Il re di Girgenti Il re di Girgenti

Il re di Girgenti

Letteratura italiana

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Ambientato nel primo quindicennio del Settecento, il romanzo di Camilleri si ispira ad un episodio della storia siciliana. Erano gli anni in cui la Sicilia era con i Savoia, si succedevano rivolte e rivoluzioni. Per sei giorni Girgenti diventò un regno indipendente con un contadino che si autoproclamò re. Si chiamava Michele Zosimo, nei giorni dell'insurrezione pare bevesse vino mescolato a polvere da sparo. Re per soli sei giorni, una volta sedata la rivolta, venne ucciso.



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Il re di Girgenti 2024-08-21 12:36:32 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    21 Agosto, 2024
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BIOGRAFIA INVENTATA DI UN MASANIELLO SICILIANO

«A seguito di l'accordo che questi potenti ficiro, la nostra terra passa da essiri propietà delli spagnoli a essiri propietà di un duca che di nome fa Vittorio Amedeo di Savoja e che pirciò da duca passa a re. E nui semo sempri uguali a cìciri o a favi che s'accattano e si vinnino». […]
«Tu pensi che con questo re cangia qualichi cosa?» fece Giurlannu Cucinotta.
«E che deve cangiari, Giurlà» intervenne Fofò. «L'accanusci la poisia?».
«Quali poisia?».
«Quella che fa: "Tutti lu sannu, lu sapi puro u mulu / ca u viddranu lu piglia sempri 'n culu." Ti piaci la poisia?».
«No».
«Ma la poisia si può cangiari» fece Zosimo. «Accussì, per esempio: "È scrittu 'n celu, lu jorno spunterà / ca futtemu lu Re, u Papa e a Nobiltà." Chista ti piaci?».
«A cangiari una poisia è facili» commentò Giuggiuzzu Siracusano, ch'era il più vecchiu di tutti. «Lu difficile è cangiari lu munnu».
«Volenno, ci si arrinesci» fece Zosimo addiventato serio.
«E comu?» fece Tanu Gangarossa. «Nun avemu né armi né esercitu, siamo soli e abbannunati, nun avemu putiri, nenti, avemu sulu gli occhi per chiangiri...».
«Una cosa l'avemu» disse Zosimo sempri serio. «La fantasia. Che è l'arma più piricolosa.».

