La banda Sacco
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
La banda degli onesti
“Non si po' annare a travagliare la terra come per annare a fari la guerra”.
Questo libro è la storia di un'ingiustizia perpetrata ai danni di un'intera famiglia e smaschera i meccanismi perversi dell'organizzazione mafiosa, privandola di quell'aura “d'onore” che ancora oggi si attribuisce alle sue origini.
Chi erano i Sacco?
Camilleri ce li presenta in tutta la loro generosità, pronti ad offrire a chiunque ne avesse bisogno “'na scanata di pani frisco, 'na forma di cacio, tanta frutta e un ciasco di vino”.
Onesti agricoltori ed abili imprenditori, a cominciare dal capostipite Luigi che a Raffadali, piccolo centro rurale dell'agrigentino, osa l'inosabile: denunciare il tentativo di estorsione della mafia locale, che pretende parte degli introiti del suo duro lavoro.
Non c'è più pace da quel momento, né per lui né per i suoi familiari:
“Luigi sta mannanno a buttane le regole dettate dalla mafia e da tutti osservate. Luigi è praticamente un morto che cammina”.
I suoi cinque figli maschi si vedono così costretti ad andare a coltivare le loro terre in assetto di guerra nel timore di agguati. Armati fino ai denti, cominciano a far paura ai criminali: “Coi Sacco capaci di tutto e accussì 'ncaniati, meno ci si fa sentiri e megghiu è”.
Le ritorsioni mafiose non si fanno comunque attendere, e qualsiasi tentativo di denuncia cade nel vuoto: “Avete le prove che sono stati loro?”.
Il peggio arriverà quando la mafia comincerà a servirsi di un'arma molto più potente del ferro e del fuoco: la legge. Sarà infatti la mente machiavellica di un avvocato, punto di riferimento dei rozzi mafiosi del posto, a sferrare i colpi più terribili.
Imbrogliare le carte, trasformare i persecutori in perseguitati e viceversa: ecco il capolavoro.
Ed il piano diabolico riesce in pieno, mentre mani fino ad allora macchiate solo di terra finiscono per sporcarsi di sangue.
Il regime fascista e i metodi discutibili del prefetto Mori (proprio colui che era stato mandato da Mussolini a sradicare la mafia) faranno il resto: i Sacco, socialisti da sempre, vanno presi vivi o morti.
Ed ecco nascere “la banda Sacco”, accusata, tra le altre cose, di avere ucciso due feroci capimafia (strano genere di briganti, che non risponde mai al fuoco delle forze dell'ordine).
Li seguiamo nei rifugi improvvisati, sempre pronti alla fuga, braccati da mafiosi e carabinieri, imputati di tutto l'imputabile anche senza prove. Si fa terra bruciata intorno a loro, arrestando persino l'anziana madre.
Diventano eroi per gli abitanti di Raffadali, ma hanno addosso quella solitudine che contraddistingue chi si ribella al giogo mafioso, e che spesso ne preannuncia la morte.
C'è differenza tra l'essere uccisi e vedersi sottratti quarant'anni di vita?
La triste verità è che la giustizia tardiva non è più giustizia ed ha sempre il sapore amaro della sconfitta.
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Il difetto di essere onesti
Giunto all’ultima pagina non ho potuto fare a meno di dare sfogo alla rabbia che mi si era accumulata dentro, rabbia per una vicenda della storia del nostro paese che dà la misura di quanta strada ci sia ancora da percorrere per arrivare a un autentico Stato di diritto. Non a caso Umberto Terracini ebbe a scrivere “Penso che il caso sia unico nella storia giudiziaria italiana pur così pesante di capitoli sciagurati.”. Infatti, almeno fino a oggi, non esiste un caso in cui un cittadino sia colpito dalla giustizia per la sua onestà e per il suo senso civico. Camilleri, sulla base di una corposa documentazione, ce ne parla, ci dice come sia potuto accadere che una famiglia laboriosa e rispettosa delle leggi, come quella dei Sacco, abbia avuto la vita stravolta e addirittura sia finita in carcere, a seguito di una connivenza fra mafia e politica che non è ancora stata debellata. I Sacco vivevano a Raffadali in provincia di Agrigento, erano persone dedite, con passione, al lavoro, oneste e benvolute, ma non accettarono le imposizioni della mafia, così che, per non essere eliminati, si dettero alla macchia, stravolgendo la loro vita. E se c’era da sperare in un cambiamento quando il famoso prefetto Mori, mandato da Mussolini in Sicilia con pieni poteri per combattere la mafia, questo venne alla svelta fugato, per il comportamento delle forze dell’ordine, irriguardoso di ogni legge; ne fecero le spese anche i Sacco, che avevano pure il torto di essere socialisti. Finirono braccati dalla mafia e dalla polizia, fino a che dovettero arrendersi e furono tradotti in carcere; processati, vennero riconosciuti colpevoli, pur in assenza di prove, ma solo di testimonianze inattendibili, e furono condannati all’ergastolo, tranne che per uno, a cui fu comminata una pena detentiva minore, anche se considerevole.
