Il visconte
Letteratura italiana
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"Il visconte" di Brera e Cappi - commento di Bruno
Romanzo storico ambientato nel Risorgimento italiano, questo della premiata ditta “Brera & Cappi”. Ma non è un romanzo storico in senso classico, perché propone interessanti incursioni nella psicologia ed esprime un mix di sicuro successo: fatti documentati, una bella storia d’amore anche carnale, analisi interiore dei personaggi.
La narrazione attraversa il periodo tra il 1859 e il 1861, quindi si situa nella seconda guerra d’indipendenza. L’ambientazione geografica è il Lombardo-Veneto, con puntate nel Regno di Sardegna e in quello delle Due Sicilie. L’antefatto del 1855 è un evento collocato nella guerra di Crimea. Lì compare per la prima volta la figura del Visconte, un personaggio “double face”, una sorta di dottor Jeckill-Mister Hyde che ora, in qualità di Victor de Lernac, veste i panni dell’informatore del potere austriaco, ora – con il nome di José Pau, nizzardo – riferisce ai francesi e, in particolare, a Napoleone III.
Tutto si complica – o si semplifica? – quando il composito Victor/José si innamora della bella Speranza, in arte Spes, che è la figlia del barone Schmertz, capo della polizia segreta del Lombado-Veneto, con il quale il Visconte pone in essere il suo complicato doppio gioco.
E gli altri protagonisti che si muovono sullo scenario? Diciamolo senza mezzi termini, sono individui del calibro di: Francesco Giuseppe, Luigi Napoleone, Garibaldi, il re galantuomo Vittorio Emanuele II, Francesco II di Borbone. E altri ancora. Sullo sfondo evolvono i fatti che abbiamo studiato sui banchi di scuola: le manovre diplomatiche di quella “donnola” del conte di Cavour, le sanguinose repressioni austriache, le teorie politiche di Mazzini e del Cattaneo, la cruenta battaglia di Solferino, la ritirata austriaca nel quadrilatero ritagliato tra Veneto e Lombardia, il brigantaggio e – a Napoli – addirittura una comparsata della camorra.
Ma, al di là del romanzo storico, dicevo, ho trovato interessanti altre dimensioni.
La ‘doppiezza’ del romanzo forse parte già dal ‘quattro mani’ degli autori.
Il Visconte é preda di una “possessione demoniaca” che lo rende una personalità doppia o addirittura tripla: in lui convivono due anime e, in sottofondo, anche una dimensione femminile (quella di una suora!). La matrice di questa dilacerazione, che oggi si chiamerebbe turba psichica o patologia, risiede negli episodi di violenza patiti dal Visconte in età infantile: “sia José, sia Victor non disdegnavano la fornicazione e Victor si dava di frequente anche ad atti contro natura …”
Anche l’amata Spes é dimidiata: “Il cuore è italiano, la mente è austriaca”, “certo si sentiva divisa, come se la sua anima fosse sdoppiata”; e dunque la donna vive il dramma di “essere una persona per le convenienze sociali e un’altra nella sua realtà interiore”.
La doppiezza si riflette, coerentemente, anche nella tecnica narrativa: la storia viene narrata da due angolature. Quella soggettiva, in prima persona, di José-Victor e quella di un narratore esterno: talché il medesimo episodio viene prima descritto dall’io narrante e poi ripreso da una terza voce (o viceversa).
La trama è credibile e fluida, disseminata com’è di armi bianche, tiri al bersaglio e colpi che finiscono “a mouche”, veleni, nascondigli e covi di cospiratori, lettere scritte con le prime stilografiche e, negli spazi bianchi, in inchiostro simpatico.
Lo stile è efficace, con intercalari in idiomi ibridi e contaminati (francesi e dialettali) e con richiami continui a proverbi e motti. Occorre forse superare il primo disorientamento che si prova leggendo una vicenda dal complicato intreccio ove i punti di vista si moltiplicano come in un gioco di specchi. Almeno così è stato per …
Bruno Elpis