Il cimitero di Praga
Letteratura italiana
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CONTROVERSO
Ho visitato il cimitero di Praga nel 1993. E' un luogo che non si dimentica, perciò devo ammettere che ho acquistato il libro innanzitutto perché ero attirata dal titolo.
Mi aspettavo una trama ricca di spunti eruditi poiché non è il primo libro di eco che leggo, ma questa volta ho faticato a seguire la storia, soprattutto nella parte centrale dove i personaggi si moltiplicano e sono stata costretta più volte a tornare sulle pagine già lette per ripescare il ruolo di alcuni di essi.
Ho apprezzato, comunque, l'ambientazione storica:il Risorgimento è un periodo che da sempre mi affascina. Per me è stato interessante e piacevolmente diverso rivivere l'impresa dei Mille in modo per nulla retorico, attraverso gli occhi disincantati e cinici di un antieroe. Del resto il protagonista del romanzo incarna l'apoteosi della mistificazione, così abituato a imbrogliare e falsificare da credere, alla fine, egli stesso ai propri inganni. Non ha pietà per nessuno e non possiede scrupoli morali, ma non è nemmeno il mercenario che si schiera dalla parte del maggior offerente, non si schiera affatto: arraffa ciò che può da tutte le parti. L'unico punto fermo della sua esistenza è l'odio profondo per gli ebrei, coltivato fin dalla giovane età a causa degli insegnamenti balordi del nonno, infatti l'unica cosa a cui Simonini dimostra di essere affezionato (oltre alla buona cucina) sono i Protocolli che contengono la prova del presunto conciliabolo dei grandi capi ebrei per impossessarsi del mondo. Un documento forgiato dal falsario Simonini e più volte rimaneggiato a seconda del bisogno e dell'interlocutore. Ma quando arriva il momento di creare un'ultima e definitiva versione e cederla ai Russi, Simonini si sente svuotato e privo di uno scopo. Accetta l'ultima missione non solo per ritornare ad essere protagonista, ma soprattutto per dare ulteriore credibilità (per aiutare- dice lui) ai suoi Protocolli.
Interessante la struttura del romanzo, orchestrata come dialogo tra due diari, quello di Simonini e quello dell'abate Dalla Piccola. I due scrivono partendo da un suggerimento froidiano perchè entrambi smemorati e bisognosi di risolvere i continui black out che li tormentano. Tra di essi si inserisce il Narratore che dice di riportare i diari come li ha trovati (secondo uno stratagemma di manzoniana memoria) e cerca di riassumere le parti più ingarbugliate. Uno stesso t attanaglia entrambi i personaggi, ma si tratta di un mistero la cui soluzione il lettore riesce ad intuire facilmente già a metà libro. Ho trovato, invece, troppo dispersiva la parte centrale dedicata alla deriva delle logge massoniche in sette palladiane o nei vari culti di Lucifero. In questo caso l'invidiabile erudizione dell'autore, secondo me, non ha giovato all'opera.
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Terribile
Non sono contro i romanzi storici ma questo non lo avrei comprato comunque perchè la trama non mi attirava affatto. Mi è stato imposto dalla prof (mannaggia a lei) e così non ho avuto scelta. Inizialmente ero ottimista: mi aspettavo qualcosa di bruttino ma nel complesso passabile. Mai pensiero fu più sbagliato!
La storia è assolutamente terribile, i personaggi, lo stile e l'ambientazione non aiutano.
L'autore si immerge completamente nelle vicende storiche e chi, come nel mio caso, non le conosce o le ricorda solo a grandi linee si trova perso senza bussola e possibilità di capirci qualcosa.
I personaggi sono uno più terribile dell'altro ma la corona dell'odiosità spetta al protagonista, quel dannato Simone Simonini o come cavolo si chiama: mai letto di un tipo più cinico, materialista, senza scrupoli, antipatico, schifoso...okay, mi fermo.