Ci fu la volontà di condannare ben sapendo che erano innocenti; i giudici emisero le sentenze commettendo un errore di cui erano consapevoli e così la mafia e il potere politico fascista, riappacificatisi, poterono festeggiare una vittoria che per loro era vitale, perché se l’esempio dei Sacco fosse stato seguito dagli altri onesti cittadini oggi non avremmo bisogno di tenere in organico il pool antimafia.
I Sacco rifiutarono la domanda di grazia, e in quanto innocenti pretesero invece la revisione dei processi. Solo in tarda età furono convinti ad accettare la grazia, spiegando loro che poi si sarebbe provveduto a una lunga revisione che, per quanto ne so, non è mai avvenuta.
Questo bellissimo libro di Camilleri è un pugno allo stomaco, perché l’autore ci accompagna passo dopo passo nella disperazione di questi uomini onesti, nella loro fede in un mondo migliore che non vedranno mai. L’autore non cerca di impietosire, racconta con una professionalità da storico, ma con lo stile di un romanziere, affinché il cognome Sacco non debba essere ricordato come quello di una banda di malfattori, bensì come quello di uomini vittime della mafia e dell’ingiustizia di uno stato che manda assolti i colpevoli e perseguita gli innocenti
Da leggere, ci mancherebbe altro.
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Giustizieri solitari
Leggere un libro di Camilleri è sempre come un tuffo nel mare della Sicilia. Vieni subito travolto dalle onde. Questo libro è una trasposizione di fatti raccolti dall’autore e trasformati, a modo suo, pur mantenendo la fedeltà alla realtà. Ed i protagonisti sono pacifici cittadini di uno stato che non li sa difendere dalla malavita organizzata. Il tema è quindi la mafia, con le sue complesse cause sociali ed economiche e come, a modo suo, la mafia colpisce “tutti e cinco” i membri della famiglia Sacco, loro che sono nati per lavorare onestamente e che diventano giustizieri solitari, loro che non vorrebbero piegarsi mai, loro che subiscono tutte le conseguenze delle loro scelte, anche quelle psicologiche. Le più difficili. Il tutto immerso, come sempre, in una splendida Sicilia rurale, fra alberi di ogni tipo, fra i segreti della pianta del pistacchio, in un’atmosfera che è molto da western di casa nostra. Anzi, di Cosa Nostra. Con lo stimolo a tantissime riflessioni.
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Una storia vera di mafia e potere politico
Siamo a Raffadeli, nella Sicilia della prima metà del Novecento, poco prima dell’avvento del fascismo in opposizione ai socialisti dell’epoca. I Sacco sono una famiglia di onesti lavoratori che, a poco a poco, iniziando dalla coltivazione del pistacchio, intraprendono via via varie attività, ingrandendo le loro proprietà, sempre nel rispetto assoluto delle leggi e della comunità in cui vivono. “ Ma c’era la mafia”, così intitola Camilleri il secondo capitolo : la mafia infatti comincia ad ingolosirsi delle attività dei fratelli Sacco, esige con ogni mezzo e senza successo il pizzo, dando così inizio ad una vera e propria persecuzione dei Sacco, con la colpevole complicità dei carabinieri, che per quieto vivere ( o per ordini dall’alto) preferiscono non immischiarsi. I Sacco sono costretti a difendersi, vengono ingiustamente accusati con false testimonianze di delitti mai commessi, si danno alla latitanza proprio quando arriva in Sicilia, inviato da Mussolini, il famoso prefetto Mori, con il compito di estirpare con ogni mezzo la mafia dall’isola. I Sacco, divenuti nel frattempo “la famosa banda Sacco” per di più con simpatie socialiste, si trasformano in un esemplare capro espiatorio : dopo una sparatoria, sono arrestati, massacrati di botte e processati per colpe non commesse. Condannati, verranno trasferiti di carcere in carcere (avranno contatti anche con Gramsci e Terracini), per essere infine liberati dopo la fine della seconda guerra mondiale. Camilleri narra da par suo la storia, pescando in documenti ufficiali, scritti familiari ed atti del processo : ne esce oltre che un quadro vivido degli intricati e torbidi rapporti tra mafia, vera piovra che si infiltra nel tessuto economico e sociale della Sicilia, e potere politico, anche la consapevolezza dell’estrema difficoltà di opporvisi, sia allora che, probabilmente, ai giorni nostri.
Al romanzo, che termina con la descrizione del processo, seguono un’appendice con i punti salienti relativi alla carcerazione dei Sacco ed alla domanda di grazia, e le considerazioni di Camilleri, con interessanti riferimenti storici, su quanto narrato capitolo per capitolo. Si potrebbe definire un vero e proprio romanzo storico ( un “western di cose nostre” per usare un titolo di Sciascia, come fa notare l’Autore), che fa luce su un particolare periodo e che vuole raccontare, scrive Camilleri, come la mafia non solo ammazzi ma, laddove lo Stato è latitante, sia anche in grado di “condizionare e stravolgere irreparabilmente la vita delle persone”.