Narrativa italiana Romanzi storici Il resto di niente
 

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Il resto di niente

Letteratura italiana

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Eleonora de Fonseca Pimentel fu poetessa, scrittrice e una della prime donne giornaliste in Europa. Amica di intellettuali e rivoluzionari, da Vincenzo Cuoco a Guglielmo Pepe, ebbe un ruolo di primo piano negli sfortunati moti partenopei del 1799. Il resto di niente indaga con straordinaria forza evocativa e con rigore da storico la sua parabola di donna e di rivoluzionaria: l'impegno politico, ma anche il matrimonio infelice, la scomparsa prematura dell'unico figlio, gli amori di gioventù e quelli di maturità, la fede, l'amicizia, le passioni, fino alla tragica fine. A far da sfondo all'incredibile avventura intellettuale di Eleonora c'è un'intera città, la Napoli di fine Settecento; un affresco vivissimo capace di restituire intatti al lettore i rumori delle strade, i colori degli abiti, i suoni dei dialetti, gli odori delle pietanza, tra lo splendore della corte borbonica e la miseria del popolo.



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Il resto di niente 2020-04-28 15:10:08 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    28 Aprile, 2020
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Niente e così sia

“Il resto di niente” di Enzo Striano è un romanzo storico, in verità almeno in apparenza di non facile lettura. Un libro interessante, certamente, anche insolito.
Questo perché si svolge in una situazione storica normalmente poco nota al grande pubblico, quello della nascita, alla fine del ‘700, nel nostro Paese, in piena monarchia, e in una situazione sociale di assoluta deriva reazionaria, di quella che potremmo definire la prima “repubblica socialista”, sull'onda delle emozioni trasmesse con i venti rivoluzionari napoleonici.
Una repubblica liberale, democratica, alla quale aderirono entusiasti il fior fiore degli intellettuali locali, che in verità ne furono gli artefici.
Più che il popolo con i suoi caporioni, come spesso accade nelle rivoluzioni a stampo puramente etico, e non di ricerca di migliorie logistiche delle condizioni di vita dei meno abbienti, furono loro, i nobili, gli intellettuali, gli istruiti, i pensatori di larghe vedute, coloro che prepararono il terreno.
Con i loro scritti e le loro idee favorirono l’avvento, in piena aristocrazia, della Repubblica napoletana, che fu tra l’altro un’avventura tanto esaltante quanto breve, dell’ordine di pochi mesi.
Per quanto originale sia l’ambientazione e, come vedremo, la protagonista, in questo tipo di romanzi, il rischio di creare un “polpettone”, rigoroso nella descrizione dei fatti, ma noioso e poco attraente, è sempre assai alto.
Tuttavia, Striano se la cava alla grande, anche perché si sofferma sull'analisi di un personaggio in verità anch'esso assai singolare, un’eroina davvero diversa di come in genere immaginiamo le protagoniste di fatti storici patriottici.
Una vera donna di oggi, giovane, moderna, una femminista ante litteram, anche troppo per l’epoca.
Non è, infatti, una ragazza d’armi, la nostra protagonista, anche se inserita in una situazione storica, una breve parentesi in verità, tuttavia assai sanguinosa.
La nostra si cimenta invece in una battaglia diversa, un conflitto in cui usa, assai bene, armi a lei maggiormente adatti, le lettere, gli articoli, i libri.
In un’epoca, un paese, dove le donne istruite erano per lo più un orpello curioso.