Così come Georges Simenon è diventato un autore di straordinario successo grazie al personaggio di Maigret, ma lo si ricorda negli annali di letteratura soprattutto per i suoi “romanzi duri”, allo stesso modo Andrea Camilleri è noto ai più per il suo eroe maggiormente popolare, ovverossia il commissario Montalbano, ma la parte più considerevole dal punto di vista artistico della sua produzione è sicuramente costituita dai suoi romanzi storici. Lo scrittore di Porto Empedocle ama infatti partire spesso da episodi storici documentati, ancorché poco o nulla conosciuti, per poi svilupparli e rielaborarli in maniera del tutto soggettiva e autonoma, creando così una sorta di falso storico, il quale però, un po’ come avveniva per il Thomas Mann di “Giuseppe e i suoi fratelli”, alla fine risulta più verosimile della realtà tramandata dai testi ufficiali. La cosa più notevole è che Camilleri, pur ambientando le sue storie prima del 1900, sembra sempre avere davanti agli occhi la situazione della Sicilia di oggi, la quale appare anzi, con le sue ben note problematiche sociali, economiche e culturali, proprio come la risultante inevitabile e necessaria dei processi storici avvenuti diversi secoli prima. Questo si nota più che mai ne “Il re di Girgenti”, la cui ambientazione è addirittura a cavallo tra Seicento e Settecento (qualche decennio dopo i “Promessi sposi”, tanto per intenderci), all’epoca della dominazione spagnola prima e quella dei Savoia poi, che tanta sofferenza arrecarono, con il loro malgoverno, la loro corruzione, la loro ferocia repressiva, oltreché con l’esosità delle loro tasse e gabelle, alla popolazione dell’isola. Camilleri crea un quadro storico molto circostanziato, citando episodi come il terremoto del 1693, la controversia liparitana del 1711 (già trattata da Sciascia nella sua “Recitazione” scritta trent’anni prima) o la pace di Utrecht del 1713, e all’interno di questa cornice sviluppa la storia di uno dei tanti capipopolo che in quegli anni si fecero portavoce, con rivolte destinate inevitabilmente al fallimento, del malcontento della classe contadina, costretta dai dominatori stranieri a una vita di stenti, di fame e di sofferenza. Il protagonista Michele Zosimo è una sorta di Masaniello siciliano, che grazie alla sua innata intelligenza e alle sue doti di empatia e di saggezza, diventa ben presto il paladino della popolazione di Montelusa contro i soprusi e le soperchierie del potere laico e di quello religioso. Grazie alle sue imprese coraggiose e temerarie, e a dispetto della sua giovane età, riesce a far sì che i suoi concittadini possano superare indenni la carestia (costringendo l’avido vescovo a distribuire obtorto collo le sue ingenti scorte di frumento), a mitigare gli effetti della peste (bruciando tutte le chiese della città e così impedendo gli assembramenti che avrebbero propagato il contagio) e a punire l’odiosa Inquisizione che aveva ucciso il venerato padre Uhù (trasformando il cadavere del poveruomo bruciato sul rogo in una sorta di ordigno devastante). La sua ascesa arriva fino al punto di costituire un piccolo esercito, dare l’assalto al palazzo del Governo e al castello dove sono acquartierati i soldati piemontesi e, una volta conquistata la città, farsi proclamare re, dopo avere inciso sul tronco di un sorbo le proprie leggi rivoluzionarie (curioso anacronismo di un metodo arcaico di far conoscere la legge, quasi una sorta di tavola di Hammurabi vegetale, e di norme che per contro sembrano preannunciare l’Illuminismo o addirittura, in quella idea di fratellanza universale tra popoli, anticipare di due secoli la novecentesca Società delle Nazioni).
Nonostante che il romanzo abbondi di lutti e di tragedie, di sofferenze e di atrocità, e non sia, come è fin troppo facile immaginare, a lieto fine, dal momento che la storia si può sì reinventare con la fantasia, ma non ribaltare nei suoi esiti ultimi (a meno di non trovarsi in un film di Quentin Tarantino), il tono adottato da Camilleri, e la cosa non deve stupire chi conosce almeno un poco l’autore siciliano, è tutt’altro che lugubre e pessimistico. “Il re di Girgenti”, che per inciso è l’opera più lunga e a mio parere anche più ambiziosa mai scritta dello scrittore empedoclino, strabocca infatti di storie picaresche, di aneddoti curiosi e di personaggi originali (si pensi a padre Uhù, che gira per le campagne con la