I leoni di Sicilia. La saga dei Florio
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
L'ascesa dei Florio
Bagnara Calabra, 16 ottobre 1799. Paolo Florio è un uomo ambizioso, essere ‘u bagnaroto non gli basta più. Non può essere sufficiente ad appagare il suo orgoglio, la sua bramosia di arrivare, di esser qualcuno. La decisione è rapida e immediata tanto come l’ascesa che ne consegue: il trasferimento a Palermo con il fratello Ignazio, la moglie Giuseppina e i figli è d’obbligo anche se questo significa separarsi dalla sorella Mattia coniugata con Barbaro, un uomo che non esita a far pesare il suo ruolo di capofamiglia affermando la propria volontà con violenze di ogni genere. E anche se con fatica, l’Aromateria viene aperta, piano piano supera le reticenze dei palermitani, le malevoli voci messe in giro dai rivali e arriva anche la possibilità di quel magazzino e quel fantomatico e atteso Don a dar rigore e forza al nome. Ma le difficoltà non sono finite, la strada intrapresa è irta di ostacoli e la famiglia Florio dovrà affrontarne tante prima di poter raggiungere quel riscatto sociale tanto auspicato e inseguito.
Primo volume della serie dedicato da Stefania Auci alla famiglia Florio, “I leoni di Sicilia” è un’opera che ben bilancia dato storico e finzione e che inizia con il trasferimento del nucleo principale sull’isola per terminare con l’ascesa del nuovo erede, il nipote Ignazio. È una storia stratificata, perseverante e arguta, che si sostanzia sull’ambizione del riscatto economico-sociale raccontando quelli che sono gli avvenimenti realmente vissuti dai Florio senza nulla risparmiare al lettore. L’arco temporale che è oggetto della saga è molto ampio poiché parte dalla miseria di fine diciassettesimo secolo per giungere all’affermazione nella rinnovata Palermo del diciannovesimo. Lasciare la terra natia per abbracciarne una nuova porterà a molteplici riflessioni e mostrerà al lettore anche uno scenario cittadino molto diverso dalla bellezza iniziale dell’arrivo e delle apparenze. Conosceremo i retroscena, le brutture e le oscurità di un luogo che cela molto più della mera facciata. Nel proseguire degli anni muteranno altresì anche gli stessi personaggi e verrà meno perfino quella rettitudine morale propria dei patriarchi. Quell’intransigente sobrietà, onestà, integrità verrà sostituita dalla cupidigia, dall’avidità, dall’insaziabilità, dalla bramosia dell’escalation sociale.
Una trama solida con personaggi credibili e altrettanto corposi che è avvalorata da una penna ricercata, erudita, descrittiva nonché accentuata da qualche espressione dialettale introdotta nelle voci dei personaggi per rendere ancora più veritiero il contesto narrato.
Ma non si ferma qui l’autrice. Perché nelle pagine che scorrono vengono affrontate anche molteplici tematiche, talune di particolare attualità, altre di carattere più storico ma comunque di denso significato. Tra le tante viene focalizzata l’attenzione sul ruolo della donna nella famiglia e sui valori in quest’ultima radicati, sull’impostazione maschilistica e spesso sessista del capofamiglia che era proprietario della moglie ma anche dei figli, sulla dimensione del meridione anche a livello politico e non solo socioculturale ed economico, e tante altre ancora.
Unica pecca che ho ravvisato è una certa lentezza nella lettura a causa di una propensione alla prolissità descrittiva in alcuni anfratti.
Nel complesso, comunque, un ottimo romanzo storico adatto a chi ama il genere, a chi ama le storie familiari, a chi vuol approfondire le vicissitudini del sud-Italia. Si noti bene che un particolare accento è posto proprio su quella che è la verità storica, a riprova di ciò ogni capitolo ha inizio con detti popolari ma anche con brevi postille all’interno delle quali la scrittrice inquadra gli avvenimenti più salienti del periodo narrato. Non a caso molteplici sono state le ricerche da questa effettuate per ricostruire i fili delle vicende, dagli abiti, alle canzoni, alle lettere, ai gioielli, alle barche, alle statue, agli usi e costumi più intimi. Un grande impegno che viene ripagato nella lettura.
