L'albatro
Letteratura italiana
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Un sogno dal quale ci si sveglia morendo
L’albatro di Simona Lo Iacono è Antonno, un misterioso ragazzino che affianca nell’infanzia il piccolo Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
“Antonno, del quale sconoscevo l’origine e i motivi per i quali mi era stato messo accanto… l’amore di un re predestinato a morire.”
Dotato di abilità manuali (“Antonno lavorava con le mani invase dalle sue bellissime cicatrici”), svolge un ruolo complementare come compagno di giochi del futuro scrittore del Gattopardo tra Palermo e Santa Margherita Belice, particolarmente nell’estate in cui una compagnia di attori girovaghi inscenreà “La signora delle camelie”.
Narrato da due prospettive – quella del passato nel ricordo e quella del presente sul letto di morte – il libro è raffinato, suggestivo, struggente sia nel ricreare atmosfere storiche e letterarie (“Più che l’artiglio del gattopardo, adesso è l’albatro a soccorrermi nella notte”), sia nel fornire un saggio romanzato sullo scrittore del Gattopardo. Molto poetica e sorprendente la rivelazione finale sull’identità dell’albatro Antonno.
Giudizio finale – citazione: “La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo.” Virginia Woolf, citata nell’opera per introdurre la parte seconda (“Dal rovescio al dritto”).
Bruno Elpis
Indicazioni utili
Il passato, unico luogo abitabile
“Il passato restava l’unico luogo abitabile, la sola terra promessa “
“L’albatro” Simona Lo Iacono, ed. Neri Pozza, pag. 135
Come Antonno, uno dei personaggi del bellissimo romanzo di Simona Lo Iacono, “L’albatro”, che vive “a rovescio”, inizio a leggere il libro dalla nota e dal ringraziamento che vi si trovano alla fine: tanto basta per incuriosirmi, attrarmi e dunque parto in quarta, e questa volta dal principio, e quando sono costretta ad interrompere la lettura è un dispiacere che porta però con sé l’appassionata attesa, il desiderio di proseguire.
È giugno, sono in campagna, in una meravigliosa, tranquilla ed accogliente Toscana: il sole ed il calore sono un assaggio di quella Sicilia descritta nel romanzo, terra che conosco ed amo solo attraverso i suoi straordinari scrittori: De Roberto, Verga, Pirandello e la contemporanea Simonetta Agnello Hornby, per non citarne che alcuni.
Il romanzo, come spiega Simona Lo Iacono, è un’opera che “prende spunto dalle vicende reali del principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa” l’autore de “Il gattopardo” ma è pur sempre un’opera di fantasia e dialoghi e riflessioni del suddetto principe sono invenzione della scrittrice e sono tante le affermazioni che mi colpiscono, mi intrigano, mi spingono verso altre riflessioni, mi emozionano, ed è così che la curiosità, l’interesse per la vita di quest’uomo straordinario, la descrizione delle abitudini di una classe sociale, quella dell’aristocrazia siciliana, in grande trasformazione negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali e la filosofia e la poesia di cui è pervaso il romanzo insieme ad un lessico ricco, talora mutuato dal dialetto,mi fanno, affermare che si tratti di un’opera davvero straordinaria, che mi prende per mano e mi sussurra che ci sono scrittori contemporanei più che degni di attenzione.
È un romanzo alla ricerca del tempo perduto, un tempo nascosto nel cuore e nell’anima un luogo abitabile e che si può ritrovare solo scrivendo: “C’era un rimedio al tempo, ed era la scrittura “(pag. 215)
Maria Gabriella Colombini