sua croce in spalla in cerca di diavoli da esorcizzare, al mago Apparenzio, che legge il futuro di Zosimo, riconoscendone per primo l’eccezionalità, o il brigante Salamone, che lo incita a “ristari sempri uniti, aiutaricci l’uno con l’àutro” e a guardarsi “dalli nobili e putenti” che “sono latri, sasini e pripotenti”), storie, aneddoti e personaggi che il vernacolo siciliano, che qui per ovvie ragioni (dal momento che il romanzo è popolato soprattutto di “viddrani, bracciatanti e povirazzi”) è più utilizzato del solito, rende assai saporiti e divertenti. In tutto il testo inoltre il realismo di fondo va di pari passo con un tono favolistico, che richiama alla lontana “I nostri antenati” di Italo Calvino o la “Lunaria” di Vincenzo Consolo. Basti pensare alla scena della nascita di Zosimo, con Filonia che si trova a partorire da sola, circondata solamente dalle bestie della casa, le quali, al termine del parto, in una sorta di bizzarra Adorazione in chiave animale, porgono alla madre e al figlio i loro doni: la gallina fa cadere un uovo caldo da succhiare, la capra offre le sue mammelle gonfie di latte e il cane pulisce con la lingua la pelle del neonato il quale, anziché mettersi a piangere come ci si sarebbe aspettato, inizia a ridere di gusto come un uomo fatto. Qua e là fa capolino anche qualche elemento sovrannaturale (come quando Zosimo fa terminare la siccità grazie al rogo dei suoi libri), e ciò ha fatto parlare qualcuno di “realismo magico”, ma questa è solo una suggestione tra le tante, così come lo è l’influenza del Manzoni nelle pagine storiche. Il fatto è che “Il re di Girgenti” è un libro tipicamente camilleriano, a partire dall’evocativo idioletto, che non deve essere confuso con il dialetto siciliano tout court, ma che, per la sua musicalità, a me fa sempre venire in mente il grammelot che ha reso celebre Dario Fo. Ci sono poi i finti documenti storici, i memoriali apocrifi dell’epoca, che Camilleri dissemina qua e là per accrescere l’impressione di verosimiglianza dei fatti narrati. Non manca inoltre il gusto ironico e beffardo con cui lo scrittore affronta anche le tematiche più spinose, e con cui il protagonista si muove sul palcoscenico del mondo e cerca di risolvere tutti i problemi e le complicazioni che si trova di fronte, mantenendo sempre la fantasia a fargli da bussola, da stella polare: si pensi alla burla dell’acqua mescolata all’olio, con cui i concittadini di Montelusa riescono a evitare la requisizione del loro olio e contemporaneamente a far punire dal Viceré l’odioso duca Pes y Pes, o ancora a quella della finta apparizione del santu Campagnolo, orchestrata da Zosimo per placare il senso di colpa dei tanti fedeli che, per non stare né col papa ne col re, non possono più frequentare le funzioni religiose o prendere i sacramenti. Accanto ai topoi, agli archetipi della letteratura camilleriana, è presente però qui per la prima volta un elemento di forte novità rispetto agli altri romanzi dello scrittore di Porto Empedocle, cosa che rende a mio avviso “Il re di Girgenti” forse la sua opera più suggestiva e compiuta. Sto parlando del sentimento, dell’emozione, che tracimano dalle pagine più apologetiche o da quelle più sarcastiche, per dar vita a momenti di pura poesia, e financo di commozione. Quando ad esempio Ciccina, la moglie di Zosimo, muore cadendo da una scala, l’uomo, in preda alla disperazione, corre fino alla grotta di padre Uhù e lì, con un rudimentale flauto costruito con una canna, suona la musica che il vecchio mentore gli aveva insegnato per fermare un istante i morti prima che scendano nel luogo da cui non si torna, e in quel momento Ciccina, evocata da quel suono sconsolato, soffiato nello strumento come se fosse l’ultimo gesto della sua vita, gli appare nella nebbia vestita con l’abito da sposa, mentre si muove lentamente dandogli le spalle e si volta un’ultima volta a guardarlo negli occhi, prima di continuare il cammino e, come Euridice, sparire nell’oscurità. Il capitolo finale è altrettanto meraviglioso, e la scena di Zosimo sul patibolo, che immagina di aggrapparsi al filo di una comerdia, di un aquilone, per volare nel cielo, e da lì osservare, con leggerezza, con liberazione, con allegria perfino, la scena dell’impiccagione e il se stesso che penzola dalla forca, fa capire alla perfezione quanto Camilleri sia uno scrittore di razza, unico e inimitabile.