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Rumorosa incompiuta
Di fronte a questo romanzo mi trovo nell'imbarazzante condizione di non condividere appieno l'enfasi
e l'entusiasmo di tanti lettori, d'altronde "...de gustibus non disputandum est" dicevano i latini.
Questo vuole essere un romanzo storico che narra dell'ascesa (e poi della caduta) della famiglia Florio, ma si pone alla storia e alle vicende che attraversa in un secolo di narrazione (dal 1799 ai primi del '900) come si potrebbe visitare una bellissima città semplicemente con un bus di quelli "hop on hop off" che ti portano in tutti posti in mezza giornata e vedi 5 minuti dei posti principali se non hai abbastanza tempo. Fermo restando che uno potrebbe poi fermarsi tre ore in un posto ...era per rendere l'idea della corsa a cui ci sottopone l'autrice.
I fratelli calabresi Florio decidono di migliorare la loro attività affrancandosi dalla società col cognato Barbaro e migrare da Bagnara a Palermo aprendo lì una aromateria. Le difficoltà sono molte, la società palermitana dell'epoca è parecchio chiusa e un pò classista, per anni i fratelli lotteranno per affrancarsi dall'essere visti come semplici facchini per il fatto di aver lavorato duramente per ottenere profitti e clienti senza avere nobili origini a garantire rendite e privilegi.
Questa è una delle due cose che ho apprezzato nel libro unitamente ad un indiretto omaggio al coraggio delle donne, in un'epoca in cui l'ignoranza atavica degli uomini le costringeva ad assecondare supinamente le scelte dei mariti quasi che il loro compito si limitasse a procreare, possibilmente figli maschi in quanto le figlie femmine erano viste come le scartine a briscola, facevano numero ma non contavano nulla. Abbiamo figure di donne che si struggono nel loro non amore con un rapporto tenuto insieme dal senso dell'onore del dovere dall'amore, quello si vero e profondo per i figli. Non che la Auci ne scriva in modo meraviglioso ma le vicende stesse dipingono un quadro desolante della condizione delle donne in quel tempo e il loro indomito coraggio.
Il libro si fa leggere anche , ad un certo punto diventa stucchevole per il susseguirsi di situazioni simili in cui evidenziare la scaltrezza di Paolo e Ignazio prima e di Vincenzo poi.
Non ha giovato al libro la poca profondità di tanti personaggi che accompagnano le vicende dei protagonisti per centinaia di pagine ma rimangono poco definiti, figure bidimensionali di cui sappiamo i fatti del giorno e nulla più.
Gli stessi protagonisti passano dall'onore e dovere al mercanteggio, al ricatto , all'intrallazzo sempre con una grande capacità imprenditoriale di fondo che fa prevedere quale sarà la scelta giusta per l'azienda di famiglia attraverso le vicende del nostro paese che portano fino a dopo l'Unità d'Italia.
Anche qui bollino rosso: la nostra storia per quanto a grandi lineee conosciuta poteva essere maggiormente argomentata, invece la Auci sceglie questi capitoletti brevi dove capita che dall'uno all'altro passano 2 anni o 5 anni e via così, in pratica, forse per la scelta di non appesantire il racconto, ci lascia una serie infinita di fotografie di varie situazioni, brevi momenti attraverso cui narrare la scalata economica e sociale dei Florio.
In sostanza : l'ho letto con piacere ma non mi ha lasciato molto.
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- no
l'ascesa di una famiglia in una Sicilia che vuol r
Interessante romanzo ambientato nell'affascinante '800 siciliano.
La saga di una famiglia, i Florio, che si sono "fatti" con le proprie forze partendo dal nulla per arrivare ad essere tra i più ricchi ed importanti esponenti del periodo.
Un romanzo piacevole nella lettura che ci accompagna verso la conoscenza di questa vera saga familiare.