Lo stile di Eco non aiuta a digerire il tutto. Descizioni minuziosissime che un altro po' informavano il lettore anche della lunghezza delle unghie del protagonista, periodi chilometrici e ingarbugliati, parole difficili, frasi in francese senza traduzione e un'infinità di ricette che rendevano conto anche del pizzico di sale o della goccia d'acqua, ma che caspita ci frega di ste' cose?!
Mai stata più tentata di non finire un libro, l'ho portato a termine (dopo essermi presa un buon mesetto di pausa circa a metà) solo perchè mi è stato imposto.
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Il gusto del tempo
Un affascinante romanzo a tre voci che riassume, rielabora e approfondisce un periodo storico di fondamentale importanza, quello che va dalla metà dell'800 fino agli inizi del '900, un periodo che ha segnato un'epoca e che con le sue tensioni politiche, economiche e sociali definisce i prodromi di quelli che verranno considerati i più grandi sconvolgimenti della storia dell'umanità.
Come è nato tutto? Cosa ha portato l'uomo ad auto sterminarsi su così vasta scala con ben due Guerre Mondiali? Quali sono state le tensioni, i piani segreti, le macchinazioni dei singoli e il tessuto sociale su cui si è potuto inserire quel meccanismo che avrebbe portato alla morte violenta di decine di milioni di persone in meno di trent'anni? Eco tenta di spiegarcelo, raccontando in maniera intelligente e brillante ciò che è stato agli inizi, quando nessuno avrebbe potuto sospettare le conseguenze di quanto si stava facendo, rivisitando (ma non reinventando) la storia europea di quegli anni, introducendo nel tessuto narrativo personaggi chiave per il destino del mondo, e dipingendo un quadro di insieme dalle tinte fosche, eppure nostalgiche e talora persino comiche, come solo una delle più abili penne del panorama letterario mondiale saprebbe fare.
Un lavoro dunque per metà romanzo e per metà documento storico, un lavoro profondo, intellettualmente appagante e sorprendentemente divertente che nella sua costante ricerca di un significato a ciò che è accaduto all'uomo, ciò di cui esso si è reso capace, ribadisce un concetto ormai a chiunque già noto, eppure mai così chiaro e lampante come in questa analisi: non contano le epoche, le credenze, l'intelligenza, la stupidità, la cultura e l'ignoranza, il virtuosismo o la turpe immoralità di alcuni, siano essi singoli individui o interi popoli, non contano le differenze sociali, politiche, militari o religiose tra stato e stato, tra uomo e uomo, non sono quelle, non sono loro a fare la storia; ciò che crea o distrugge la civiltà, ciò che plasma la nostra società adeguandola al tempo e al luogo è sempre stata (e sempre sarà) una sola cosa: i soldi, il denaro, e il potere che da esso ne deriva.
In nome di questo si formano alleanze, e si scatenano guerre, si eleggono capi e si sterminano i popoli, sotto il suo comando si piegano i vincitori e si umiliano i perdenti, si annullano i valori dell'uomo e della sua morale, si dimentica ciô che è stato e si ignora quel che sarà, al suo cospetto si tradiscono i propri ideali e si prega inginocchiati al fianco degli Dei, noi come loro, annichiliti dal suo potere temporale. E sia che lo si voglia o no, sia che per molti aspetti possa essere un male e per alcuni un bene, non ci si può fare nulla, poichè i soldi sono ciò che su grande e piccola scala ha sempre regolato, stabilito e determinato la vita e la morte degli esseri umani. Qualcuno potrebbe obbiettare, divagando, che le malattie sono un altro fattore determinante, ma non è forse vero che queste si sviluppano maggiormente in situazioni ambientali dove la povertà è più diffusa, non è forse vero che se si destinassero più fondi alla comprensione delle malattie, alle ricerca delle cure, si riuscirebbero a debellare più facilmente? Non c'è nulla da fare il denaro regola ogni cosa. Ma appunto non divaghiamo. Ciò che si evince dal libro è che non solo il potere del denaro ha un effetto diretto sulla persona che ne entra (o cerca di entrarne) in possesso, ma ha anche un potere sugli altri, su ogni singolo aspetto della loro vita: ad ogni azione corrisponde una reazione, ad ogni alleanza una rottura, ad ogni mossa una contro mossa e dalla singola moneta che si mette in tasca l'uomo qualunque nascono e derivano un'infinità di azioni concatenate, talvolta buone talvolta cattive, che nel loro complesso formano lo scheletro e il tessuto su cui si sviluppa la nostra società.