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Il re di Girgenti 2020-04-15 14:00:05 Monky
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Monky Opinione inserita da Monky    15 Aprile, 2020
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Magistrale

Una storia stupenda scritta in modo magistrale. C ‘ è tutto..
È la storia di un uomo straordinario, non per ceto sociale in quanto figlio di braccianti, ma in quanto predestinato a fare grandi cose fino a poter diventare re per volere del suo stesso popolo.
La storia di un’ utopia, di un sogno bellissimo..
Un finale che è poesia.
E poi oltre alla storia in questo libro si sente lo Scrittore, con il suo modo unico e meraviglioso di scrivere , con la sua lingua che contemporaneamente è siciliana ed universale
Un libro che allo stesso tempo sa far ridere, riflettere e piangere.
Più che consigliato

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Il re di Girgenti 2019-09-06 13:00:27 Scavadentro
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Scavadentro Opinione inserita da Scavadentro    06 Settembre, 2019
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Il trionfo del tragicomico

Il Camilleri di Montalbano dista parecchio dal Camilleri profondamente "siculo" e dialettale. Quest'ultimo emerge nelle opere di diversa ambientazione storica e temporale, con elemento imprescindibile la locazione territoriale della Sicilia di Vigata, Montelusa e isolana in genere. L'autore con questo ed altri romanzi ha creato un'epopea che sfocia nel mito, nella teatralità più pura e autentica, nel popolare più nobile e mai popolaresco. I contadini poveri e considerati "bestie" o oggetti dalla nobiltà arrogante e immorale sono descritti e si ergono in un'aura di dignità umana che tocca vertici altissimi, sfiorando il miglio Verga. Ma se i maestri del verismo connotavano le loro opere con la tragedia, qui invece si ha una tragicommedia e una serie di situazioni divertenti e di sagacia contadina tali da far alternare commozione e risata in alternanza non solo di capitolo in capitolo, ma di frase in frase. I ritratti delle figure religiose, civili, dei braccianti e degli sgherri, dei parrini e dei mistici, creano mini trame nella narrazione generale, realizzando un quadro ampio e colorato, ricco di odori, sapori, sentimenti. La difficoltà iniziale del linguaggio utilizzato molto dialettale ma anche maccheronico (come dello spagnolo dei nobili) viene presto superata dall'intendimento istintivo del termine. Ci si abitua e ci si immerge quindi non solo in una storia epica, ma anche con un linguaggio originale e adatto proprio a questo tipo di vicende e personaggi. Le figure quasi animalesche sono sanguigne, sessuali, vive. Provano fame e desiderio e vivono con intensità senza rassegnazione, con un senso di comunità oggi sconosciuto. Quest'opera ha un valore etico, una morale che va molto al di la del romanzo. Ci lascia una figura del romanziere filosofo, civilista, democratico, umano, solidale. Tutti elementi che emergono a mio avviso con maggiore forza nelle opere extra Montalbano.

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Cervantes, Verga, Zola..
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Il re di Girgenti 2015-11-11 05:51:29 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    11 Novembre, 2015
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Un tentativo di riscatto

Andrea Camilleri, di tanto in tanto, rispolvera fatti e personaggi del passato, quasi del tutto caduti nell’oblio, per trarre lo spunto per interessanti e piacevoli romanzi storici. È il caso di quell’autentico capolavoro che è Il birraio di Preston, oppure di La setta degli angeli, una sorta di bunga bunga di inizi ‘900. Il re di Girgenti é basato su un fatto accaduto realmente nella prima metà del XVIII secolo ad Agrigento, allorché un semplice contadino, uno di quelli che lavoravano a giornata, tale Michele Zosimo, più conosciuto come Zosimo, per alcuni giorni divenne re della città. Che un umile lavoratore della terra, un plebeo potesse diventare un capo popolo e assurgere, sia pure quasi nel tempo di un battito d’ali di farfalla, al trono di un improvvisato regno è materia di per sé particolarmente interessante e in cui Camilleri si getta a capofitto. In sé la vicenda, a parte lo scalpore, non sarebbe gran cosa se l’autore siciliano non ci mettesse tanto del suo, con la rappresentazione di un mondo atavico, in cui sopravvivono – quando ci riescono – migliaia di poveri diavoli, accanto alla stridente realtà dell’opulenza di nobili, la cui indolenza e protervia non viene minimamente scalfita dall’abbondanza di superfluo. Questo terreno, così spaccato, è la coltura ideale perché possa dare i natali a qualcuno che osi sollevare la testa, diventando il simbolo dei sudditi considerati dai padroni più bestie che uomini. Accanto alla figura di Zosimo, esistito veramente, la cui vita è ovviamente romanzata da Camilleri, si ritagliano un angolo di notorietà tanti altri personaggi, del tutto di fantasia, che danno una coralità all’opera tale da costituire uno dei motivi del suo successo. Ma se nell’analisi sociologica dei villani dell’epoca l’autore siciliano fa rientrare un certo alone di magia e di un empirico e rozzo esoterismo, ha la capacità tuttavia di innestare una trascendenza non di maniera, in un’opera che unisce riso e anche pianto, perché il Re di Girgenti non abdicherà, né sarà costretto a farlo; non è tanto l’attribuzione del titolo il suo reato, quanto invece quello di aver richiesto un po’ di giustizia e di umanità. Per la sua ribellione, per la ribellione di un popolo di derelitti che lo ha seguito, finirà sulla forca ed è proprio l’esecuzione forse la parte più riuscita del romanzo; in quelle pagine la parola vola alta e si tocca il sublime. Quindi tanto di cappello a Camilleri e a questo suo lavoro, a cui nuoce solo quel suo linguaggio di dialetto siciliano italianizzato che a volte è comprensibile solo a senso, impedendo così di apprezzare la bellezza della parola giusta al momento giusto.