La battaglia della protagonista è uno scontro molto nobile, e lei stessa è una nobile: la battaglia della diffusione d’idee nuove. Nuove, e come tali rivoluzionarie.
Prima di essere uno scrittore, Enzo Striano è stato un giornalista, e un giornalista in servizio presso i quotidiani della sua città; perciò il suo romanzo ha il “taglio” di una cronaca, più che un racconto è un pezzo giornalistico, un resoconto fedele più che una storia di fantasia.
E questo in qualche modo lo alleggerisce, resta un libro difficile, ma ne migliora la leggibilità.
Striano ci parla di una città magnifica, così com'era all'apice del suo splendore sul finire del 1700, e precisamente fino al 1799, e di una donna altrettanto magnifica, la prima “pasionaria” della storia, ben prima delle eroine dei romanzi di guerra più famosi, una fervente democratica e riformatrice, femminista ante litteram, la colta intellettuale Lenor protagonista del “Resto di niente”, la marchesa Eleonora Pimentel de Fonseca.
Giovane nobile di origini portoghesi ma nata a Roma, costretta a Napoli da bambina, insieme alla famiglia, per motivi politici di attrito con lo stato vaticano.
A Napoli la piccola Lenor cresce, integrandosi benissimo, respira a piene nari la napoletanità, intesa come filosofia di vivere con curiosità e acume, senza ristagnare sui pensieri immobili ma proiettando la mente oltre l’orizzonte visibile.
Non solo, ma Eleonora cresce assimilando ben presto lo spirito “letterario” della città, all’epoca al massimo della vivacità culturale, imparando non solo a leggere e a scrivere, fa già quindi ben di più di quanto previsto per una donna dell’epoca, ma si dedica invece con dedizione e con profitto alla letteratura, studiando, componendo, traducendo, dedicandosi con passione allo studio delle lettere.
Tuttavia, Eleonora non si limita a studiare, a scrivere, a leggere, a confrontarsi con i maggiori intellettuali di corte, per la cultura fine a se stessa.
Piuttosto, perché diventino gli utensili con cui forgiare gli strumenti pedagogici e educativi, utili alla plebe, a quanti vivono e sopravvivono ai margini della monarchia, a coloro cui niente è dato, niente è dovuto, nemmeno un resto, il resto di niente.
La crescita intellettiva della giovane, stupefacente in sé, data l’epoca, anche per un’appartenente al ceto nobile e privilegiato vicino alla corte, subisce in un certo qual modo un brusco arresto quando, in seguito a lutti familiari, Lenor è costretta a sposarsi, a metter su famiglia.
Striano dipinge la mentalità corrente all’epoca anche attraverso le vicissitudini matrimoniali della giovane Lenor, data in sposa a un uomo rozzo, brutale, manesco, pur di posizione altolocata, è infatti un capitano dell’esercito, un uomo simbolo del modo di vivere e di pensare più deleteri del tempo.
Lenor è troppo “avanti” per i tempi in cui vive, troppo colta e conscia che esistono altri temi, altri modi di intendere l’esistenza.
Concetti altisonanti come democrazia e liberismo, ostici ad un certo universo retrogrado e reazionario, affascinano la giovane letterata che, dopo l’ennesimo brutale sopruso, con l’appendice del dolore derivante dalla perdita dell’unico figlio, lascia il marito e riprende la sua attività di letterata, bibliotecaria reale, compositrice di saggi e di sonetti, assidua frequentatrice dei salotti letterari, intima amica dei più bei nomi dell’intelligenza illuminata locale.