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Analisi del testo: I leoni di Sicilia
Non potevo non leggere “I Leoni di Sicilia” di Stefania Auci dietro le insistenze di un mio amico che me lo consigliava con entusiasmo. Io non lo avevo preso in considerazione perché alla mia età ho smesso di leggere storie romanzesche pur se con riferimenti storici, preferendo saggi che mi stimolano sul piano intellettualistico piuttosto che su quello emotivo.
Mi sono immersa nelle sue 430 pagine senza fatica, l’ho letto in un paio di giorni riproponendomi di non lasciarmi tentare dalla voglia di interromperne la lettura quando mi sarei sentita delusa per non trovare tra le sue pagine quello che mi aspettavo ci fosse.
I capitoli sono introdotti da schede storiche che hanno lo scopo di sorreggere il racconto con riferimenti che possono giustificare realisticamente quanto i protagonisti vivono.
L’autrice ha avuto l’intuizione di imbastire sulla storia dei fratelli Florio di origine calabrese che partendo da origini umili finiranno per diventare una delle famiglie più ricche della Palermo negli anni a cavallo tra il XIX e XX secolo, un romance.
La struttura della trama è semplice e facile alla lettura, i periodi sono brevi e le scene descrittive non risultano mai esageratamente ampollose e articolate. È un tipo di romanzo appartenente alla letteratura di consumo anche se quello della Auci aspira alla letteratura storica.
La narrazione è incentrata sulla famiglia Florio non escludendo i fatti storici che ruotano attorno ai protagonisti, anzi talvolta proprio le vicende storiche influenzano le vicende della narrazione e le vite dei personaggi.
Il frequente uso di espressioni in lingua vernacolare, forse più che certe descrizioni, fa risaltare i personaggi in tutta la loro umanità e ne rivela il carattere psicologico isolano.
L’autrice fa muovere sulla scena i componenti della famiglia Florio rispettandone la genealogia e disegnandoli idealisticamente come eroi che combattono in una società ancora feudale dove una nobiltà decaduta e fallita si oppone ostinatamente alla nascita di una borghesia commerciale.
Un amante di saghe familiari trova nei “Leoni di Sicilia” il libro ideale per soddisfare le sue curiosità, aiutato dall’impressione di leggere una storia vera.
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Storia Naturale
Questa è una storia di migranti, una storia reale e non inventata, un’epopea di giovani che scapparono dalla più terribile delle sciagure, la fame, e giunsero a fatica in una terra che gli parve quella promessa, ma che paradiso poi non era, come ebbero modo di appurare.
Per far questo, lasciarono la loro terra natia, e insieme lasciarono i parenti, gli affetti a cui maggiormente erano legati, non tanto i genitori, perché per ogni figlio è fisiologico prima o poi staccarsi dai genitori, in certe condizioni esistenziali difficili è anche un evento che avviene anche presto.
Lasciarono gli affetti impossibilitati a seguirli, quelli più intensi e coetanei, in un certo senso, come una sorella per esempio, perché sposata, con un uomo barbaro, di nome e di fatto, tanto nomini, violento e dispotico, un simil scafista, da cui naturalmente è umano e doveroso sfuggire, certo.
Nessuno in grado di detenere potere sulla propria esistenza affettiva compierebbe un simile abbandono.
Appunto, servono però le condizioni per poterlo fare, per poter restare, chi abbandona non per libera scelta ma per coercizione obbligata il proprio luogo natio, chi scappa da esso, ha una belva feroce alle spalle che lo costringe ad allontanarsi, non consente alternative.
Tenute anche conto che le usanze dell’epoca sfioravano la barbaria allo stato brado per la condizione femminile, volevano che una moglie appartenesse comunque con ogni diritto al marito vita natural durante, una proprietà privata in tutto e per tutto.
Solo che l’intera vicenda, che presenta tratti duri alternati a momenti più dolci e commoventi, pagine violente ed altre delicate, per un tutt’uno delizioso ed avvincente, non è una vicenda dei giorni nostri, niente gommoni malridotti o baracche del mare caricate all’inverosimile, neanche un’emigrazione in piena regola, ma più una transumanza di muli da soma, carne da fatica che dalla fatica volevano trovare riscatto.
