Isolina
Letteratura italiana
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La voce di Isolina, la ragazza tagliata a pezzi
Nessuno si ricorda di Isolina Canuti. Prova a rievocarla negli anni Ottanta del Novecento Dacia Maraini attraverso la sua meticolosa ricostruzione storica dei fatti che hanno riguardato l’uccisione della ragazza, tagliata a pezzi e lasciata scivolare nelle acque del fiume Adige. Ne esce un cold case che oggi potrebbe essere tradotto benissimo in un podcast. Siamo nel gennaio del 1900, siamo nel cuore pulsante di Verona. La sfortunata protagonista è Isolina, ragazza di 19 anni, figlia di Felice, impiegato da 25 anni nell’amministrazione di una grossa azienda, la Tressa; la giovane è incinta di alcuni mesi (sulla data della gravidanza ci saranno perizie contraddittorie e discussioni a non finire). Chi è stato a ucciderla e a deturpare il suo corpo? Tutti gli indizi portano a Carlo Trivulzio, un tenente degli Alpini che aveva preso in affitto una stanza in casa Canuti e aveva avuto una relazione con la stessa ragazza. Il movente è semplice: Isolina era rimasta incinta, Trivulzio non voleva assolutamente macchiare la sua carriera militare con quest’episodio che lo legava a una persona dei bassifondi della società veronese e quindi si adopera in ogni modo affinché Isolina abortisse; la ragazza, però, è di opinione opposta perché intravede nella prole un’opportunità per unirsi indissolubilmente al tenente e proprio per questo si oppone. Trivulzio suggerisce a Isolina di lasciare Verona in direzione di Milano, ma nemmeno questa richiesta viene accolta. A quel punto decide di intervenire con le cattive e in una fredda sera di gennaio presso l’osteria del Chiodo un tentativo cruento di aborto (attraverso una forchetta nell’organo genitale femminile) sfocia nell’uccisione di Isolina, che successivamente viene tagliuzzata e gettata nell’Adige. Tutto limpido, tutto straordinariamente logico. Tuttavia, non si arriverà alla condanna di Trivulzio, anzi l’unico costretto a pagare sarà il giornalista socialista Mario Filippo Todeschini per diffamazione condotta per mezzo della stampa. Era stato infatti Todeschini sulle colonne del “Verona del Popolo” a scagliarsi in maniera decisa contro Trivulzio, trasformando il delitto di Isolina in un pretesto per un’accusa di più ampie vedute contro l’eccessivo militarismo che stava prendendo il sopravvento nel neonato Regno di Italia. «Il processo Todeschini si conclude con una sentenza che sembra finta tanto è teatralmente di parte. Isolina Canuti, si legge fra le righe, se l’è voluto. La sua leggerezza l’ha perduta, peggio per lei. Nella sentenza comunque si fa capire che Trivulzio sì, è stato leggero, forse un poco incosciente, ma cosa conta la vita di una ragazzina di famiglia oscura, povera e di scarsa moralità di fronte all’onore dell’esercito? Ed è quello che alla fine trionfa, contro tutte le evidenze con la forza di una ideologia che doveva esprimere l’ideale del paese» scrive in ultima istanza la Maraini. Del resto, il 1900 è passato alla storia come l’anno dell’assassinio di re Umberto I di Savoia e pochi anni dopo, allo scoppio in Europa della Prima guerra mondiale, l’Italia si dividerà tra interventisti e neutralisti, segno che una buona fetta della popolazione considerava il militarismo il fondamento di un buon governo.