Temi importanti dunque quelli discussi ne Il Cimitero di Praga, temi di grande, e ineluttabile, attualità eppure temi che si inseriscono perfettamente nel contesto storico della narrazione.
È estremamente difficile costruire una storia che tratti di questi argomenti ed è ancora più difficile costruirla in modo tale che si regga in piedi in ogni sua parte, che scorra senza intoppi e soprattutto che avvinca chi la legge; sì, è estremamente difficile, eppure l'autore ci riesce, grazie ad uno stile coraggioso ed istrionico che avvinghia il lettore alla vicenda, ma ancor più all' ambiente, alla cultura, e alle società dell'epoca che, seppur conosciute, mai prima d'ora erano parse così intriganti e romantiche.
In un film si diceva (e forse questa era l'unica cosa degna di nota in quel film) che Hemingway era un grande perchè con i suoi romanzi era in grado di farci sentire il gusto delle cose. Bene anche Eco allora è "un grande" poichè al pari del suo predecessore anche lui riesce a farci sentire il gusto, non è tuttavia quello delle cose, ma è quello del tempo, è quello di un modo di vivere, è quello della storia.
Un libro dunque affascinante questo, dai contenuti importanti, se non essenziali, e che solo nel finale ad esser pignoli tende a perdere parzialmente il ritmo a causa di un' eccessiva ridondanza; dettaglio comunque più che trascurabile considerato che al contrario può vantare uno dei più divertenti, coraggiosi e interessanti incipit della storia della letteratura.
Un libro quindi profondo, maturo, reale, scritto in uno stile accattivante e condito da una appena accennata (e forse proprio per questo così affascinante) italianità; un libro che dovrebbe essere letto nei licei al pari di altri testi formativi per far capire e riflettere (divertendo) di cosa è capace, e inevitabilmente sarà capace, l'uomo, per la gloria, il potere o anche semplicemente la possibilità di sopravvivere, e in fin dei conti come già ribadito per l'unico vero ed equo Dio in cui pare costantemente credere a scapito di tutto il resto, il denaro.
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Il paradigma della mistificazione
Al periodo tra la fine dell' ottocento e l'inizio della Prima Guerra Mondiale, chiamato Belle époque, già dal termine pensiamo (nostalgicamente) ad un periodo sfavillante contraddistinto da un incredibile progresso e a un miglioramento sorprendente del tenore di vita: cinema, café-chantants, illuminazione, cancan, grandi magazzini illuminano la vita della vittoriosa borghesia che ottimisticamente immagina che nel Novecento si prolunghi questo splendido periodo di pace e progresso. Tuttavia (come per ogni epoca ) troviamo i suoi lati negativi e realistici: oltre allo sviluppo del pensiero anarchico che si esplica in numerosi attentati ( vedi l'assassinio di Umberto I d'Italia) i quali terrorizzano i benpensanti imprenditori e alle tensioni sociali dovuti al sempre più crescente divario tra industriali e operai che rivendicano i propri diritti, il male principale che lacera la società di fine ottocento è la falsificazione che occupa ogni campo del vivere quotidiano, dall'alimentazione (polvere di gesso presentata come farina!) al pensiero con il conseguente esacerbarsi dei cliché e dei pregiudizi i quali si esplicano nei reali prodotti della Belle èpoque: nazionalismo e antisemitismo, cemento essenziale dei grandi disastri e stermini del XX secolo. Ed è proprio questo il periodo scelto a scopo paradigmatico da Umberto Eco per il suo romanzo storico “Il cimitero di Praga” che ci trascina con uno stile piuttosto avvincente e con una perfetta resa dello sfondo storico nel gorgo irrazionale e pericoloso della modernità.
