La fortuna
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Tra lava e cenere
La devastante eruzione del Vesuvio dell'anno 79 d.c. è storia ma anche leggenda narrata da una folta schiera di penne a partire dai testimoni oculari miracolosamente scampati a coloro che si occuparono di riportare episodi raccontati e tramandati con il tempo.
Fiumi d'inchiostro hanno riempito pagine fotografando una delle catastrofi naturali e umane più eclatanti del mondo antico.
Con il romanzo breve intitolato “La fortuna”, Valeria Parrella contribuisce a ridare vita non solo al momento eruttivo ma a quella fetta sfortunata di umanità coinvolta, sradicata nel giro di qualche minuto dalla propria casa, dagli affetti, dalla vita.
E così il romanzo ruota attorno al giovane Lucio, poco più che adolescente, essere fragile marchiato da un difetto fisico che lo ha sempre relegato ai margini della società, considerato come non idoneo a svolgere le stesse attività di un coetaneo. Eppure la rivincita di Lucio sarà quella di superare le barriere del pregiudizio tanto da imbarcarsi su una quadriremi, la Fortuna appunto, della flotta imperiale capitanata dal celebre Plinio il vecchio e stanziata a Miseno.
L'intento dell'autrice non vuole essere descrittivo su temi naturalistici, qualche accenno modulato con lirismo ne dà una buona misura, bensì è volto in toto all'analisi umana, rappresentando le sfaccettature psicologiche di un giovane uomo la cui vita è divisa tra un “prima” e un “dopo” l'eruzione del Vesuvio.
Lirico, intimistico, poetico. Una rappresentazione di morte, rinascita e sopravvivenza, analizzata attraverso gli occhi deboli del protagonista che dopo aver visto il volto del terrore, si consacra ad un futuro da adulto.
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La linea d'ombra di Lucio
Il breve romanzo ci prende con il fascino delle storia antiche. E quale storia! Una delle più note e delle più visitate: l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e la distruzione di Pompei. Romanzo storico, questo della Parrella? L’autrice nega questa classificazione, ma a rigore il romanzo lo è, perché vi compaiono i due elementi essenziali del genere: lo sfondo storico, ricostruito con cura filologica, l’invenzione di personaggi come Lucio, il protagonista, i genitori, il suo amante Aulo, l’amico Secondo, intorno ai quali ruotano figure reali come Plinio il Vecchio, Quintiliano, Marziale, l’imperatore Tito. Forse la scrittrice vuole segnalarci che la sua attenzione è rivolta più al mondo interiore del protagonista che al rapporto tra personaggio e storia. Tutte le vicende sono infatti filtrate dalla voce di Lucio, l’io narrante, attraverso uno stile dolente e malinconico nella rievocazione, epico e tragico nel racconto della catastrofe, sentenzioso nel ricavare una lezione universale dall'esperienza vissuta, ricercato ed elegante, quasi al limite del lezioso, nell’inseguire il flusso dei pensieri attraverso un periodare non privo di soluzioni originali. Il principale tema del racconto è legato ad una disabilità, la cecità ad un occhio, che il protagonista non subisce con rassegnazione, ma accetta come stimolo: “ il limite esiste solo per chi lo avverte come tale, sennò non è niente”. Questa forza d’animo di un giovane aristocratico dell’età dei Flavi, sembra riflettere una formazione stoica, in particolare una concezione agonistica dell’esistenza, la coscienza dell’eterna lotta tra la volontà dell’individuo e l’insieme delle circostanze, dei limiti oggettivi, delle situazioni di partenza, in una parola della Fortuna, all'interno dei quali si è chiamati ad agire. Non a caso è questo il nome della nave di cui Lucio avrà alla fine il comando, questo il titolo del romanzo ( si ricordi che il termine originario non ha il significato attuale, ma quello di sorte, in un’accezione neutra).
Sulla scia di Linea d’ombra, Lucio affronta una situazione analoga a quella del giovane, innominato ufficiale del romanzo di Conrad, che prende il comando di una nave e s’imbatte in una serie di avversità, tra le quali una bonaccia che sembra non voler più finire. Entrambi riescono alla fine a portare in salvo l’imbarcazione loro affidata e a superare la linea d’ombra che li separa dalla prima gioventù, in entrambi i casi siamo nell'ambito del romanzo di formazione. Ma ne “La fortuna” gli uomini si scontrano con un fenomeno che sfugge alla loro esperienza e conoscenza di naviganti e questo rende particolarmente drammatiche le loro reazioni.
