I tre inverni della paura
Letteratura italiana
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Opinioni inserite: 8
Un romanzo che divide
Dividono sempre le tematiche di Pansa perchè il messaggio che vuole trasmettere è sempre molto ostico e per qualcuno proprio indigeribile.
Di certo il romanzo non è assolutamente all'altezza degli altri suoi scritti come: Il sangue dei vinti o Carta straccia o La grande bugia e il risultato è quello di una storia un pò confusionaria con una protagonista,a mio avviso,insopportabile che non rende giustizia al contenuto così carico di significato e insegnamenti.
Tuttavia è una lettura che consiglio perchè permette una riflessione:se avessi vissuto anch'io quel momento di profondi mutamenti...che cosa avrei fatto?se fosse stata la mia famiglia ad essere minacciata o i miei cari a morire in guerra così lontani da casa in una terra che non ci appartiene come avrei reagito?e ci si accorge che a volte le ragioni degli uomini vanno oltre la Storia....
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Una sofferenza!!
a qualcuno questa mia opinione probabilmente potrebbe sembrare azzardata e superficiale. infatti il libro tratta argomenti non facili e sicuramente non allegri,ma ci sono tanti modi di narrare la storia e sicuramente quello scelto da Pansa è il peggiore!
questo libro secondo me è un ibrido tra un saggio e un romanzo,ma la parte romanzata è assolutamente inverosimile e spesso noiosa. i dialoghi sono impossibili perchè credo che nessun essere umano normale sarebbe in grado di ricordarsi tante date e tanti nomi.
insomma. leggere questo libro è stata una sofferenza e non l'ho lasciato a metà solo testardaggine.
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saggio senza contradditorio
mi aspettavo qualcosa di meglio.
è un saggio sull'esperienza partigiana soprattutto in emilia romagna, presentata quasi esclusivamente nell'aspetto negativo della deviazione criminale di alcuni gruppi, trascurando completamente il valore civile della resistenza.
il tentativo di 'travestirlo' da romanzo è, a mio modesto parere, mal riuscito.
sarebbe stato più leale nei confronti dei lettori, presentarlo per quello che è: un saggio monotematico e senza confronto di opinioni sulla guerra civile scoppiata in seno alla seconda guerra mondiale.
non c'è integrazione tra il racconto-fantasia e il resoconto-storia.
la protagonista, nora, chiede e il personaggio di turno risponde con il racconto di un evento.
mi piacerebbe sapere cosa ne pensano coloro che con coraggio hanno partecipato al movimento partigiano per la loro e la nostra libertà.
laura m.
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drammatico.
Questo è il primo romanzo di Pansa che ho letto.
Lettura non facile, e non tanto per il lessico, quanto...per il contenuto duro, da "digerire".
La parte romanzata direi che è stata utilizzata per raccontare la STORIA, ben più pregnante. Infatti la storia della forte ed indomita Nora e della sua famiglia, per quanto piacevole,( non mi è sembrata per nulla una soap opera, come qualcuno l'ha definita!) era un pretesto per raccontare i momenti durissimi della guerra civile in Emilia.
Per questo motivo , a Nora si affiancano nella storia molti personaggi reali e noti,come Togliatti, De Gasperi; la vicenda di un paese, di una famiglia , si allarga per diventare la vicenda di un popolo intero.
Si racconta la guerra, con date, nomi, cognomi; ma si racconta soprattutto il dolore della gente ; la paura della morte, delle ritorsioni, delle incursioni, ; lo sgomento, l'incertezza del futuro.
Resistenza: argomento interessante per chi, come me, proviene da una zona- le Langhe piemontesi- dove la lotta partigiana è stata aspra e senza esclusione di colpi..
Accompagnata durante l'infanzia da lunghi e dettagliati racconti da parte del nonno , sono venuta a conoscenza di numerosi episodi che erano rimasti nella cosiddetta "zona d'ombra"...quelli che i libri di storia non menzionano.
Ebbene, mi ha sconvolta ,con la lettura di questo libro, scoprire che in Emilia questi episodi erano moltiplicati per cento, mille...che la paura non proveniva solo più dal regime nazista, ma anche dai cosiddetti "partigiani rossi", che hanno insanguinato paesi e campagne, ben oltre il 25 aprile.
Un romanzo sulla Resistenza, rigorosamente documentato,di forte impatto emotivo e da leggere!
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i tre inverni della paura
Una pericolosa quanto inutile opera di revisione storica: si è disposti a descrivere i soldati nazisti come vittime che "vedono le loro famiglie sparire sotto i bombardamenti a tappeto degli anglo-americani... dunque è quasi fatale che non abbianoriguardo per nessuno". Non si spende una parola per la lotta partigiana e per quanti quella guerra non l'hanno cominciata e voluta. Si innestano queste affermazioni nel contesto di un romanzeto rosa neanche appassionante e si pretende di far luce sulla storia. Più che un fallimento narrativo, una vergogna
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ottimo per ricordare
un libro che non stanca, un libro che serve per capire un'epoca tragica ma ancora presente, nonostante gli sforzi che si facciano per dimenticarla
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I tre inverni della paura
sembra la sceneggiatura di una soap opera
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L'assedio di fort Apache
Se Pansa voleva scrivere una sorta di Via col vento ambientato nel periodo della Resistenza e della guerra civile, leggendo “I tre inverni della paura”, pare di notare che gli sia riuscito piuttosto di comporre una sorta di saga dell’assedio di Fort Apache.
