L'avventura di un povero cristiano
Letteratura italiana
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L'avventura di un povero cristiano è l'ultima opera di Ignazio Silone. Fu pubblicata nel 1968 e nello stesso anno conquistò il Premio Campiello.
Il testo è stato concepito in un periodo storico caratterizzato da ideologie innovative e fermento culturale. Il romanzo tratta il delicato tema del rapporto fra l’individuo e la Chiesa. E del ruolo che quest’ultima deve assumere nel diffondere i messaggi cristiani della semplicità, della povertà e dell’autenticità.
In tale ambito Silone pone come emblematica la figura di Papa Celestino V e fornisce una nuova interpretazione della scelta di colui che viene designato come “il Papa del gran rifiuto”: Celestino V, infatti, dopo un breve periodo di pontificato (dal 5 luglio al 13 dicembre 1294), rinunciò alla carica per tornare a condurre una vita normale. Per Silone è “un povero cristiano”, in netto contrasto alla visione di Dante, che colloca il pontefice tra gli ignavi dell’Antinferno: ossia tra coloro che, nell’incapacità di schierarsi a favore del bene o a favore del male, sono indegni di meritare sia le gioie del Paradiso, sia le pene dell'Inferno. In tale concezione, Silone restituisce a Celestino V la dignità della scelta.
E lo fa con il suo stile limpido, puro, lineare e rassicurante.
Il romanzo è, ancor oggi, di grande attualità. Recentemente abbiamo infatti assistito a un’altra scelta drammatica: anche Papa Benedetto XVI ha abbandonato il soglio pontificio. “Per ingravescentem aetatem”, ma molto si è discusso anche su possibili motivi non legati alla salute.
Con l’annuncio di Papa Ratzinger si è rivitalizzato anche il clamore, di natura emotiva, circa l’avverarsi della profezia di Malachia (o di Nostradamus?) che indicherebbe in Benedetto XVI il penultimo Papa.
Basteranno la rassicurante figura di papa Francesco e la simpatia che sta riscuotendo a dissolvere questi timori?
Bruno Elpis
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La vera cristianità nemica del potere
L'avventura di un povero cristiano è l'ultima opera di Ignazio Silone, uno dei grandi interpreti della letteratura neorealista italiana di metà Novecento. Vincitore del premio Campiello del 1968, il libro racconta la storia dell'eremita abruzzese Piero da Morrone, divenuto papa con il nome di Celestino V e costretto ad abdicare, disgustato dalle logiche di potere e di corruzione all'interno della Chiesa.
E' forse il libro più intimo di Ignazio Silone: egli si definiva come "un cristiano senza Chiesa e un socialista senza partito" e sentiva forte la sua personale contraddizione tra il sentimento religioso da una parte e l'ideologia marxista dall'altra. Il suo sentimento religioso e cristiano, ma non cattolico, era sincero e genuino. E la sua provenienza abruzzese spiega molto bene questa religiosità: l'Abruzzo, terra di eremiti e asceti, è la regione dove si sente forte la spiritualità; le alte montagne, le foreste enormi e spaventose, i borghi isolati e gli eremi sperduti costituiscono un paesaggio unico, indimenticabile che fa sentire un uomo più vicino a Dio. E' in questo contesto che deve essere inquadrato il libro di Silone.
Il libro si presenta in tre macrosequenze narrative: la prima serve a introdurre e spiegare il personaggio di Celestino e i suoi compagni di predicazione. La seconda è dedicata alla sua elezione al soglio pontificio e le difficoltà che incontrerà, le quali alla fine lo convinceranno ad abbandonare la carica di Pontefice. L'ultima macrosequenza invece è dedicata all'ultimo anno di vita dell'eremita che cerca, invano, di sfuggire alla persecuzione del nuovo papa, Bonifacio VIII.
La figura di Celestino V è decisamente diversa rispetto a quella descritta da Dante Alighieri il quale, nella Divina Commedia, colloca addirittura il papa all'inferno, e giudica il suo gesto come simbolo di viltà e mancanza di coraggio. Silone invece vede nel gesto di Celestino l'umiltà di un uomo che capisce di essere inadatto a quel ruolo di grande responsabilità e non può non fare altro che dimettersi da quella carica.
Il racconto della vita di Celestino V, dalla predicazione delle montagne abruzzesi passando alle dimissioni da papa e fino alla persecuzione di Bonifacio VIII, rappresenta una biografia molto attendibile del personaggio travolto da un momento storico non facile per la Chiesa Cattolica.
L'eremita Pietro, viene visto come un asceta interessato alla ricerca spirituale di Dio e alla carità verso i più deboli e indifesi, in un cristianesimo puro e autentico, distante anni luce dal Vaticano e dai suoi intrighi politici.
Simbolo della corruzione e dell'avidità che spadroneggiavano nella Chiesa di allora, è il personaggio antagonista principale del nostro Celestino: il cardinale Caetani, successivamente eletto papa come Bonifacio VIII, passato alla storia per aver istituito il Giubileo ma anche per la sua enorme ambizione, la sua sete di potere e la sua famosa crapuloneria.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro per l'importanza che ha avuto nel cammino intellettuale del suo autore, ma anche per l'estrema amabilità della lettura. Da non perdere!