Aderisce quindi, sull’onda emozionale delle notizie rivoluzionarie che provengono dalla Francia, agli eventi che portano all’avvento della Repubblica Napoletana, partecipando in prima persona ed esponendosi con le armi di cui dispone, le lettere.
I suoi scritti, infatti, di chiaro stampo democratico, pubblicati e diffusi un po’ ovunque, la gratificarono portandola alla carica di direttrice del principale giornale repubblicano; ma appunto si espone in prima persona per le idee in cui crede, e viene per questo imprigionata con l’accusa di giacobinismo.
Come dire un’amica e sostenitrice della costituzione.
L’assalto alle carceri del popolo, in favore del quale si esprimeva nei suoi articoli, la libera e le permettono di vivere in prima persona i fatti della nuova nata Repubblica Napoletana, proclamata nel 1799 ed esistita per alcuni mesi sull'onda della prima campagna d'Italia (1796-1797) delle truppe della prima repubblica francese dopo la Rivoluzione.
Con il suo pensiero, magistralmente riportato da Striano quasi come se Lenor riflettesse ad alta voce, emerge un atteggiamento sinceramente democratico, contrario a ogni compromesso con le correnti moderate e volto soprattutto a diffondere nel popolo gli ideali repubblicani, attività nella quale la Pimentel s’impegnava attivamente in prima persona…e forse anche in maniera ingenua.
Lenor dentro di sé è onesta, ammette di non aver nulla in comune con la plebe, niente, il resto di niente condivide con quei lazzari ignoranti, sporchi e superstiziosi; il suo interesse per loro è diremmo quasi di natura scientifica, volta a una possibile rieducazione pubblica e civile.
Il popolo è lazzaro, perché senza istruzione e senza educazione, come pensa Eleonora, e ciò è vero.
Come suggerisce Striano, intanto che il popolo è ignorante, resta lazzaro: quasi a dire che le rivoluzioni, prima di dar frutto, richiedono tempo.
Lenor non lo sa, non ha una reale conoscenza delle condizioni delle classi inferiori, e i suoi tentativi di rendere popolare il nuovo regime hanno scarso successo; non solo, ma non sa neanche di non avere più tempo, gli eventi precipitano rapidamente e tumultuosamente così come furono creati.
Come sempre il fuoco della rivoluzione arde intensamente all'inizio, per poi rapidamente scemare.
Lenor coerentemente propugna le sue idee, ma ciò acuisce il malanimo dei Borbone nei suoi confronti, e le attira addosso la loro vendetta, la restaurazione è sempre meschina e vendicativa, e quando la Repubblica, nel giugno del 1799, è rovesciata e la Monarchia restaurata, Eleonora è arrestata e rinchiusa in attesa di giudizio.
Sono queste le pagine più struggenti del romanzo, quelle in cui la giovane anela disperatamente di rimanere viva. Fidando del suo lignaggio, fidando del suo ruolo e delle sue motivazioni, fidando di continuare a vivere, poiché la morte è niente, e tutto è sempre meglio di niente.
È impiccata nella storica centrale Piazza Mercato, la principale della città, e con lei il fior fiore degli intellettuali napoletani, come lei coinvolti nei fatti della repubblica, come lei convinti di aver agito per il meglio, come lei, o forse solo con il suo esempio, mostrando un fiero coraggio sul patibolo.
Muore Eleonora Pimentel Fonseca, muore in piazza dileggiata con canzonacce satiriche da quegli stessi lazzari per cui tanto si era spesa, muore con il rimpianto enorme, ma non di morire, ma per il tempo, per lei già finito, e pure c’è tanto da vivere, la morte è niente, anzi è peggio, è il resto di niente.