Stefania Auci racconta qui, e nel libro a seguire questo, “L’inverno dei leoni”, l’ascesa dei Florio, che dalla Calabria giungono in Sicilia divenendone i padroni, sul finire del diciassettesimo secolo fino al diciannovesimo passando per varie generazioni.
I capostipiti sono due fratelli, Paolo e Ignazio, decisi a tutto per emergere, tosti, inflessibili, il primo più del secondo.
A tutto, appunto; hanno una loro drittura morale, ma questa è solo una condizione iniziale, accumulare ricchezza richiede sacrificio, disciplina, tenacia ed acume.
Le generazioni successive avranno invece il compito di mantenere, conservare, gestire il già fatto, e questo è assai più difficile.
Colui che non ha, lotta, conquista e acquisisce a sue spese, corre rischio di impresa sapendo di poter vincere ma anche di poter perdere, aumentare la propria ricchezza quanto perderla di colpo.
Chi invece già ha, ha solo tutto da perdere: una volta in cima, puoi solo scendere, e la china può essere rovinosa, se non sai puntellarti al meglio.
Chi non è giunto in cima, ma ci è nato, non sa come si appronta il rifugio, ripararne gli inevitabili guasti dell’usura del tempo procurando e sostituendo le travi portanti con materiali più moderni.
La sana, anche se rude e brutale, competizione per arrivare in cima, si accompagna all’instaurarsi e rafforzarsi di una dignità d’essere, un valore morale che ti sorregge nei momenti difficili, puoi perdere tutto ma ti resta sempre la dignità, grazie a questa stai sempre a testa alta.
La competizione tempra, insegna a non avere scrupoli, ma intano crea e affina l’io interiore dove trai forza e ti rifugi in tempesta.
Quando invece rischi che la ricchezza da te goduta ma non da te acquisita si disperda, rinunci finanche alla tua dignità per mantenerne i vantaggi, vieni meno ai tuoi principi pur di continuare a veleggiare sul filo dell’onda. Non ti fai scrupoli, ma nemmeno coltivi un’ etica di valore, ed alla lunga questo fa la differenza.
Tutto il romanzo della Fauci, al di là della sua valenza storica, è un trattato sulla motivazione, sugli stimoli, sulle cause, i motivi, sulla molla interna che spinge ogni uomo ad industriarsi per migliorare le proprie condizioni di vita.
Come va che da un barchino per il minuscolo, e miserabile commercio lungo la costa si finisce per possedere flotte di naviglio commerciale: un’epopea, una scalata al vertice che solo per questo, unita alla saga familiare e relative vicissitudini, spiegano il grande successo commerciale del romanzo.
Quando questa origine della “roba” non è una sana e costruttiva ragione a migliorarsi e migliorare, ma solo una sfrenata lotta per il possesso inteso come potere di non far più dipendere la propria vita dalle miserie materiali che sempre esasperano gli animi, allora ogni conquista è solo sopraffazione, sfruttamento, malvagità d’accumulo e non possibilità di crescita morale, che dovrebbe sempre affiancare quella materiale.
Per padroneggiare, il simile sbrana il simile, diviene il Re, il Re Leone.
Passando dalle primitive buoni intenzioni per rassegnarsi alla dura legge che vuole che, per costruire grandi fortune, serve anche e soprattutto violenza, crudeltà, una fame più grande ma non più di cibo ma di ricchezze, di avidità allo stato brado.
Una bella storia, un romanzo storico ben costruito e scritto anche meglio, forse in maniera troppo telegrafica per possedere descrizioni storiche particolareggiate, comunque una chicca per gli appassionati del genere. Un libro curato, confezionato al meglio possibile, un buon prodotto accattivante. Ma non solo, a ben pensarci: il valore aggiunto del libro è ancora un altro.
