell’avventura, l’ascendente di un personaggio leggendario, l’interessante contesto storico sono tutti punti a favore di quest’opera in cui c’è spazio anche per l’amore, con un protagonista diviso tra la dolce cugina Bice che lo aspetta in patria per sposarlo al suo ritorno e la bella concubina Kadija, inseparabile compagna della sua vita africana. Se tutto ciò fosse stato raccontato con una forma più romanzata ne sarebbe venuto fuori un libro straordinario. Invece Segre sceglie una forma a metà tra romanzo e dossier che però non ha né la forza emotiva del primo, se non in rari passaggi e in forma molto lieve (per esempio nel capitolo “Al Sayed Ibrahim”), né l’ordinata struttura del secondo, perché le informazioni passano continuamente da un argomento ad un altro, spesso si ripetono e a volte si soffermano su dettagli di scarso interesse. La prosa del tutto asettica e la freddezza della narrazione contribuiscono poi ad abbassare il valore di un’opera che non riesce mai a sfruttare completamente l’ottimo potenziale di partenza, ma che rimane comunque una lettura interessante per conoscere meglio un periodo storico spesso trascurato e un grande patriota che in pochi hanno anche soltanto sentito nominare.
Indicazioni utili
- sì
- no