In una Parigi del 1897rinnovata dal progetto Haussmann, il capitano e falsario Simone Simonini- su consiglio di uno “studentello” austriaco, un certo Sigmund Freud (o come lo chiama, storpiandolo Simonini, Froide)- inizia a scrivere un diario-autobiografia con il tentativo di riprendersi dalla grave amnesia che lo ha colpito. Ma ben presto tale scritto si trasforma in un epistolario in cui interviene frequentemente l'abate Dalla Piccola, abitante di un miniappartamento collegato alla dimora di Simonini, e il quale è allacciato strettamente al nostro protagonista: infatti ciò che uno non ricorda lo ricorda bene l'altro.
Allora percorrendo un lungo lasso di tempo che va dal 1830 al 1897, veniamo a conoscere della personalità di quest'uomo camaleontico, viscido, egoista, terribilmente misogino, anticlericale, antigesuita e strenuamente antisemita, il quale tenta con ogni mezzo (più illecito che non) di racimolare un buon patrimonio per poter godere della vita e soprattutto del buon cibo per cui impazzisce ( infatti l'opera è infarcita ironicamente di numerose ricette che riaccendono più volte l'appetito del lettore). Nonostante la malignità e ipocrisia che Simonini emana da ogni poro, egli affascina anche per la sua intrinseca solitudine che lo contraddistingue sin dalla fanciullezza passata con il nonno, decisamente antisemita e pro ancien regime.
Ma ad intrigare ed avvincere in primis è la sua avventurosa vita passata lavorando nell'inventare e sventare complotti, a creare e a sciogliere matasse, nel vortice internazionale di spionaggio e controspionaggio in cui avidamente è entrato. In questo clima di falsità e cospirazioni, pur vivendo momenti epocali del XIX secolo quali i moti carbonari, la spedizione dei Mille, il 1848 ( annus horribilis per le monarchie europee), il Secondo Impero di Napoleone III e i fatidici giorni della Comune e nonostante l'intromissione di interventi massonici , messe nere e contrassalti gesuitici, Simonini continua a lavorare ad un' opera “letteraria” che contraddistingue l'apogeo della mistificazione storica donde erompe tutta la sua fiele verso il popolo ebraico e che avrà conseguenze tremende, quali i pogrom russi e la Shoah. Inoltre il protagonista ricostruendo queste tortuose vicende riuscirà a comprendere la verità della sua relazione con Dalla Piccola....
Umberto Eco con questo libro nel quale verosimile e realtà storica si amalgamano mirabilmente mediante un attenzione quasi maniacale ai dettagli, dà un'importante lezione su come una alterazione della realtà, seppure minima, può avere effetti devastanti per l'umanità e sulla banalità del falso, evidenziata da Simonini stesso che per i suoi documenti ricopia testi precedenti che a sua volta hanno ricopiato testi ancor più antichi in una catena che non pare avere fine.
Dal punto di vista letterario, invece, l'autore ha tentato di realizzare un'opera capace di emulare i grandi feuilleton ottocenteschi ( ad esempio I tre moschettieri di Dumas), contraddistinti da trame avvincenti e uno stile fluido che possa incantare il pubblico destinatario.
Eco è riuscito a ricreare in maniera creativa e personale questi grandi romanzi ma non a superarli del tutto a causa di alcuni rallentamenti dovuti all'utilizzo di termini disusi e arcaici (anche se non eccessivamente numerosi) che sembrano quasi delle spie dell'esibizionismo erudito dell'autore e di alcune descrizioni piuttosto pedanti ma che riescono a stendere quelle sfumature indispensabili per una buona resa dello sfondo storico che in Eco è divina.
