La disertora La disertora

La disertora

Letteratura italiana

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A volte le cose fatte per rimedio riescono meglio di quelle fatte per volontà. E infatti, quando l'Ersilia, bella come il sole, si ritrova incinta di un certo Giobatta e scopre che lui è già sposato, accetta di diventare la moglie del fratello Ferruccio e tutto va per il meglio. Così nasce Luce che, con quel suo nome di cosa e non di persona, cresce nella grande famiglia con un branco di fratelli per metà cugini. Ed è lei, quasi settanta anni dopo, a ritessere i fili della memoria di quella famiglia e di quel paese del pistoiese, quando la Toscana era ancora un Granducato. Per i contadini analfabeti la miseria era la stessa, allora come quando l'Italia si riunisce sotto il Re piemontese: sono loro i primi a essere chiamati per la leva obbligatoria, cinque anni di assenza dai campi che potevano significare la rovina. E per i renitenti non c'era scampo se non l'automutilazione o la fuga. Ora che le ombre minacciose della prima guerra mondiale incombono sul paese e sui suoi nipoti, la vecchia Luce ricorda il suo amante di gioventù, Vittorio detto il Tacca, che contadino non era voluto restare e a quella "guerra dei signori" non aveva voluto partecipare. Lei aveva fatto il possibile e l'impossibile per salvarlo - e di stupro allora ancora non si parlava, se ne moriva, a volte. Aveva sottratto un disertore alle autorità e più che altro si sentiva lei stessa una disertora, perché se i potenti ascoltassero le donne di guerre non se ne farebbero e non se ne sarebbero mai fatte, e gli uomini non sarebbero andati a morire.



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La disertora 2019-07-30 15:26:45 Simona P.
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Simona P. Opinione inserita da Simona P.    30 Luglio, 2019
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Luce, la ribelle

Quell' orgoglio clandestino, (...) quel segreto, più sacro di una confessione, la facevano "sentire un po' un'eroina, una che aveva deciso di disobbedire al re, una che aveva pagato la libertà a caro prezzo: insomma, in fin dei conti una disertora".
Termina con queste riflessioni il libro di Barbara Beneforti, una storia raccontata da Luce, la coraggiosa e ribelle protagonista che, ormai vecchia, ricorda con lucidità il passato, la vita del suo paese, nella campagna Pistoiese.
Siamo tra otto e novecento, si avvicina l'Unita d'Italia, la vita scorre cadenzata dal ritmo della natura, tra contadini e lavandaie analfabeti, nei paesi e agglomerati di case, collegati, quando va bene, da strade sterrate e polverose, malagevoli o comunque difficili da transitare. La miseria è ovunque, "le mutande erano un oggetto di lusso, da signora" al massimo una contadina ne poteva avere due, servivano per le grandi occasioni, come andare in chiesa. Un mondo che al lettore sembra lontano nello spazio e nel tempo, un romanzo che a uno studente di oggi, munito di tablet e Iphone, potrebbe sembrare preistoria, ma così non è.
La Luce è figlia dell'Ersilia e figlia di Giobatta che è sposato, ma Ersilia non lo sa, allora, forte e determinata, va a bussare alla porta di quello che l'ha messa incinta, che subirà le furie della moglie (che "gliene dà di santa ragione!") e di tutta la famiglia. Il padre di Giobatta davanti alla bella fanciulla gravida, si impietosisce e cerca di risolvere il problema, Ersilia è fortunata, diventerà moglie del fratello del padre di sua figlia, tutto rimane in famiglia e Luce crescerà tra cugini, fratelli e parenti. La nuova casa di Ersilia è aperta alle donne infatti " non era come da tanti mezzadri, che la donna mette in tavola la polenta e poi va a mangiare la sua fetta a sedere in disparte" qui si mangiava tutti insieme, le donne col capofamiglia.
Come la mamma Luce è bella, sicura di sé e decisa, figura femminile molto moderna per i tempi; la protagonista attraverserà questo periodo storico difficile e faticoso, violento e fatto di soprusi, anni segnati dalla guerra e dalla terribile chiamata alle armi che vede milioni di giovani sparire nel nulla per un ideale che non sanno cosa significhi; lasciavano così la loro amata terra, ragazzi energici e nel pieno delle loro forze, abbandonando le madri, nel loro delirio doloroso e la casa nella carestia più nera; la famiglia aveva bisogno delle loro braccia forti per sopravvivere, ma al nuovo stato, fatto di parole strane quale patria, leva, nemici, unità e moti, questo non interessava. Luce difenderà e aiuterà il suo grande amore, il contadino Vittorio, detto il Tacca che alla guerra non ci sta, perché la guerra è dei signori e il popolo ignorante va a morire, il suo pensiero, espresso con semplici vocaboli lo dice a tutti all'osteria: "perché devo sparare addosso a un povero disgraziato come me (...) la guerra è il diavolo e mandare un giovane a farsi ammazzare è peccato mortale" e tutti ascoltano e .... il Tacca ha ragione.
Una storia piacevole intervallata da detti contadini e usanze popolari, pensieri semplici ma profondi, storie drammatiche anche con riferimenti attuali, violenze difficili da denunciare. Fa da sfondo una realtà storica complessa, un'Italia ancora confusa che fa fatica a crearsi, crescere e unificarsi, che non riesce a coinvolgere le masse contadine, un'Italia dove sono ancora lontane le riforme popolari, la scuola obbligatoria e il boom economico, eventi che vedranno il nostro paese entrare in una nuova fase fatta di agi e modernità ma ricca di contraddizioni.
Con uno stile simpatico e fruibile, in un piacevolissimo toscano, ricco di parlato e termini popolari, come "razzolare" o "bischero", questa storia si materializza dolcemente davanti al lettore che, senza accorgersene, si ritrova immerso in un mondo che conosceva e gli apparteneva, senza che se ne fosse mai accorto.

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