L’eruzione del Vesuvio, che apre il racconto e sostanzialmente lo chiude, insieme all’epilogo, scandisce un tempo narrativo circolare e la sua descrizione riesce particolarmente viva ed efficace: il cataclisma sta cambiando tutti i punti di riferimento e modificando la stessa linea di costa, mettendo in crisi le categorie con cui di solito il navigante osserva il mare e regola le proprie decisioni. Viene continuamente sottolineata la enormità, l’ eccezionalità di un fenomeno del quale i marinai non hanno esperienze e conoscenze pregresse e che li terrorizza proprio per questo. Non a caso il pur giovane Lucio è l’unico capace di offrire ai compagni una parola di conforto: sono la cultura, la conoscenza della letteratura , della storia, dei classici a fornirgli un supporto per spiegare, comprendere, accettare e far accettare quello che sta avvenendo
A questo lavoro incessante di arricchimento della memoria contribuirà lo stesso protagonista che, su incarico del vecchio scienziato, redigerà una sorta di diario di bordo e disegnerà le nuove mappe di navigazione. Per questo suo duplice successo, aver riportato in salvo i marinai e integra la nave, e aver fornito memoria dei fatti e strumenti aggiornati di conoscenza, Tito lo accoglierà a corte e gli assegnerà una posizione di privilegio. Ed in questo modo Lucio porta avanti la ricerca dello scienziato morto per aver voluto osservare da vicino l’eruzione, con un passaggio di testimone su cui si regge l’evoluzione della scienza e delle conoscenze. Aver scoperto, come afferma Plinio, che il Vesuvio è come l’Etna, è solo una tappa di questa perenne evoluzione.
Ma Lucio non è solo il comandante di una nave che deve soccorrere o registrare il fenomeno: è anche amico, concittadino, parente, figlio di coloro che il vulcano ha ucciso, abitante di quella città che non esiste più e che lui vede da lontano, mentre viene divorata dall'eruzione. Quella scena di rovine e di morte gli era già apparsa in una misteriosa visione divenuta tragica realtà. Quelle case che oggi visitiamo, i mosaici, le strade, i calchi, appartennero ad uomini come noi e la nostra curiosità di visitatori non esclude lo sguardo dell’ umana pietà.
La Fortuna è un romanzo breve nel quale, come spesso avviene, al di là delle buone capacità e del valore dello scrittore, la materia è già di per sé ricca di fascino e tale da suscitare sentimenti di condivisione, passione per quello che è stato, identificazione con quello che fummo, universalità dell’essere umano oltre i confini e le barriere del tempo e delle epoche storiche. Il tutto è arricchito nell'autrice dalla nota personale di un rapporto privilegiato con quegli scavi che frequentò da bambina, quando la sera, mentre i visitatori uscivano, lei entrava per raggiungere la madre, biologa e responsabile dei lavori, all'interno della città sepolta. Un legame destinato, dopo tanto tempo, a riaffiorare e a dettare l’urgenza di una nuova rivisitazione della tragedia dell’antica Pompei. E così la “lenta ginestra” leopardiana, inopinatamente citata da Lucio, rinasce sulla morte, oltre la morte, in virtù della memoria e della scrittura.
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Terrificante prodigio
…” Eppure.
Eppure quando sembra tutto sparito un uomo si ferma e ricorda. E in quella memoria germoglia il futuro come fiore del deserto”…
Questo lungo racconto di Valeria Parrella, perché tale può definirsi, ripercorre nel presente attraverso la voce del giovane Lucio i momenti tragici dell’ eruzione del Vesuvio ( 79 d.c ) che ha sepolto e ricoperto di morte la città di Pompei.
C’ è un prima e un dopo il prodigio, un luogo natio vivo e pulsante, variegato e variopinto, voci ed echi di uomini e Dei, schiavi, mercanti, senatori, artisti, prostituite, insegnanti, un luogo della memoria che Lucio ha vissuto e amato sin da bambino, tra sogni e desideri, realtà e immaginazione, luci e ombre, paura e coraggio.
Lui è nato il giorno del terremoto, ricco di famiglia, cieco da un occhio e per questo condannato a essere quello che non vuole, il suo destino nelle mani della Parca.
La vita lo porterà a inseguire fortuna e desiderio, a prendere in mano i propri giorni, a riconoscere e a coltivare lo stupore, gettando la maschera della paura per attraversarla, un percorso molto umano e poco divino.
Lucio non ama retorica e leggi, che è costretto ad apprendere alla scuola di Quintiliano per volere paterno, è uno spirito libero che sogna di andare per mare, di servire il mare, non con l’ idea del comando, ma per semplice esigenza e aspirazione.
Non vuole essere alla guida di una nave, vorrebbe viverla, occuparsene, curarla, quando è a bordo non pensa ne’ al passato ne’ al futuro, immerso nel presente, in un mondo da vivere intensamente, nessuno spazio colmabile dalle parole.
Grazie allo studio conoscerà’ l’ animo umano, ne comprenderà la psicologia, un’ umanità così strana che crede e si affida al passato più che al presente, qualcuno pensando di essere vivo, qualcun’altro di morire al più presto.