In conclusione, consiglio quest'opera a tutti gli appassionati del romanzo storico e dei feuilleton in quanto Il cimitero di Praga non è un'opera di nicchia altrimenti un personaggio del calibro intellettuale di Umberto Eco sarebbe affogato un bicchiere d'acqua!
Infatti il romanzo d'appendice ottocentesco era destinato ad un grande pubblico e allora se lo scopo dell'autore è quello di farlo rivivere deve servirsi di uno stile piuttosto fluido e così esso si comporta.
Il lettore dovrà avere soltanto un po' di pazienza ( anche perché la prima parte è piuttosto lenta) ma alla fine non rimarrà deluso. Buona lettura!
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noia e caos
Ho messo in lavatrice le famose sette camicie !!! Non ricordo quante volte ho abbandonato e ripreso in mano questo libro. IL CIMITERO di PRAGA ( siamo a Parigi nel 1897 ) narra la storia di Simone Simonini , un anziano falsario ma soprattutto un agente segreto al soldo di qualunque “ forza”. Il protagonista ripercorre la sua vita scrivendo un diario, anche per tentare di vincere i vuoti di memoria che lo colpiscono sempre più frequentemente. Vive in un appartamento, sopra la sua bottega di rigattiere, con un vasto assortimento di parrucche e travestimenti , vecchi compagni di tante operazioni sotto copertura.. La sua stanza è comunicante con l’appartamento di un misterioso prete che non ricorda di avere visto e conosciuto (tra i tanti “costumi “ in suo possesso, anche un vestito da prete…). Tra un’amnesia e l’altra Simonini ricorda di essere piemontese, orfano, cresciuto dal nonno bigotto ed educato dai Gesuiti!!! Alla morte del nonno perde tutta l’eredità. Viene derubato dall’abile notaio Rebaudengo. Quest’ ultimo lo farà lavorare presso il suo studio insegnandogli il mestiere del falsario. Diventato presto un vero artista, Simonini attira le attenzioni dei servizi segreti sabaudi. L’ incontro darà il via alle sue avventure che lo porteranno a seguire i Mille in Sicilia o a Parigi per spiare, controllare e uccidere al soldo del controspionaggio francese. La sua infanzia difficile lo porterà ad odiare i religiosi ( GESUITI ), le donne e grazie all’influenza del nonno gli ebrei. Lo straordinario talento nella falsificazione di qualsiasi documento renderà molto ricco ma anche molto pericoloso il protagonista. La sua creazione finale, destinata al miglior offerente, sara’ il più grande falso storico. Il famigerato documento chiamato “ i protocolli di Sion”, tanto amato dai cospirazionisti . “ I PROTOCOLLI “ descriverebbero ad arte una presunta congiura giudaico/diabolica progettata nei minimi dettagli con il fine della conquista del mondo intero . Ma questo è solo l’inizio…
In sintesi il libro è scritto divinamente da Eco ma è molto pesante. Tanti personaggi e tanti intrecci per una storia di spionaggio vecchia di quasi due secoli. Piacevole il linguaggio dell’epoca. Ridicole le ricette inserite nel racconto ( dimenticavo che Simonini era un ghiottone ! ). NON E’ ASSOLUTAMENTE AVVINCENTE. Tutti i personaggi sono realmente esistiti e le loro vicende sono realmente accadute, tranne il capitano Simone Simonini.
Il messaggio del CIMITERO DI PRAGA è che nella giungla dei servizi segreti, massoneria, chiesa, sette “variopinte” e compagnia bella, REGNA IL DEPISTAGGIO !!! Se sono confusi loro, figurarsi noi comuni mortali. CONSIGLIO LA LETTURA ALLE PERSONE CON TANTA TANTA PAZIENZA…
Giuro che non lo leggerò mai più…
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Le fogne dello spirito
Cosa lega il capitano Simonini, notaio e falsario di lungo corso, all’abate Dalla Piccola, schivo uomo di Chiesa? Perché i loro appartamenti sono comunicanti? Cosa nascondono i loro diari e perché la memoria dell’uno presenta inspiegabili momenti di tenebra su cui solo l’altro sembra in grado di fare luce? E cosa c’entrano questi due personaggi con i grandi fatti storici che porteranno alle Grandi Guerre del ‘900?