Perché è un tomo poderoso, certo, nel testo leggiadro, a volte troppo, e nel numero delle pagine, magari ridondante, si vede che è costato comunque fatica all’autrice, un impegno ed una dedizione encomiabili…ma direi anche al lettore.
Per quanto si giunga alla fine senza abbandonarlo, magari si stenta un po', non è proprio come bere un bicchier d’acqua, da un certo punto in poi si boccheggia, d’altra parte, come dire, il clima, l’afa ed il solleone siciliani vanno per nominata.
A rendere sopportabile il tutto, però, è un valore intrinseco, velato ma sempre si sente che aleggia sulla storia. Un valore al femminile.
Trattandosi di un’autrice donna, si parla qui anche di donne, e della loro “mischina” sorte data l’epoca, gli usi, il maschilismo brutale dei tempi.
Solo che…in natura, il leone è il Re della foresta.
Ordina, comanda, incute timore, rispetto, deferenza, gestisce il potere con la legge del più forte.
Poi si stende, sorveglia il suo regno, con piglio severo, anche noncurante o sonnacchioso, ma pronto a far leva sulle sue doti per sbranare gli oppositori o che insidiano la sua supremazia.
Millanta il suo primato, anche quando non la esercita.
In realtà, chi gestisce il vero potere nei fatti, in pratica è la leonessa.
Va a caccia, snida e insegue le prede, insegna ai cuccioli, bada a tutto e meglio di tutti, probabilmente è la sola che tiene validamente testa all’esemplare con la criniera, senza darlo a vedere, non se ne accorge neanche il diretto interessato, convinto del contrario.
In estrema sintesi, tutto il racconto è una storia naturale.
Più che un romanzo sensu strictu, è un documentario romanzato, si sente la mano, l’impegno, la fatica della scrittrice, ha fatto un buon lavoro, dove i Florio sono i leoni di Sicilia, e Stefania Auci, a nome e per conto dei personaggi femminili, è una leonessa. Cose della vita vera.
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Una famiglia
Da un piccolo barchino per commerciare spezie lungo le coste calabresi ad un impero con investimenti che spaziano dalle compravendite di merci alle tonnare, dalle produzioni vinicole alle flotte di navi per gestire i trasporti.
Un colosso economico per il secolo XIX, costruito sul suolo siciliano con la ratio del sacrificio e del sudore prima, con il fuoco dell'orgoglio e dell'arrivismo in seguito.
Una scalata sorprendente quella della famiglia Florio, partita in sordina e con titubanza, osteggiata e derisa dai possidenti palermitani, una fortuna raggiunta grazie all'ostinazione dei capostipiti, uomini dal carattere duro e inflessibile.
Una ricostruzione sicuramente romanzata di una grande saga familiare, un percorso di tre generazioni che copre oltre sessant'anni.
La contestualizzazione storica è buona, numerosi i rimandi alle vicissitudini politiche dell'epoca che influirono sullo sviluppo economico e sociale dell'isola; l'inserimento di un sintetico proemio storico-politico ad ogni capitolo, si rivela un ottimo strumento nelle mani del lettore.
La narrazione della Auci è rigogliosa e a tratti un po' barocca per la capacità di insistere sui particolari e arricchire le pagine con profumi, colori, arredi, abiti, manufatti; un'esplosione di dettagli che trasportano il lettore in quei luoghi e in quei palazzi, respirando profumo di zagare e gelsomini, senza scordare il lezzo nauseabondo della lavorazione dei tonni e l'aria malsana delle abitazioni più umili.
Convincente la rappresentazione sociale, l'atavica acredine tra aristocrazia e borghesia, due pianeti separati da un muro duro da abbattere. Tema cardine su cui ruota l'intera storia della famiglia e a cui l'autrice conferisce tutta l'importanza dovuta.
Se in alcuni momenti la penna avesse indugiato meno su dettagli rosa, il romanzo avrebbe assunto una veste più sobria. I protagonisti sono talmente forti e ben caratterizzati che non necessitano di calamite passionali per catturare l'attenzione del lettore.