L’analisi storiografica e anche psicologica della Maraini si divide in quattro sezioni: nella prima si illustrano i fatti accaduti nel 1900; nella seconda si verifica un balzo temporale in avanti, poiché si passa agli anni Ottanta e alla visita veronese della stessa scrittrice sulle tracce di Isolina; nella terza si ricostruiscono tutte le tappe del tanto conclamato processo Todeschini; nell’ultima, infine, spazio alla sentenza del processo. La ricostruzione dei fatti avviene grazie ai giornali dell’epoca, i quali hanno la capacità di fotografare giorno dopo giorno l’evoluzione della vicenda. Le supposizioni si sommano, le testate giornalistiche si polarizzano e i colpi di scena non mancano. Il primo e probabilmente unico indiziato è Trivulzio, tutto lascia pensare che sia stato lui ad architettare e a eliminare Isolina. Per tale ragione viene arrestato e in seguito all’imprigionamento costruisce la propria difesa affermando che «mi duole sapere che il mio caso è servito da pretesto per polemiche confondendo la persona con l’Istituzione a cui appartengo e sento sempre il diritto e la fierezza di appartenerle». Il caso Isolina, come dimostrano gli incontri che la Maraini avrà negli anni Ottanta con alcune persone della famiglia dell’Alpino, lo segnerà. La verità non detta, l’avere pagato eccessivamente e da solo per un crimine di gruppo, la complicità che si è trasformata in omertà a vita, l’avere portato sulle spalle fino alla morte il peso di una sentenza ambigua e chiaramente fasulla faranno di Trivulzio un uomo diverso. Questa metamorfosi del tenente è stata dettata dal fatto che il suo senso d’onore, la sua proverbiale freddezza, il suo coraggio, il suo attaccamento all’esercizio l’abbiano costretto al silenzio eterno. Nell’interrogatorio durante il processo Todeschini il tenente ammette tutto, salvo le sue responsabilità dirette; conferma i fatti, dalla relazione amorosa con Isolina alle polverine che voleva farle usare per abortire. Esclude solo le responsabilità dirette, perché come rimarca l’autrice «se avesse raccontato come erano andate le cose, avrebbe scagionato sé dalle accuse più gravi ma avrebbe compromesso altri, rendendo impossibile tenere gli Alpini fuori dalla “sporca faccenda”». Una cosa, infatti, bisogna aggiungerla: se l’ideatore dell’uccisione di Isolina è stato Trivulzio, per l’esecuzione e l’occultamento del cadavere è stato aiutato da molti altri soggetti, nei quali il lettore si imbatte nel corso della vicenda.
Il ritratto di Isolina che emerge è quello di una ragazza dal carattere espansivo, gioioso e irrequieto. Era una giovane che non dava molta importanza ai soldi; quando li aveva li spendeva. Era molto legata alla sorellina Clelia e amava il padre, ma lo trattava un po’ come i suoi amanti, con divertita stizzosa passionalità. Dagli interrogatori del processo Todeschini si comprende come i Canuti non si amino; anche Clelia e Felice appaiono deboli, nello stesso modo di Isolina. Quando parlano per cercare di fare luce sulla morte della figlia e sorella maggiore, Felice e Clelia «si offrono già vittime prima di essere stati colpiti, senza nessun compiacimento, nessuna lamentela, così privi di vanità e di astuzia da apparire poetici e commoventi». Per questo di Isolina nessuno si ricorda, nemmeno nei giorni del processo Todeschini, e per questo la Maraini ha voluto darle una voce a distanza di quasi un secolo.
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COLD CASE -ELOGIO ALL'INGIUSTIZIA
COLD CASE DEL 1900, ovvero elogio all’ingiustizia
Gennaio 1900. Un brandello di cadavere femminile è ritrovato da alcune lavandaie sulle sponde dell’Adige.
Il macabro reperto appartenente al tronco di una donna, è privo di testa,alcuni giorni più tardi sarà rinvenuto un altro brandello comprendente il bacino e il basso ventre.
La testa sarà ritrovata deturpata gravemente quasi un anno dopo, ma ancora adornata da due belle trecce scure. L’Adige restituirà anche il corpicino di un feto di circa sei mesi.
Questo fatto avvenne a Verona, dove sono nata e dove vivo.
Dacia Maraini, autrice di questo libro, decise di documentarsi incuriosita da questo fatto di cronaca nera.
Aiutata da alcune persone del luogo si accinse a raccogliere documenti e testimonianze per spiegarsi come mai la morte di una ragazza fosse passata così in sordina.
Isolina Canuti, diciannovenne, è una ragazza piena di vita, di facili costumi, per quei tempi.
E’ incinta forse di tre quattro mesi, forse di sei, il padre del suo bambino sembra essere un alpino, tale tenente Trivulzio Carlo. Quest’ultimo conosce la ragazza, in quanto suo inquilino.
Isolina spinta ad abortire, consultando una mammana; sembra restia vorrebbe tenerlo quel bimbo, forse perché ama il tenente o perché desiderosa di accasarsi.
