Il rogo della Repubblica
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Colpevoli o innocenti?
Correva l'anno 1480 quando la Repubblica di Venezia processa e condanna a morte tre cittadini veneti di fede ebraica. L'accusa è grave e desta orrore tra i fedeli cristiani; sono stati identificati come gli artefici del rapimento di un bambino cristiano per compiere un sacrificio rituale di sangue durante il periodo pasquale.
Accuse fondate o fango gettato su innocenti nell'eterna lotta tra credo religiosi ed interessi economici da tutelare?
Partendo da eventi storici tracciati dalle cronache del tempo, Molesini imbastisce un racconto mixando il realismo del dato storico al colore e sentimento dell'immaginazione, facendo calcare la scena a personaggi realmente vissuti unitamente ad altri che egli stesso costruisce con grande maestria.
Il percorso narrativo diventa una bolgia della cattiveria, dell'ipocrisia, della viltà umana, una rappresentazione della peggior parte dell'uomo “lupo”, pronto a sbranare il prossimo per un favore politico, per convenienza economica o per cieca sottomissione ad un credo.
La scrittura è graffiante con i termini e con le immagini, dagli intrighi dei palazzi ai bassifondi dove si svolge la vita più grama; dai bordelli sordidi alle carceri, dalle stanze delle torture alle esecuzioni sulle pubbliche piazze, dallo strazio dei vinti all'esultanza dei vincitori.
Ma dove alberga la morte, la doppiezza e la falsità, che valore potrà assumere la vittoria?
Un quesito che emerge prepotente alla stretta finale e che assale il lettore rendendolo partecipe di tutto il buio narrato.
Un romanzo storico crudo che denota il carattere della penna di Molesini ed apre le porte alla riflessione storico-politica e non solo.
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Opinioni inserite: 1
Sagome di cartone mal rappresentate.
Di certo non è facile calarsi nella Venezia del 1400, sopratutto se non si è degli storici e sopratutto se non sia ama la storia, come me.
Non voglio farla troppo lunga, non ho amato questo libro, per niente e anche se non amo scrivere di cose che non ho apprezzato, questa volta voglio fare un’eccezione, perché ho colto, nello stile una sorta di altezzosità dell’autore.
Il piano di lettura più interessante è sicuramente quello narrativo, fatto cronaca noto ai più (non a me per le motivazioni di cui sopra) che svela, in qualche modo, come nonostante siano trascorsi seicento anni, l’umanità sia mossa sempre dalle stesse passioni e pulsioni.
Quello che stride in modo fastidioso è il lessico in generale e i dialoghi in particolare: troppo moderno, un veneziano nel 1400 non può pensare quelle parole, non può rivolgersi alle altre persone con quelle frasi.
E’ dunque molto difficile immergersi in quel tempo e a nulla servono le ridondanti descrizioni dei luoghi e degli odori perché anche se la mente cerca disperatamente di figurarsi quei luoghi le parole ti trasportano su un set cinematografico, in cui tutto è posticcio; visibilmente posticcio.
I personaggi, tutti monodimensionali, sono attori che sotto il trucco svelano il loro tempo, quello contemporaneo.
Una nota particolare la merita il protagonista che almeno nelle intenzioni dovrebbe subire un processo di crescita psicologica, una redenzione di manzoniana memoria, ma che appare del tutto inadeguata nei tempi e sopratutto nei modi.
Lievi accenni di vitalità e di leggerezza si possono trovare nella descrizione dei bambini, ma troppo poco per creare davvero empatia verso almeno uno dei personaggi descritti che finiscono per diventare sagome di cartone mal rappresentate.