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qualcosa su napoli, e ne conosce la Storia. E le sue protagoniste.
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Il resto di niente 2017-11-01 19:59:48 Paola75
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Paola75 Opinione inserita da Paola75    01 Novembre, 2017
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VEDI NAPOLI E POI MUORI

Eleonora De Fonseca Pimentel di origini portoghesi ,fu poetessa a contatto con i più famosi intellettuali dell'epoca come Cuoco, Cirillo , Pagano, Caracciolo , Cimarosa; ebbe scambi di corrispondenza con letterati tra cui ricordiamo le sue lettere con Metastasio, attivista politica si unì al movimento politico contro il clero e la monarchia nella rivoluzione napoletana e infine divenne direttrice del monitore napoletano, giornale sorto ad imitazione di quello francese.
Il libro appunto narra della sua vita e del suo ruolo nei moti del 1799, che con l'esempio e l'aiuto dei francesi, i giacobini tentarono di realizzare la Repubblica partenopea e dopo aver messo in fuga a Palermo il re Ferdinando IV e sua moglie Maria Carolina d'Austria, la città venne conquistata dai republicani i quali occuparono il castello reale e le fortezze ma ebbe scarso successo e tramite una cospirazione con a capo il cardinale Ruffo, i borboni riconquistarono la città e il re fece arrestare e condannare a morte i giacobini tra cui la Marchesa Pimentel che fu la prima donna ad essere impiccata.
In primo piano ci sta Napoli, una città da due volti, la Napoli ricca, nobile, istruita, con il suo maestoso Vesuvio, gli eleganti edifici che si affacciano sul golfo, le colline del Vomero, Posillipo, il porticciolo di Mergellina ed un lato la Napoli ignorante, sporca ,con il suo rigagnolo melmoso e puzzolente, i vicoletti stretti e mal odoranti, in mano al suo popolino rumoroso, festoso, povero ma fiero e ancora San Gennaro, Pulcinella ,i mercati con venditori di cianfrusaglie e le attività bizzarre di vita quotidiana.
Mi è piaciuta molto la descrizione che Striano espone per esprimere i napoletani dell'epoca, una storiella tramandata da padre a figlio: "Napoli è come la vipera,la testa è velenosa, la coda non serve a niente, la parte di mezzo è buona" spiegazione: la testa della vipera sono i nobili, la coda i lazzari e la parte di mezzo il popolo che lavora.
Ho scoperto questo libro leggendo ultimamente le recenzioni su questo sito ed ho deciso di acquistarlo sul mio ebook. Inizialmente le prime pagine mi hanno annoiata, i dialoghi non suscitavano il mio interesse e stavo sul punto di abbandonarlo, ma ho persistito in quanto i romanzi storici mi sono sempre piaciuti e le recenzioni erano ottime ed ho proseguito e in effetti dopo le prime pagine ha cominciato a coinvolgermi.
Lo stile scorrevole ha contribuito a suscitare il mio entusiasmo anche se a mio parere ci sonto troppi dialoghi in francesce e napoletano, Striano dà per scontato che il lettore conosca i due idiomi, può essere che sia stato fatto di proposito dall'autore per conivolgere sempre più nella storia, per marcare le diversità delle situazioni ma personalmente ciò non mi è piaciuto. Inoltre ho trovato la Pimentel un pò passiva negli eventi politici come invece doveva essere stata nella realtà. Nonostante questi piccoli intoppi posso affermare che è un libro molto bello e rimarrà nel cuore e nella mente del lettore.

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Il resto di niente 2017-10-14 09:12:51 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    14 Ottobre, 2017
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Eleonora de Fonseca e la Napoli di fine Settecento

“Tutta la vicenda sua, e l’universo, finiti con lei. Cosa poteva rimanerne? I versi? […]nulla in paragone a quelli di Metastasio, Rolli, Parini. Di costoro, forse, qualcosa resterà. Fra cent’anni, duecento […]! Ma di me? Nada de nada. Il resto di niente.”

