La fontana di Bellerofonte 1820
Letteratura italiana
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Sogno di libertà
Sconfitto definitivamente ed esiliato Napoleone Bonaparte, con il Congresso di Vienna si sancì il nuovo ordine europeo che in pratica era un ripristino dello status quo prima della rivoluzione francese. E proprio per questo prese inizio un periodo di restaurazione che negò qualsiasi libertà, con una immobilità propria dell’assolutismo. Per quanto la quasi totalità delle popolazioni interessate avesse accolto tiepidamente i principi rivoluzionari, quando addirittura non li avesse minimamente recepiti, nelle classi più istruite questi avevano attecchito e di fronte alla prospettiva di uno stato che negava la benché minima rappresentatività si erano venute a costituire delle società segrete (le carbonerie) volte senz’altro a ottenere almeno uno Statuto , cioè delle leggi cardine a cui i sovrani avrebbero dovuto attenersi e che prevedessero un minimo di democrazia; in altri casi, oltre a questo scopo, era pure presente, in nuce, l’aspirazione di restituire l’Italia agli italiani. Il pronunciamento del 1° gennaio 1820 a Cadice di alcuni ufficiali dell’esercito spagnolo portò alla concessione di una Costituzione e rappresentò la scintilla affinché altri popoli seguissero la stessa strada. Fu così che si giunse ai moti carbonari nel napoletano, con una rivolta avviata ai primi del luglio 1820 dagli ufficiali Michele Morelli e Giuseppe Silvati, che disertarono con circa 130 militari semplici e 20 ufficiali, che, senza l’intenzione di abrogare la monarchia, proclamarono la costituzione. La rivolta, al momento senza spargimento di sangue, coinvolse anche il generale Guglielmo Pepe, con molti soldati. Il re Ferdinando I, ob torto collo, concesse la costituzione, ma chiese l’aiuto degli austriaci, che dopo alcuni mesi calarono in forze e che, benché inferiori di numero, il 7 marzo 1821 sconfissero a Rieti le truppe del Generale Pepe. Grazie all’esito di questa battaglia il re poté revocare la costituzione e dare avvio a una vasta operazione di repressione, di cui a farne le spese furono soprattutto Morelli e Silvati, a cui furono comminate le sentenze di morte, puntualmente eseguite. Si salvò, invece, mantenendo il grado, il Generale Pepe, che con ogni probabilità abiurò.
Mi è parsa indispensabile questa premessa perchè il romanzo storico di Celestino Genovese va inquadrato in quel periodo storico ed è di quei moti che parla, con tanti protagonisti veramente esistiti (sono quelli in cui è riportato anche il cognome) e altri di fantasia identificati solo con il nome. Così, nel pieno rispetto degli avvenimenti storici, l’autore ci porta a conoscere vicende che in genere a scuola sono frettolosamente insegnate e si può ben comprendere l’importanza di quei moti, senza l’esperienza dei quali probabilmente non sarebbe neppure nato lo stato italiano. I timori, le preoccupazioni, le speranze che accompagnano i rivoltosi ci rendono ben partecipi di una realtà che sembra anni luce lontana da noi, ci fanno fremere per l’anelito di libertà dei personaggi, ci rattristano per l’infausta sorte di Morelli e Silvati.
L’autore è tuttavia molto accorto a non cadere in un romanzo storico troppo fedele alla storia, il che avrebbe potuto allontanare il lettore, anziché avvincerlo. E allora ha inserito dei personaggi di fantasia, che pur nel contesto generale, hanno una loro esistenza autonoma e alcuni (i principali) sono descritti in modo molto azzeccato, tanto da aver l’impressione che vadano materializzandosi davanti agli occhi di chi legge.
La fontana di Bellerofonte 1820 è un romanzo riuscito e di ottima fattura; lo stile mai ridondante, ma non per questo povero, le descrizioni dei luoghi, concisa, ma d’effetto, la capacità di ricreare un’atmosfera tutta particolare e soprattutto il pregio di far conoscere ciò che a scuola viene sovente sbrigativamente detto sono tutti elementi qualificanti e che giustificano l’invito a leggerlo.