Simonini, nato nel Piemonte del Regno di Savoia e cresciuto dal nonno, un militare acceso antisemita, sviluppa negli anni un odio viscerale verso la figura dell’Ebreo, nonché una misoginia talmente forte da sfociare nel totale disgusto verso il corpo femminile. L’unico suo piacere è la buona tavola, la cucina di classe, cibo e bevande che possano portare godimento al suo corpo. Per quanto riguarda il resto, odia tutto e non si fida di nessuno, nemmeno degli uomini di Chiesa. Ha poi un’avversione particolare per i Gesuiti.
Questi tristi tratti del suo carattere vanno radicandosi tanto da farlo diventare un uomo subdolo, disonesto, il cui più grande piacere è screditare gli oggetti del proprio odio. Gliene viene data l’occasione: il governo sabaudo si accorge delle sue potenzialità e decide di utilizzarne le doti di falsario per modificare a proprio piacimento le dinamiche e i passaggi del potere in Meridione, ove è in pieno svolgimento la missione dei garibaldini.
Da questo fatto comincia la carriera di Simonini, che lo porterà poi a Parigi e lo metterà in contatto con i servizi segreti di molti governi europei, sempre alla ricerca di documenti falsi che possano cambiare l’opinione pubblica o giustificare decisioni di grande portata internazionale.
Così prende il via l’ultimo romanzo di Umberto Eco, IL CIMITERO DI PRAGA, edito da Bompiani in un’edizione quantomai raffinata. A una sovracoperta che mostra un tenebroso vicolo fin de siècle, si accompagna un cartonato del più immacolato bianco e un testo stampato in caratteri differenti a seconda del narratore del momento (l’autore, Simonini o Dalla Piccola). Inoltre, il romanzo è costellato da illustrazioni, stampe a bulino espressamente cercate e volute dall’autore, in ricordo dei feuilleton (i romanzi a puntate) del XIX secolo. L’impressione è di trovarsi in mano un’opera pensata fin nei minimi dettagli, ivi compresi quelli estetici, e la lettura non delude.
Il romanzo è una finestra spalancata sul mondo del falso storico e della teoria della cospirazione, il corrispettivo letterario del vicolo di un quartiere malfamato, umido e puzzolente, in cui si riproducono e crescono ratti a migliaia, pronti poi a diffondersi come una malattia. Eco mostra attraverso il suo protagonista- un personaggio gretto e repellente a tal punto da risultare odioso fin dalle prime righe- come le teorie antisemite hanno preso forma nell’Europa dei movimenti rivoluzionari, seguendo la pubblicazione e la divulgazione di trattati tendenziosi e prove costruite a tavolino – e ben pagate- per offrire solide basi alle scelte politiche di quegli anni.
Assistiamo inoltre alla nascita delle teorie cospiratorie riguardanti la Massoneria e la condanna del potere dei Gesuiti, che spariscono inesorabilmente dal panorama europeo. Le tesi sulla cospirazione (massonica, comunista, aliena…) del secolo scorso sono dirette figlie di questa fabbrica di Storia, di una Verità decisa da pochi e spacciata per assoluta. L’odio micidiale dell’Europeo nei confronti della minaccia ebraica, sfociato nei pogrom sovietici e nelle persecuzioni naziste, è cresciuto nutrito dal limo malsano di queste invidie, di questi odi atavici supportati da una letteratura malata, dalla compravendita di documenti fabbricati all’uopo.