Nel complesso una lettura trainante e piacevole.
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Bello, ma non brilla
Raccontare la Sicilia dell'800 dopo Giovanni Verga, Federico De Roberto, Tomasi di Lampedusa, è un'impresa azzardata che richiede una certa dose di coraggio o forse di inconsapevolezza. Il rischio di scimmiottare livelli irraggiungibili è altissimo. Ciò nonostante, del tutto inaspettatamente, il risultato ottenuto da Stefania Auci non è malaccio.
Le ragioni del grande successo dei "Leoni di Sicilia", ancora tra i libri più venduti in Italia a quasi due anni dalla pubblicazione, non sono difficili da indovinare. È una saga familiare, e si sa che le storie di famiglia piacciono sempre. È un romanzo storico, e si sa che il passato ha sempre il suo fascino, ma non è pesante: la storia, quella con la S maiuscola, resta sullo sfondo e in primo piano campeggiano i destini privati dei personaggi. In questi tempi di crisi, poi, leggere di una famiglia italiana, addirittura meridionale, che fonda un impero commerciale capace di affermarsi in Europa ha un certo valore consolatorio. I bei tempi che furono, chissà, possono sempre tornare. Visto che quando gli italiani ci si mettono sono migliori di tutti gli altri?
Anche lo stile certamente aiuta, semplicissimo, scorrevole, quasi elementare, adatto anche alle capacità di lettura di chi apre al massimo due libri all'anno, uno a Natale e uno sotto l'ombrellone.
Insomma, i motivi per cui "I leoni di Sicilia" è stato ed è ancora un enorme successo di pubblico e critica giunto alla ristampa nel giro di un anno sono evidenti, ma bastano a qualificarlo come un buon romanzo? Perché le due cose non necessariamente sono collegate.
Qualche perplessità c'è, a partire proprio dallo stile: leggero e scorrevole, sì, ma forse anche troppo, al punto da essere quasi telegrafico. Molti passaggi risultano frettolosi, abbozzati, come se l'autrice avesse timore di spendere troppe parole e annoiare il lettore, e talvolta il nesso tra due momenti o due episodi che si susseguono non è di comprensione immediata. La narrazione sembra impostata per scene, con tagli, stacchi e prospettive che evocano moltissimo gli episodi di una serie tv, come se il romanzo fosse stato scritto pensando a una trasposizione televisiva (che infatti è stata decisa già da tempo). Lo stile telegrafico-televisivo è abbastanza diffuso nella narrativa contemporanea, ma la ricchezza del racconto certamente ne risente. Un romanzo e una serie tv sono due forme d'arte ben diverse: perché privare una delle due della sua specificità per omologarla all'altra? Per rendere la lettura più semplice e accattivante, se non addirittura elementare?
Le descrizioni sono del tutto assenti (una grossa pecca in un romanzo storico, che dovrebbe innanzitutto saper ricreare l'atmosfera di un tempo lontano). Spesso ho avuto la sensazione che i personaggi si muovessero su un fondale bianco, senza un contorno vivido a fare da supporto. La Sicilia dell'800 potrebbe essere uno sfondo vivissimo, ma se non fosse stato per altre letture o film ambientati in quei luoghi e in quel periodo avrei potuto visualizzare ben poco intorno ai protagonisti. Lo stesso problema torna con i personaggi secondari, che siano amici o nemici dei Florio, privi di una vera caratterizzazione (addirittura tendevo spesso a confonderli o a dimenticarne l'esistenza): Ingham e Giachery, pur essendo molto presenti, sono poco più che nomi. In particolar modo la mancanza di personaggi negativi forti, che abbiano la loro storia, le loro caratteristiche e prendano vita dalla carta, si avverte con forza: ai Florio, di fatto, non esiste un contrappeso se non una lunga sfilata di nobili (che li disprezzano in quanto arricchiti) e commercianti (che li odiano perché invidiosi della ricchezza e del potere che hanno raggiunto), tutti ugualmente oscuri e quasi intercambiabili. Per giunta, a volte i personaggi secondari sono messi bruscamente da parte e scompaiono nel nulla, come Vittoria.
