Il gioco degli dèi
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Nelle mani del fato
Dopo aver letto non molto tempo fa “La variante di Lüneburg” dello stesso autore, mi accingo a recensire quella che è la sua più recente uscita. Da entrambe le letture si evince che, oltre a essere un profondo conoscitore del mondo degli scacchi, Paolo Maurensig ne è davvero un amante appassionato, che accosta questo gioco a qualcosa di quasi divino. Come suggerisce il titolo di questo libro, dopotutto.
Devo dire che lo stile di Maurensig si è confermato di buona fattura: chiaro, scorrevole, capace di emozionare nei momenti giusti; soprattutto nel finale mi è sembrato capace di smuovere qualche corda del mio animo. Anche “Il gioco degli dèi", dunque, si è rivelata una bella lettura, che ci rende partecipi di una storia che, oltre a essere un piacere da leggere, ci regala anche qualche momento di sana riflessione. Certo, Maurensig dovrà essere bravo in futuro nel continuare a variare molto le sue storie, se vuole mantenere come cardini gli scacchi (e anche qualche altro elemento, come la guerra), ma mi sembra che finora ci sia riuscito bene.
Il realismo di Maurensig non concederà tuttavia molte soddisfazioni al lettore amante dei risvolti sempre positivi degli eventi; per quanto mi riguarda questo è un punto a favore dello scrittore, che riesce a dipingere la vita in maniera autentica e senza forzare la mano per “accontentarci”.
Tuttavia, c’è sempre spazio per la speranza.
In questo libro diventiamo spettatori di quella che è stata la vita di Malik Mir Sultan Khan, indiano di umili origini che si ritrova un dono: è un vero e proprio campione del chaturanga, ovvero l’antenato del gioco che noi chiamiamo scacchi. Da ragazzino, nel suo villaggio, farà la sua comparsa una tigre che lo priverà di entrambi i genitori, lasciandolo completamente solo. In soccorso dei suoi servitori arriverà il principe Sir Umar Khan. Il nobile Khan, conosciuto per essere un uomo buono che si preoccupa dei suoi sudditi, allestirà un accampamento e, nelle pause che ci saranno tra una battuta di caccia alla tigre e l’altra, ascolterà le richieste di aiuto degli abitanti del suo villaggio. Tra questi il piccolo Malik, che gli farà una richiesta insolita: vuole diventare un campione di chaturanga.
Da qui si scateneranno una serie di eventi che porteranno Malik a confrontarsi con i più grandi campioni di scacchi; ad affrontare e sconfiggere il più grande giocatore del mondo: Capablanca; a vincere più di una volta il titolo di campione di scacchi britannico. Tuttavia, come al solito, la guerra verrà a sconvolgere la vita e il futuro di Malik, che si ritroverà trascinato in una serie di eventi che gli segneranno la vita, in certi casi episodi piuttosto amari.
Una volta chiuso il libro lo riporremo con la consapevolezza di aver appreso una storia che valeva la pena di essere raccontata.
“Essere supportati dagli dèi non è poi quella gran cosa che tutti credono; non è un merito muoversi appesi alle loro fila, diventare una loro pedina. È appena poco più dici che fa un servo nell’obbedire ai desideri e ai comandi del proprio padrone.”
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Gioco che sostituisce in modo incruento la guerra
In occasione dello scoppio del conflitto tra India e Pakistan, un inviato del Washington Post rintraccia e intervista il mitico Sultan Khan: umile servo di un maharaja, divenuto campione britannico, che con grazia e pacatezza riesce a umiliare gli altezzosi avversari inglesi, opponendo l’orgoglio del talento naturale alla supponenza colonialistica degli oppressori.
Iniziato al chaturanga, l’antenato orientale del gioco degli scacchi (“Il mio maestro cominciò a spiegarmi anche le regole occidentali… come l’arrocco…”) che nasce da un’intuizione antimilitarista (“Gli balenò nella mente l’idea che ci fosse la possibilità di deporre le armi e di inventare un gioco in grado di sostituire in modo incruento la guerra”), Sultan snocciola la sua vita avventurosa in India, in Gran Bretagna e poi, dopo il conflitto mondiale (“Operazione Ikarus, operazione Kathleen, operazione Barbarossa…”) a New York, ove entra nelle grazie di un’anziana miliardaria che gli lascia in eredità una Rolls Royce.
Avventura e simbologia del gioco degli scacchi si fondono in un romanzo avvincente e ben costruito sullo sfondo della filosofia orientale (“Ipnotismo, trasmissione del pensiero, telecinesi, preveggenza – tutte facoltà comuni presso santoni e yogin…”) che vede nel karma e nella rassegnazione una chiave d’interpretazione biografica predominante sul talento naturale.
Giudizio finale: strategico, induista, avventuroso.
Bruno Elpis