Fatto vuole che il cinque gennaio 1900 Isolina esce di casa e non vi farà più ritorno.
I lembi di cadavere ritrovati sono avvolti in stoffa rossa, appartenente alla gonna della ragazza, prova ne è un biglietto con delle annotazioni scritte di suo pugno.
Il racconto è esposto come una serie di atti processuali rilevati da articoli dei giornali del tempo.
Non mi dilungherò , qualcuno potrebbe dirmi che si farebbe prima a leggere il libro,come è già successo.
A quel tempo l’esercito era tenuto in gran considerazione, gli alpini in special modo.
Molti sono gli indizi a sfavore del Trivurzio, infatti viene arrestato ma ben presto sarà rilasciato cercando di mettere tutto a tacere, a chi può importare di una servetta lasciva , a detta di molti una ‘poco di buono’.
Il fatto di cronaca,è tenuto acceso dai giornali di orientamento socialista, non tanto per l’omicidio in sé, ma per avere l’occasione di attaccare l’arma degli alpini e l’esercito in genere.
Il giornale locale,Verona del popolo, con l’onorevole Todeschini attacca ripetutamente il tenente, e dopo vari mesi, questi esasperato, decide di denunciare il Todeschini per diffamazione, solo grazie a ciò si faranno indagini approfondite.
Non voglio dilungarmi, gli ufficiali al tempo conducevano una vita piacevole, trascinando nei loro divertimenti ragazzine da poco, ignoranti, dimentiche di sé, incapaci di amare e di amarsi spesso a causa di un’infanzia dolorosa, densa di privazioni affettive e fisiche.
Il processo è una schermaglia fra socialisti e non; questo diventa il processo per l’omicidio di Isolina Canuti.
Ubriacata, da ubriachi indotta all’aborto con una forchetta, provocandole dolori atroci e infine la morte. Fatta a pezzi nel retro della trattoria dove avevano appena cenato ; su un mattatoio da macellaio. Il resto già lo sappiamo, buttata a fiume nei pressi di palazzo Canossa, sperando che i pesci e la corrente facessero il resto.
Non sappiamo chi abbia ucciso fisicamente la ragazza, forse i commilitoni di Trivurzio fra i quali c’era un medico, che sembra sia responsabile anche dell’avvelenamento dell’amica di Isolina ,( probabilmente sapeva troppo).
Chi ha visto si è reso complice, non ha parlato, ha difeso l’arma. L’arma prima di tutto.
Infatti si corromperanno testimoni, e intimidito chi era a conoscenza di verità pericolose-
Di Isolina rimane solo una piccola immagine sul muro adiacente la trattoria in vicolo Chiodo, non una tomba non una sentenza di colpevolezza per omicidio, per procurato aborto, per omissione di soccorso.
L’assassino o chi era a conoscenza dell’identità dell’assassino, le sopravvive per mezzo secolo, tanto era brillante ‘piacioso’, mondano, non avrà mai più una relazione sentimentale, farà vita ritirata, morirà di cancro allo stomaco, senza voler essere curato, cullando e custodendo nelle sue viscere il morbo che farà giustizia.
Cancellare la vita di un essere umano, non è facile, volevano cancellare la vita di Isolina, qualcosa è rimasto di irriducibile, di indistruttibile, a testimonianza della sua esistenza, i suoi resti sono affiorati impigliandosi sull’argine del fiume.
Non potete eliminarmi , io sono esistita!
Dacia Maraini da brava cronista qual è espone fatti, articoli, testimonianze rimanendo attonita, ma fedele, desiderosa di essere solo spettatrice. Lascia a noi trarre le conclusioni.
Dalle note processuali emerge che in fin dei conti era stata uccisa una ragazza niente affatto per bene.
Forse la sua vita non valeva come quella di un alpino?
Quanto valeva la sua vita? Non lo sapremo mai. Non le è stato concesso vivere!
Grazie Dacia di avermi fatto conoscere un fatto avvenuto nella mia città, che non avrei potuto conoscere se la sua determinazione non avesse riesumato lo scempio fatto a questa creatura .
Quando passeggio per Corso Cavour, ora volgo lo sguardo verso vicolo Chiodo , verso Palazzo Canossa, e penso…..