Le figure principali, invece, hanno una buona caratterizzazione e, pur non essendo particolarmente profonde, hanno qualcosa che resta impressa nella mente, come la dolce tenacia di Giulia o la ferrea determinazione di Vincenzo o l'amore paziente di Ignazio senior. I più riusciti, i più complessi e sfumati sono senz'altro Vincenzo e Giulia: su di loro si concentra la maggior parte del racconto e dispiace separarsene, alla fine.
Proprio nella rappresentazione dei Florio sta forse il maggior pregio di questo romanzo, aver scampato il rischio di farne degli eroi senza macchia, improbabili santini con cui il lettore è chiamato sempre e comunque a simpatizzare. Stare dalla loro parte è facile quando si tratta di lanciarsi in qualche azzardata innovazione che apre al futuro, inaugurando una nuova era dei commerci, o lottare contro aristocratici spocchiosi e mercanti invidiosi per farsi strada. In tutti gli altri casi non è affatto scontato. Da questo punto di vista, il personaggio migliore è proprio Vincenzo, con i suoi comportamenti (soprattutto verso Giulia e le figlie) spesso biasimevoli, ma realistici, adeguati a un uomo di quel tempo, di quella classe sociale, con quelle ambizioni e quella personalità.
Il risultato complessivo è un romanzo di buon livello, piacevole e di facile lettura, che per certi versi poteva essere scritto meglio, ma fa comunque bene il suo lavoro: intrattenere e assicurare mezz'ora di gradevole fuga dalla realtà. E per quanto riguarda il sequel, sì, la curiosità di scoprire come continueranno le avventure dei Florio c'è.
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Romanzo piacevole, ma non eccelso
Ho deciso di intraprendere la lettura del romanzo spinta da recensioni di lettori entusiasti.
Ho trovato il libro abbastanza carino, non al livello però di romanzi magari più controversi ma maggiormente complessi e avvolgenti. Il contenuto è interessante: la narrazione dell'ascesa di casa Florio, una famiglia che parte quasi dal nulla e diventa nel giro di qualche generazione una delle casate più ricche e nobili d'Italia.
Fin qui tutto va bene, ma ho trovato il romanzo pretenzioso soprattutto nel desiderio di presentare la famiglia come un monolite portatore di sola positività. Anche quando vengono descritti i difetti e le contraddizioni dei personaggi, questi ultimi non riescono ad acquisire tridimensionalità, ma rimangono piatti. Alcune figure sono interessanti, ma con altri personaggi ho veramente fatto fatica ad empatizzare. Un romanzo gradevole, ma che non mi ha rubato l'anima.
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Migranti di ieri
Biografia romanzata dedicata alle prime due generazioni di una delle famiglie più conosciute della recente storia siciliana, i Florio. Anche ai non siciliani, come me, questo nome evoca immagini e ricordi: il celebre marsala gustato ancora oggi, un documentario sull’invenzione del tonno sott’olio visto tanti anni fa, l’elegante figura di Donna Franca immortalata da Boldini. Stefania Auci ripercorre le tappe che hanno visto nascere Casa Florio, riavvolgendo la pellicola a quando tutto ebbe inizio, a uno schifazzo salpato da Bagnara Calabra nel lontano 1799, pieno delle speranze di Paolo e Ignazio Florio.
Sono uomini di mare, Paolo e Ignazio, piccoli commercianti di spezie, senza niente se non l’intraprendenza e l’ambizione. Palermo li ha sedotti con promesse di ricchezza, gente, colori, vita, ma scopriranno presto che questa città può offrire tanto ma anche togliere tanto. Non bastano infatti gli straordinari successi imprenditoriali - l’aromateria, il commercio di sete e zolfo, la produzione di polvere di china -, per farsi accettare. Dopo la morte di Paolo, Ignazio e il nipote Vincenzo spingono la fortuna della famiglia ancora oltre, inseguendo nuove idee, nuove merci, nuove regole. Alla base di tutto, un formidabile fiuto per gli affari e un’insaziabile fame di affermazione. Ma a Palermo, prima ancora del denaro, conta il sangue, e loro sono e rimarranno sempre degli stranieri, immigrati di umili origini, i cui soldi continuano a puzzare di sudore.