No, Lenòr, non è vero che di te e della tua vicenda non sia rimasto niente.
I duecento anni sono trascorsi, tra gli inevitabili sobbalzi e scossoni della Storia, e a essi s’è aggiunto persino altro tempo, durante il quale il tuo ricordo non si è spento.
Di te, oggi, rimane tanto, più di quanto tu stessa avresti osato sperare: le tue parole, anzitutto, sopravvissute su carta, i tuoi pensieri, idee nuove per quei tempi ancor vecchi, i tuoi “meu Deus” un po’ da bambina, il tuo amore per la cultura e lo sconfinato desiderio di apprendere, conoscere, capire; “la bellezza rara dell’ingegno e dell’anima”, come forse ti avrà elogiata uno dei tanti amici che affollavano le stagioni della tua vita, di una donna che non faticava a trovare spazio in mezzo agli uomini proprio in virtù del suo cervello, il tuo saper guardare lontano, il coraggio nell’affrontare le conseguenze di ogni tua scelta, fino all’ultimo.
“Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”, si dice tu abbia avuto la forza di pronunciare sul patibolo: non forse, bensì di sicuro è utile ricordare ciò che accadde a te e alla migliore intellighenzia di quella terra che fin d’allora avrebbe potuto avere la possibilità di seguire un percorso diverso da quello che invece l’ha condotta all’oggi.
Mi piace pensare che ancora si aggiri qualcosa di te, della tua essenza più profonda, tra i vicoli e le strade della tua Napoli tanto amata con tutte le sue contraddizioni, i suoi ordinati disordini, gli odori intensi, i suoni e i colori che si protendono verso lo spettacolo straordinario del golfo, all’ombra di quel vulcano “grande e indifferente” che riempì il tuo sguardo fin dal primo approdo.
Peccato che tu non abbia visto il nuovo secolo, a varcare la cui soglia ti mancò davvero poco… Chissà se ti sarebbe piaciuto così come poi è stato; probabilmente, in parte, l’Ottocento delle nuove tendenze culturali, di cui forse percepisti il sapore nella sinfonia del giovane Beethoven ascoltata poco prima della fine, non di certo quello della restaurazione politica dopo le disillusioni della Rivoluzione francese e l’ubriacatura delle gesta napoleoniche.
Ovunque, tuttora, ci sarebbe bisogno di donne come te, Lenòr: autentiche, straordinarie nella propria semplicità, tante cittadine Fonseca che potrebbero ridare significato ai giorni di un mondo troppo spesso disattento, superficiale e ingiusto che davanti a sé ha ancora innumerevoli battaglie da affrontare.

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Il resto di niente 2017-04-14 18:39:40 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    14 Aprile, 2017
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"Nada de nada"

