L'ultimo longobardo
Letteratura italiana
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All'inferno e ritorno
Con L’ultimo longobardo si conclude la trilogia con cui Salvador ci ha narrato di questo popolo che ha regnato sull’Italia fra il VI e l’ VIII secolo d.C..
Fra i meriti dell’autore fiulano c’è anche quello storico-didattico, cioè di aver dato luce a figure che spesso sono appena accennate negli studi scolastici, che, fra l’altro, preferiscono occuparsi prevalentemente, per l’alto medioevo, della figura di Carlo Magno, il re dei Franchi, che di fatto pose fine all’egemonia longobarda.
Dire quale dei tre romanzi (Il longobardo, La vendetta del longobardo e L’ultimo longobardo) sia il più riuscito è impresa ardua, perché pur essendo ciascuno consecutivo in linea di tempo, riesce a mantenere un’autonomia narrativa tendente a privilegiare eventi e personaggi di natura diversa. In tutti, però, regna sovrana la capacità dell’autore di avvincere il lettore. E anche in quest’ultimo, se si avverte chiara la trepidazione nell’aprire il libro e forte è il desiderio di continuare la lettura senza soste, altrettanto incombente è il timore di arrivare troppo presto alla fine.
La vicenda del principe Arechi, che da giovane ha una naturale inclinazione per la contemplazione e la vita religiosa, chiamato poi a ricoprire un ruolo essenziale di supporto alla politica imperiale, è una di quelle che non possono lasciare indifferenti per ricchezza di sviluppo, per descrizioni di personaggi, per un’ambientazione in una Roma sede della Cristianità, ma anche luogo di intrighi, di lussurie, di lotte di potere.
Salvador ha colto l’occasione per donarci la figura di un uomo che riassume in sé le caratteristiche di molti nostri simili, esseri puri all’origine e che in forza del libero arbitrio si lasciano coinvolgere e addirittura travolgere dalla sete di potere. E’ ben delineata quella vita che si riduce a una continua difesa di posizioni acquisite con il contemporaneo sviluppo di trame volte non solo a rafforzarle, ma ad estenderle.
La vicenda si svolge in un’atmosfera in cui la politica del governo, intesa come predominio personale, corrompe e corrode tutti, chierici, nobili, re e perfino papi.
Questo accade senza distinzione di sesso dei protagonisti , in una lotta in cui ognuno usa le armi che gli sono proprie, con una progressiva deriva della morale che porta all’abiezione.
Non è difficile riscontrare, pur in un’epoca così lontana, in un periodo definito “pornocratico”, tante, troppe similitudini con i giorni nostri, come se non ci fosse stata un’evoluzione nel genere umano.
Fra tradimenti, morti violente, alleanze e rotture delle stesse, ribaltamento di convinzioni, Arechi si muove come un regista in uno spettacolo teatrale, suggerisce, modifica, cambia perfino il copione, soprattutto quando riuscirà a diventare Il Custode, di fatto il dominus della Chiesa. E questo incarico gli verrà conferito dal suo predecessore Canzio quando si presenterà a lui con lo stato d’animo che anni prima lo stesso Canzio gli aveva definito condizione sine qua non: amore e odio, che, in ugual misura, lo possiedono, lo condizionano e lo stimolano.
Ma non c’è vita in un essere così ridotto, non c’è speranza, non c’è salvezza, se non in un unico modo, vale a dire lasciando tutto, confessando ogni peccato, anche quello che l’orgoglio non vuole considerare tale, e acquisendo così la consapevolezza che la gloria e il potere non sono nulla di fronte alla serenità.
Arechi, riavvicinandosi a Dio, ritrova la sua anima, riscopre quanto ha soffocato della sua naturale spiritualità, risorge a nuova vita.
Sono pagine intense, anche sofferte, sono le pagine di un romanzo stupendo, sicuramente da leggere e rileggere, perché non poche sono le occasioni in cui si avverte la necessità di meditare.
Indicazioni utili
La vendetta del longobardo, di Marco Salvador;<br />
La palude degli eroi, di Marco Salvador.