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La coscienza contro il potere
Scritto nel biennio 1966-1967 e pubblicato per la prima volta nel 1968 dalla Mondadori, L’avventura di un povero cristiano è d’incerta e non facile collocazione come genere letterario, in quanto risulta composto da due parti ben distinte: la prima è un’introduzione alla vicenda di Papa Celestino V, ma è anche una specie di analisi interiore con la quale l’autore evidenzia ancora una volta la sua natura di “cristiano post-risorgimentale e post-marxista”, non inquadrabile in un’istituzione religiosa ben definita e in ogni caso non in quella cattolica; la seconda parte è il testo vero e proprio del dramma, inteso come rappresentazione teatrale, contraddistinto da dialoghi e, solo come incisi, da periodi narrativi veri e propri, tesi però a inquadrare la scena, come capita appunto nel caso di una commedia o di una sceneggiatura. Non solo due parti, tuttavia, perché vi è anche un’appendice di Note sui personaggi del dramma, redatte in base a studi ed alla documentazione reperita.
La vicenda di Celestino V, al secolo Pietro Angelerio, l’eremita di Morrone, nominato Pontefice per necessità (il trono di Pietro risultava vacante da lungo tempo a seguito di insanabili contrasti fra due fazioni di elettori), è il dramma di un uomo autenticamente cristiano, che abbandona la semplicità delle montagne abruzzesi, dove il silenzio è raccoglimento e misticismo, per approdare alla curia di Roma, luogo di ben altri silenzi, di intrighi, di lotte intestine, di ricerca continua del potere in quanto tale.
E’ inevitabile il contrasto fra la semplicità del fraticello, ispirato solo ai principi cristiani, e quello che sarà il suo successore, Bonifazio VIII, un tipico despota, che impersona pienamente la teocrazia medievale.
Da un lato c’è l’uomo che agisce secondo coscienza, una coscienza che si è formata, si è abbellita con il pensiero di Cristo, con una fede a cui mai verrà meno, e dall’altro più che un essere votato a ingrandire il proprio potere, un’istituzione, la Chiesa cattolica, così lontana dai suoi principi ispiratori, quanto mai tesa a ribadire la sua presenza terrena, dimentica del regno celeste.
In questa battaglia, in cui Celestino V uscirà sconfitto, c’è anche la sconfitta di uomini come Ignazio Silone e di altri che credono che non abbia senso la ragion di stato, che il mondo è costituito da tanti esseri divisi e organizzati in nazioni solo per perseguire scopi privati di pochi. Si tratta, quindi, della lotta della coscienza contro il potere, tema che ha sempre interessato Silone e che è dominante nelle sue opere: una volta poteva essere l’assolutismo fascista, un’altra il totalitarismo comunista; ora, invece, sono la grande finanza, nata e cresciuta sulle miserie altrui, che perpetua per la sua stessa sopravvivenza.
La coscienza è anche libertà, la più ampia, perché non viene imposta; il potere è la prevaricazione, la negazione di ogni libertà.
Silone ha sperimentato sulla sua pelle il fascismo e il comunismo, denunciandone i pericoli ed è ben strano che in un’Italia all’epoca rientrata nella democrazia si sia sognato di scrivere questo dramma. Forse aveva capito che le ideologie politiche poco hanno a che fare con la natura umana, o comunque con quella di nostri certi simili, che vivono e prosperano solo in funzione del potere, un Moloch mostruoso che impera dall’alba dell’uomo, senza nessun cedimento.
E allora il racconto del dramma di Celestino V, così indietro nel tempo, assume le tinte di una strenua difesa della luce contro il buio, della coscienza contro il dispotismo, ieri come oggi. Il monaco abruzzese risalta in tutto il suo coraggio, ben diverso quindi dalla descrizione che ne fa Dante nella Divina Commedia.
E’ una battaglia persa in partenza, ma lo strapotere nulla può contro chi è libero dentro, e, come dice Silone in Uscita di sicurezza :“ Agli spiriti vivi le forme più accessibili di ribellione al destino sono sempre state, nella nostra terra, il francescanesimo e l’anarchia. Presso i più sofferenti, sotto la cenere dello scetticismo, non si è mai spenta l’antica speranza del Regno, l’antica attesa della carità che sostituisce la legge, l’antico sogno di Gioacchino da Fiore, degli Spirituali, dei Celestini. E questo è un fatto di importanza enorme, fondamentalmente, sul quale nessuno ancora ha riflettuto abbastanza. In un paese deluso, stanco come il nostro, questa mi è sempre apparsa una ricchezza autentica, una miracolosa riserva. I politici l’ignorano, i chierici la temono, e forse solo i santi potranno mettervi mano.”.
Il messaggio del Cristo è stato, è e continuerà ad essere la salvezza delle libere coscienze.
L’avventura di un povero cristiano chiude il percorso letterario di Silone con un’opera straordinaria, che ha segnato anche la riconciliazione della critica con l’autore abruzzese, ed é un libro assolutamente imperdibile.