«Non mi muoverò più di qui, lo sento: in questa città mi toccherà vivere, forse vi vedrò nascere i miei figli. Ci morirò, infine, e vi verrò sepolta».
Con queste parole sceglie la propria patria d’adozione la marchesa Eleonora de Fonseca Pimentel, protagonista del romanzo storico di Enzo Striano. Trasferitasi ancora bambina dal Portogallo a Roma e poi a Napoli per sfuggire alle persecuzioni contro i giansenisti, la giovane “Lenòr” così preannuncia il suo destino, ormai legato a Napoli, viva e pulsante capitale del Regno delle Due Sicilie. Poetessa, scrittrice e giornalista di grande talento, sarà amica di filosofi e letterati tra i più importanti del suo tempo. Coinvolta nella Rivoluzione partenopea del 1799, darà il suo significativo contributo al tentativo di creare un mondo migliore firmando “Il Monitore Napoletano”, ma pagherà con la vita, insieme agli amici più cari, il suo amore per la libertà.
Protagonista del romanzo, accanto ad Eleonora, è la capitale partenopea, con il suo splendore, le sue miserie e le sue molteplici contraddizioni: la nobiltà, più o meno colta, favorevole o meno a una rivoluzione, sempre intenta a sperperare e a spettegolare sulla regina, l’austriaca Maria Carolina; i lazzari, il vivace popolo napoletano, povero, ignorante, sottomesso, e tuttavia libero e felice in quella povertà, in quell’ignoranza, in quella sottomissione, pago del sole, del mare e della sua bella città; intellettuali provenienti da ogni classe sociale, vivaci, brillanti e ansiosi di andare incontro al futuro sulla scia degli avvenimenti francesi.
Nella rappresentazione dei diversi “mondi” napoletani nulla è lasciato in ombra da Striano, né gli intrighi della corte né la spaventosa miseria dei lazzari: tutto è descritto con implacabile veridicità. E da ogni realtà di Napoli provengono i numerosi e variegati personaggi che circondano Lenòr, ciascuno dotato di una ricca caratterizzazione: Vincenzo Sanges, suo precettore ed amico nella prima giovinezza, l’aristocratico Gennaro Serra, che invece le sarà accanto nella parte finale della sua vita e con il quale Lenòr condividerà la tragica fine; Ferdinando, "il re lazzarone”, rozzo, ignorante e solito trascorrere le sue giornate nei bassi della città, con i pescatori e i popolani; la regina austriaca Maria Carolina, malvista da tutti e sempre al centro di scabrosi pettegolezzi nei salotti napoletani. Particolare attenzione merita Graziella, domestica di Lenòr, emblema dei lazzari e della loro condizione, con la quale la marchesa tenterà senza successo di avviare il suo progetto di educazione del popolo.
Tutti loro e molti altri gravitano intorno a Lenòr, personalità complessa e affascinante, presentata non soltanto come intellettuale ed eroina della sfortunata repubblica partenopea, ma anche e soprattutto come donna, attraverso il suo percorso di crescita, le sofferenze, gli amori, le amicizie, l’appassionato impegno ideologico: tutto è visto attraverso i suoi occhi. La vivacità del mondo napoletano è perfettamente rispecchiata dallo stile: brioso, ricco ed elaborato, ma anche scorrevole e dinamico, incalzante nei momenti più drammatici, minuzioso e attento nelle descrizioni che coinvolgono tutti i sensi del lettore nell’universo di odori, colori e sapori della città. La narrazione è poi ulteriormente vivacizzata dalle frequenti analessi e prolessi, da una miscela di linguaggi differenti, dialetto romano e napoletano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, e dall’utilizzo del discorso diretto e indiretto libero, che semplificano i periodi e conferiscono loro rapidità.
"Il resto di niente" cerca di dar voce a un momento fondamentale della storia napoletana, ai motivi e alle cause di una rivoluzione, alle speranze di chi l’ha fatta e alla delusione del fallimento. Gli intellettuali partenopei, principali artefici della repubblica, portarono Napoli in una posizione di primo piano nel movimentato panorama politico europeo di fine Settecento, incoraggiati dall’esempio della rivoluzione francese, ma fallirono nel loro intento perché non supportati dal popolo, che in Francia era stato l’anima della rivoluzione, ancora troppo legato alla figura sacra e paterna del re. Dalle pagine di Striano emerge così una Napoli bellissima e maledetta, lacerata dalle contraddizioni e condannata ad un immobilismo storico in cui annega ancora oggi. Ciò che resta, alla fine, è solo disillusione.
«Come dicono i napoletani per significare nulla, proprio nulla, nada de nada?», si chiede Lenòr. «Ah, sì: il resto di niente».

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Il resto di niente 2015-11-02 00:11:29 marioconti
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marioconti Opinione inserita da marioconti    02 Novembre, 2015
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Per forze ignote che decidono di te