Ci sarà un momento in cui capitanerà una nave, la Fortuna, mentre il prodigio si mostra all’ orizzonte, un soffio mortale precipitato dal monte. In quegli attimi deve decidere, vivere o morire, momenti in cui comprende il significato degli studi intrapresi, l’ essere al servizio degli altri, l’ orientarsi quando non si vedono le stelle, facendosi tramite dell’ indecifrabile agli occhi dei marinai.
È allora che si inoltra in una nebbia coperta di cenere, orientandosi senza vedere, camminando su luoghi sepolti, scomparsi, sommersi, inginocchiandosi a pregare nella cenere, attorniato da una distesa di superstiti inebetiti e moribondi.
È allora che inizia un confronto diretto con la vita e la morte, …” nella catastrofe non è possibile nessuna postura, nessuna grandezza. È eroe chi sopravvive a quel momento, chi lo conserva e continua a vivere “….
Alla fine, ahimè, è sufficiente farsi custodi del mondo vissuto, ricercando nella quotidianità qualcosa cui aggrapparsi, un gesto ripetuto che ci colleghi alla vita di prima, quando c’ era una vita, sperando nella restituzione di un corpo da piangere.
“ La fortuna “ è un testo molto curato nel quale si assapora il gusto della parola, così caro all’ autrice, che riporta nel presente un evento storico tanto funesto attraverso la vita e i pensieri di Lucio.
In passato avevo apprezzato l’ autrice ( penso ad “ Almarina “ ), qui il risultato è un costrutto dotto ma piuttosto asettico, solo a tratti poetico senza la forza espressiva che la contraddistingue.
Pochi dialoghi, una rappresentazione fredda, formale, lenta, piuttosto uniforme di una vita, l’ enorme lascito della classicità piuttosto compresso, personaggi freddi, per un esito non entusiasmante, solo l’ ultima parte ci restituisce la forza pulsante di una tragedia consumata, in bilico tra il terrore cieco di una morte imminente e l’ irrefrenabile desiderio di vita.
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- sì
- no
Lucio
«Ognuna di queste paure dice sempre la stessa cosa: ci ricorda che non siamo dei e che possiamo morire. Per la più piccola o la più grande impresa: noi possiamo morire, perché affrontandola scopriamo che non ne eravamo all’altezza, che quello non era il nostro posto nel mondo né il nostro destino né avevamo sufficiente abilità per sederci al tavolo di quel gioco. Se falliamo, moriamo. Io dunque credo che ogni paura sia un piccolo gioco con la morte: un avvistamento a cui possiamo decidere o meno di dare seguito: il cane che punta verso il cespuglio quando non sai ancora se lo asseconderai. […] Invece. Invece dal momento in cui il nocchiere ha detto: “Torniamo indietro”, io ho capito che l’unico modo per superare la paura è attraversarla.»
Il suo nome è Lucio ed è tramite la sua voce che conosciamo di questa storia narrata da Valeria Parrella con cui viene descritta la devastante eruzione del Vesuvio occorsa nel 79. d.C. La vicenda ha inizio in un lasso temporale antecedente e concomitante, una fase in cui conosciamo il protagonista ancora bambino e assistiamo al suo crescere, ai suoi sogni, a quel destino che sembra preordinato per lui. A quella vista, a quel difetto che lo porta ad essere vittima di un pregiudizio e di un destino stabilito da altri per lui. Pur tuttavia egli riesce a imbarcarsi su una quadriremi, “La fortuna”, flotta imperiale capitanata da Plinio il vecchio e stanziata a Miseno.
«Ognuno di noi dentro di sé sa cosa vuole, sempre, anche quando si professa disorientato. Ma quando si è molto giovani le possibilità della vita si partono da noi come raggi di una stella: sono tutti ugualmente splendenti, e per me quel bacio significava che uno di quei raggi sarebbe stato mio.»
Da queste brevi premesse ha inizio uno scritto che si prefigge di ricordare di una catastrofe ma anche di soffermarsi, con una vena lirista, su temi naturalistici.
Vi è infatti un prima e un consequenziale dopo l’eruzione. Tassello fondamentale per delineare le evoluzioni della storia. Tuttavia lo scritto non convince pienamente. Non si tratta d’altro che di un lungo racconto molto arioso, con ampia interlinea, margine e carattere, un racconto di appena 137 pagine che sono in realtà molto meno. Lo stile non ha mordente, tende ad annoiare, la vicenda è piacevole ma non riesce a trattenere. La scrittura è piatta, volutamente artefatta, lenta. Sfianca. Autocelebrativa. Peccato perché sarebbe stato un buon contributo per ricordare di un evento che ha segnato il mondo antico.
«L’idea che ci facciamo del mondo finché non ci diranno, no ce n’è un’altra porzione, no ci sono altre leggi, no non ci vedi bene – oppure non te lo diranno mai e allora ti crederai quel mondo finché non arriverà il sicario a rimetterti al tuo posto.»