Tutto il romanzo infatti è incentrato non solo sul personaggio femminile di Nora, ma anche nel posto in cui lei si rifugia: la sua villa di campagna, assediata da una serie interminabile di delitti e ritorsioni che perdurano durante e dopo la fine della guerra e di cui anche lei, alla fine, risulta vittima.
L’autore alla fine, pare che la voglia far morire per forza, inevitabilmente, come se fosse l’ennesima ed ultima vittima sacrificale dell’odio vendicativo rosso che non si placa nemmeno dopo che il Migliore,il gran capo, si è scomodato personalmente per dire a tutti che la stagione del sangue che nevica o scorre a fiumi, deve finire.
La cornice descrittiva e letteraria in questo romanzo ci appare piuttosto debole, almeno rispetto agli intermezzi storici con cui Pansa riprende molte delle storie già raccontate in precedenza nei suoi libri più famosi come “Il sangue dei vinti”, “Sconosciuto 1945” o “La grande bugia”. Il pezzo forte del romanzo sono infatti le narrazioni che riprendono eventi già in parte noti ai suoi lettori e che però, attraverso la chiave narrativa dei personaggi che, volta per volta si avvicendano animando il microcosmo che ruota intorno a Nora: la protagonista, trovano un più denso spessore espressivo.
Ciò che manca però in maniera evidente è una ricerca introspettiva sulla controparte, quella dei “cattivi” che sono sempre e comunque descritti come “brutti e sporchi”, senza alcuna analisi dall’interno della loro personalità o delle loro motivazioni, tutte accomunate nel gran calderone dell’odio ideologico di classe, denso di livore e preconcetto, fino al scadere nella pura criminalità estorsiva. Quasi fossero stati tutti antesignani di Al Capone anziché, come molti furono, sostenitori di una parte politica importante che contribuì validamente alla nascita della nostra democrazia e alla stesura della Costituzione. Sinceramente la descrizione di Margaret Mitchell dei nordisti e dei loro eccidi, ci appare molto più convincente e realistica, oltre che efficace.
E’ comunque un libro che si legge volentieri, forse meglio se non si è mai letto alcuno dei precedenti, e che comunque non va certo confuso con il capitolo della genesi della bibbia del vero democratico
Pansa dice di non capire chi demonizza la storia ma in questo romanzo, forse più che con gli altri, mi pare francamente che abbia lui demonizzato a rovescio la storia, dipingendo un quadro senza toni chiaroscurali, dove i buoni stanno tutti da una parte e i cattivi non escono mai dalla loro.
E guarda caso, i cattivi oltre ad essere brutti e sporchi sono sempre dipinti da Pansa come poveri, anzi, miserabili e per di più, rancorosi.
Un romanzo che appare stilisticamente scorrevole, asciutto, espressivo, ma un po’ monocorde e melenso, specialmente quando insiste nel celebrare le buone virtù del bel tempo andato della borghesia agraria della bassa padana. E poco o nulla racconta della miseria e della dignità dei poveri, se non quando, un po’ scodinzolando, si mettono al servizio dei loro padroni.
Neanche il bell’eroe morto in Russia si pone il problema di avere invaso un paese in cui i nazifascisti hanno fatto terra bruciata con milioni di morti, specialmente nella popolazione civile.
Insomma un romanzo che ci appare scritto un po’ in fretta, e che sicuramente andava meditato di più, lasciando maggiore spazio e respiro alla narrazione letteraria e poetica, all’intreccio, al paziente lavoro introspettivo, e che rischia invece di scadere a tratti nel fumettistico, specialmente nelle descrizioni degli ambienti famigliari.
Eroe anche lui perdente, un po’ come tutti, è Nelson che alla fine sposa Nora, pur avendo come ideale solo quello di poter concludere buoni affari, un sostanziale maneggione, anche se tutto d’un pezzo, che rappresenta sicuramente l’emblema di un’Italia che si salva sempre e comunque pensando gli affari propri, anzi, anteponendoli a tutte le bandiere.
Pansa pur non capendo come la storia si possa ridurre ad uno scontro tra “angeli” e “diavoli”, nella sostanza, ce la ripropone così, solo che i diavoli sono, nella sua prospettiva, cromaticamente più convincenti: tutti rossi, brutti, sporchi e cattivi.
Anche questa in fondo è una notte dove tutte le vacche sono rosse anziché nere, e producono sangue ed odio pastorizzato.