Per forze ignote che decidono di te.
A chi dà per scontato che gli accadimenti della Storia siano sempre forgiati dai grandi Disegni dei suoi protagonisti, Enzo Striano - formidabile scrittore morto poco dopo la prima pubblicazione del romanzo senza poter godere la gratificazione del lento ma puntuale tamtam del popolo dei lettori - propone una marchesa Eleonora Pimentel de Fonseca, "Lenòr", che è tutt'altro dalla mummificata eroina consegnataci dalla iconografia risorgimentale (bella espressione che rubo al mio amico Silvio). Egli ci restituisce, liberandolo, il ritratto di una donna che forse, all'incontro con la Storia, stava percorrendo un'altra strada, fatta di contatto panico con la natura, curiosità verso il prossimo, divertimento e amore per il teatr(in)o della vita. E che dal flusso, e poi dal tumulto, delle cose che seguono non si ritrae, proprio in virtù di quello spirito più che in risposta al richiamo della Storia.
Il racconto la coglie bambina, a Roma, ad assorbire tutta presa il brulichio gravido di odori del porto di Ripetta. La segue nel suo trasferimento con la famiglia - nobile e sfortunata famiglia portoghese - nella mitica e favoleggiata Napoli della metà del '700, lasciata all'apice del suo splendore da Carlo III di Borbone a un Ferdinando ragazzino. (Memorabile, attraverso l'occhio rapito della bambina, l'arrivo della carrozza al "largo di Palazzo" in pieno bailamme di Piedigrotta. Da Napoli non si sarebbe più mossa, seppe subito). La vita a corte e nei salotti "sconvenienti" dove germogliano o rimbalzano i primi fermenti illuministi. E poi via via gli echi della rivoluzione francese, il montare del disegno utopistico di una Repubblica Partenopea. E repubblica fu, 1799, breve e tragica stagione. Come finisse è noto. E con la repubblica si chiude anche il romanzo, all'ombra delle forche di Piazza Mercato nell'afrore di una giornata estiva al giro di boa fra due secoli.
Ma con Il Resto di Niente non siamo in presenza di un pretesto narrativo per fare storia; neanche c'è schieramento palese e aprioristico per una parte. Mi sembra piuttosto che sia la storia ad offrire un irresistibile pretesto per dipanare una vicenda umana dai vividi bagliori romantici, di un pugno di ragazzi perbene che si infiammano a un gioco più grande di loro, e lo reggono fino alle estreme conseguenze.
Eppure, se Napoli era fertile terreno di coltura dell'entusiasmo illuministico di questi neofiti, non poteva esserci luogo meno indicato per l'attuazione di un programma politico che ne incarnasse lo spirito: vi alitavano savia comprensione, indifferenza gentile, meglio ancora supremo senso della vita, in equilibrio fra pietà e disincanto. Tutto (dal grande e nobile, al futile e meschino) acquistava preziosità inestimabile ma, al tempo stesso, non valeva nulla.
Di questo Lenòr acquista progressiva, fatale coscienza, molto in anticipo rispetto ai suoi appassionati compagni d'avventura; si accorge di partecipare a un gioco inverosimile, sventato, messo su da uomini bambini. Ma è donna di cuore, e sta con loro, vuol vedere come va a finire, se ne fà lei stessa artefice.
Se Lenòr è donna di cuore, Il Resto di Niente non può non essere un romanzo d'amore. Amore per la vita, innanzitutto. Il caleidoscopio di descrizioni di mercati brulicanti, di sonnacchiose marine assolate, di notti profumate, di feste di piazza e feste di corte, il miscuglio vorticoso di alto e basso dànno la costante sensazione di vivere la vicenda con tutti e cinque i sensi.
Ci sono poi gli incontri con l'amore; a partire da quello trepidamente atteso da lei adolescente, a quello vissuto per gioco, a quello forse non riconosciuto, a quello non accettato, a quello sublimato. Su tutte, la giovane, straziante figura del principe Gennaro Serra di Cassano la cui vicenda ancor oggi a Napoli inumidisce qualche ciglio.
Il tono del racconto, la ricercatezza evocativa della prosa, sospesa fra antico e moderno come negli eleganti ghirigori di un Gesualdo Bufalino, gli esercizi di stile (la babele linguistica degli ambienti altolocati, l'ermetica parlesia tutta simboli del linguaggio malavitoso - sorta di Miserabili alla napoletana), la truculenza espressa con tratto elegante (le buffonate del boia a beneficio dei lazzari), le vivide sortite nell'alimentare (il pranzo di Fasulo), consegneranno alla vostra memoria immagini stampate a fuoco.
E dunque mi piace pensare che il bilancio di questa scrittura non sia quello, ironico e perentorio insieme, preso in prestito per il bel titolo napoletano: il resto di niente. Anzi raccogliamo - e facciamone tesoro - il messaggio implicitamente lanciato da Lenòr dagli spalti di Castel Sant'Elmo, in un momento illuminante del libro e della sua vicenda umana:
Tutti non facciamo che attendere. Mentre questa città bellissima ai nostri piedi va accendendosi di luci. Sembra sentirne vaporare l'alito, di veder la gente brulicante per strade, vicoli, piazze. Ride, mangia, prende il fresco, vive. Noi, invece, in quest'isola arcigna, fuori dal mondo banale e bello.

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