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Il birraio di Preston e La setta degli angeli, entrambi di Andrea Camilleri
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Il re di Girgenti 2010-11-08 13:18:33 Cristina V
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Cristina V Opinione inserita da Cristina V    08 Novembre, 2010
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Il migliore!

Non posso che associarmi alla precedente opinione: io ho letto già due volte quello che ho sempre ritenuto il MIGLIORE romanzo di Camilleri in assoluto! ricordo che nel lontano 1999, quando è stato pubblicato, avevo affermato che nessun altro romanzo mi aveva fatta ridere di gusto in molti punti, piangere in altri ( finale struggente!), mi aveva avvinta fino all'ultima riga; ..insomma, un gioiello .
Anch'io sono sorpresa delle poche recensioni, ma non ero ancora arrivata a questa "parte" dell'opera di Camilleri.

Lo rileggerò quanto prima per la TERZA volta! e scriverò una recensione che ( spero!)gli renda onore.

Consigliatissimo.

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Il re di Girgenti 2010-11-08 12:11:00 rimax81
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rimax81 Opinione inserita da rimax81    08 Novembre, 2010
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Che sorpresa

Che sorpresa positiva questo libro affascinante che ho letto ormai tanti anni fa. Per rendergli piena giustizia lo rileggerò a breve, per non lasciare nel dimenticatoio i personaggi e la loro storia in ogni dettaglio.
Posso però lasciare traccia del senso di piacere che ho provato leggendolo e che provo tuttora ricordandolo.
Ma che sorpresa negativa trovare un solo commento a quello che per me è il miglior libro di Camilleri.

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Il re di Girgenti 2010-09-12 19:06:18 chicca
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chicca Opinione inserita da chicca    12 Settembre, 2010
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il re di girgenti

Siamo a cavallo tra la fine del '600 e l'inizio del '700 in una Sicilia segnata dalla siccità, dalla carestia e dalla peste.
Questo romanzo narra la vita del capopopolo Zosimo che nel 1718 divenne re di Girgenti ( fatto realmente accaduto), tutto il resto, cioè una galleria di fantastici personaggi come il valletto Cocò, Don Aneto, padre Uhù, il mago Apparenzio e tanti altri e le vicende che li uniranno a Zosimo, sono frutto della impareggiabile fantasia
del maestro Andrea Camilleri. Ed è proprio la fantasia l'arma vincente di Zosimo che riuscirà a far vivere il sogno , seppur breve, di una vita più giusta al suo popolo. Con questo romanzo Camilleri dimostra di essere il più grande scrittore italiano dei nostri tempi. Camilleri quando romanza la storia non ha rivali, riesce attraveso la sua ironia, il sarcasmo, l'umorismo vero e proprio e l'utilizzo di questa lingua siculo-italiana a trasportare il lettore in quella magnifica terra che è la Sicilia.
Un libro che ha il respiro dei grandi classici.
Da leggere e rileggere.

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