Il romanzo di Eco è un viaggio buio attraverso la grettezza dell’era contemporanea al suo nascere, sdrammatizzato da uno stile frizzante, caustico. Un’ottima lettura, senza timore di finire nel pantano di troppe nozioni storiche.
E, alla fine, anche il legame tra Simonini e un abate che avrebbe dovuto avere la decenza di rimanere morto verrà svelato…
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Sforzo e mi Sforzo
Dunque cosa non si è potuto dire su questo libro?.
La mia modestissima opinione è: non è un libro adatto a tutti, perchè molto "presuntuoso" per l'uso della lingua italiana, ci fa bene conoscere terminologie arcaiche, ma non arriverà mai a tutti e credo che Eco l'abbia fatto anche di proposito per far si che sia un libro di nicchia.
Chi si addentra nella lettura del romanzo resta "paralizzato" dalla storia che ci racconta Eco; da una parte è opportuno mettere a disposizione dei lettori varie interpretazini di Grandi Avvenimenti successi nel corso della storia, però penso che la strada per proporli al pubblico sia troppo in salita. In quanto trovo che alcune pagine siano davvero difficili sia per contenuti che per la lingua.
In definitiva non riesco a condannare in toto il libro e l'autore perchè lo sforzo linguistico è divino, d'altro canto la trama mi resta un pò indigesta.
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Fatica!
Contorto, meccanico, tecnico, arcaico, sempre alla ricerca di qualcosa di filosofico.
Estenuante leggere un libro così mediocre, a tal punto da benedire quando arrivavano le pagine con le immagini, anche se talvolta le didascalie riguardano pagine successive.
Per non parlare dell’elenco abbastanza ripetitivo di pietanze e ingredienti, una volta passa, ma così si esagera!
Eco, a mio modestissimo avviso, ha voluto fare un esercizio, si è voluto spingere oltre, criticare e sputare veleno su questo e su quell’altro e solo per poco non ha superato il limite.
Cosa voleva dimostrarci con questo libro ancora non l’ho capito, a distanza di mesi dalla lettura.
Non si riesce a capire chi parla, una continua rincorsa, sempre nell’attesa che succeda qualcosa di strabiliante ma che in realtà non accade mai.
Leggendo varie recensioni, sono arrivato alla considerazione che sia il classico libro che si ama o si odia, (anche se un libro non si odia mai veramente!).
Io rientro nella seconda categoria, però sono contento di vedere che qualcuno – forse più intelligente di me – ha trovato un senso a questo libro.
Una fatica leggerlo e penso sia stata anche una fatica scriverlo!
L’unica nota positiva di questo libro è che per fortuna è uscita la versione economica!
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Qualsiasi altra cosa, ma non questo!
Questo libro non mi ha lasciato proprio nulla, se non il fastidio di veder scritto tutte quelle cattiverie sugli ebrei e massoni e giudei e chissà chi altro. è stata una lettura difficile, spesso mi sono persa e spesso andavo avanti con gli occhi ma non con la testa...preferivo finire il libro in fretta per lasciare tempo a qualche altra lettura, piuttosto che immergermi in quel caos... a me non è piaciuto.
e poi c'è troppa storia, tante cose, tante descrizioni a mio avviso indisponenti, troppi particolari inutili che fanno perdere la concentrazione al lettore che non trova più il filo del discorso.
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- sì
- no
pendolo, dove sei?
Un groviglio inestricabile architettato da Eco solo per sfoggiare la propria cultura e la propria abilità di semiologo in modo fine a se stesso. Un libro che toglie il piacere della lettura che si trasforma in uno sforzo continuo nel cercare ciò che ad un certo punto si rivela essere il vuoto assoluto... Brutto, forse il peggiore libro di Eco (non ho letto "La misteriosa fiamma della regina Loana"), ad anni luce di distanza dal Pendolo di Foucault, "Il nome della rosa" ed il leggero ma comunque piacevole "Baudolino". Da masochisti