La gloria
Letteratura italiana
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A ciascuno la sua ora
Una ricostruzione interessante, forse non pienamente convincente, della figura di Giuda. Giuda racconta con una certa piacevole ironia il suo Gesù: un Messia originale, il migliore in un'epoca brulicante di messia, ma che non riesce appieno a entrare nei propri panni e dice sempre qualcosa di strano o di sbagliato lasciando sbigottito o incredulo l'interlocutore. E' un Gesù che scaccia i demoni mandando in rovina l'allevatore di porci ma simpatizza con i romani, che litiga al tempio con i poveri mercanti, che con tutti non ci sa fare, non risponde alle aspettative, che in casa sua a Nazareth è trattato da impostore. Il più fedele e ardito dei discepoli, Giuda, fiducioso fino alla fine, fedele alle sue direttive fa più bella figura di Giovanni invidioso, ma non bugiardo. In cielo un Dio nascosto molto bene a tutti. A me è piaciuto, soprattutto il finale e l'ironia dei tempi: Gesù risulta ogni volta con le sue uscite o fuori luogo o fuori tempo, stonato rispetto alle aspettative.
Indicazioni utili
Vittima del disegno divino
L’idea di raccontare la storia dei vangeli da punti di vista diversi da quelli canonici è sempre stata, diciamolo, piuttosto gettonata: forse perché scoprire diverse prospettive di quella che in fondo è la storia più raccontata di sempre ha sempre intrigato fiumane di lettori, soprattutto quando la prospettiva proposta può frantumare archetipi e idee radicate nei secoli. La prospettive oscure sono quelle che ci spaventano e ci attirano di più al tempo stesso, e scrittori di diverso tipo e fama si sono cimentati in quest’impresa: basti pensare a “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” del premio Nobel José Saramago, fino ad arrivare ad autori nostrani come Giuseppe Berto, con questo romanzo intitolato “La Gloria”.
Il punto di vista adottato è, in questo caso, quello che forse intriga più di tutti: quello dell’oscuro traditore, dell’uomo che ha venduto il figlio di Dio per trenta denari, il simbolo dell’infamia: Giuda Iscariota. È proprio lui a raccontarci le vicende: un narratore interno ma allo stesso tempo posto a un livello superiore agli eventi; un Giuda che guarda al suo proprio cammino col distacco della morte, dell’onniscienza, capace addirittura di citare pensatori che lo seguiranno di duemila anni quali Camus o Engels. Una narrazione che può risultare interessante per certi versi ma in certi altri fa storcere un po’ il naso, perché questo narratore non lo si riesce bene a inquadrare: conosce aspetti d’un futuro che non ha potuto vedere per ovvie ragioni, ma ignora alcuni dei fatti del suo proprio presente coi limiti d’un narratore in prima persona, calato all’interno delle vicende e dunque incapace di descrivere avvenimenti ai quali non ha assistito (ma solo in certi casi). Il lettore non ha bisogno di conoscere alcun tipo di tecnicismo: alcune cose le avverte inconsciamente, sente che qualcosa non quadra, e questa narrazione si inceppa frequentemente.
Giuda, oltretutto, è un po’ ripetitivo: ribadisce gli stessi concetti in diverse parti di un romanzo che, oltretutto, ripercorre eventi che molti di noi già conoscono. Uno dei suoi obiettivi sembra essere quello di approfondire alcune situazioni strettamente legate all’esperienza di Giuda Iscariota - come il tradimento stesso - ma trattate sommariamente dalle Scritture, ma non centra l’obiettivo con abbastanza forza. L’idea di Giuda come di uno strumento senza via di scampo del disegno divino e l’ingiustizia del suo destino sono motivi molto interessanti, a cui tuttavia Berto non riesce a dare la forza necessaria a renderli indelebili né a scatenare una riflessione che sia veramente profonda. Giuda si fa vittima, si comprende il paradosso della sua vita, ma l’empatia che dovrebbe permetterci di capirlo appieno non scatta.
Peccato.
“Forse, Rabbi, a mete più modeste era destinata la nostra grandezza. Ma una volta deciso che il punto d’arrivo doveva essere la gloria, non fui io a mancare.”