Il merito più grande di questo libro è la precisa e attenta ricostruzione del contesto storico, nelle sue atmosfere, consuetudini, contraddizioni. L’ipocrisia dei nobili, disposti a sfruttare i soldi borghesi e a muovere le masse popolari per levarsi di torno quell’odiato re straniero, ma sempre da un piedistallo di superbia. La prepotenza di un mondo in cui bisogna alzare la voce, e la testa, più degli altri. Il maschilismo, incistato nella mentalità dell’epoca. Entrano nel cuore, questi Florio? Tutt’altro. Escluso il mite e solido Ignazio, gli altri hanno suscitato in me vari gradi di antipatia, dalla vendicativa e ostinata Giuseppina, all’arrogante e rude Vincenzo, alla remissiva Giulia. Ma, questo, in fondo, non è che un dato a favore di una storia che ha saputo rendere vivi i personaggi, persino nei difetti. Li avesse abbelliti, così come sospetto siano state furbescamente colorite alcune vicende dai toni rosa, l’avrei probabilmente apprezzato meno. In conclusione, un romanzo frutto di un grande lavoro di ricerca, a tratti forse un po’ lezioso e prolisso, ma sicuramente pregevole per la capacità di coniugare la dimensione storica al percorso psicologico dei personaggi.
“Per quanto potesse amarla e considerarsi suo figlio, Palermo lo trattava da estraneo. Lui aveva provato a farsi accettare, l'aveva corteggiata con la ricchezza, aveva dato lavoro, aveva portato benessere. Forse era questo che non gli si perdonava: il lavoro. Il potere. Gli occhi aperti sul mondo quando invece Palermo gli occhi li teneva ben chiusi”.
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Una saga famigliare
Sto leggendo “I leoni di Sicilia” di Stefania Auci che narra la storia della famiglia Florio, ambientata nell’Ottocento in Sicilia. L’autrice ha una capacità incredibile di dare vita ai personaggi al punto che mi sembra quasi di conoscerli, come se fossero dei vicini di casa.
Il libro inizia con un incendio nella casa dove vivono Paolo, sua moglie Giuseppina, il figlio Vincenzo e il fratello Ignazio. I due uomini sono molto diversi: il primo è determinato e introverso, il secondo pacato e affettuoso. Vivono a Bagnara, un piccolo paese calabrese, dove Paolo non vede alcun futuro per la famiglia; decide quindi che si trasferiranno nella prosperosa Palermo dove hanno un piccolo negozio di spezie. Giuseppina non perdonerà mai al marito questa scelta e rimpiangerà tutta la vita il suo paese di origine.
Quando Paolo muore, Ignazio prende in mano l’attività e continua a vivere con il nipote e la cognata. Lui e Giuseppina si sono sempre amati ma rispetteranno la distanza imposta dai loro ruoli famigliari.
Vincenzo erediterà dall’amatissimo zio l’attività; è un ragazzo intelligente e scaltro che riunisce in sé la determinazione del padre e il rancore della madre che riverserà sui palermitani che non dimenticano le sue origini e gliele rinfacciano di continuo.
Con Vincenzo l’attività diventerà floridissima. Intanto incontra l'anima gemella che è animata dalla sua stessa passione e determinazione; è una donna seria, Giulia, che sarà umiliata dall’uomo che ama accettando di essere solo la sua amante perché lui ambisce a una donna più giovane e soprattutto nobile per essere accettato dalla società palermitana. Solo dopo aver partorito un maschio riuscirà a farsi sposare dal padre dei suoi figli.
Una storia alla” Buddenbrook “di Thomas Mann perché ha lo stesso ritmo incalzante e la stessa abilità nel dipingere personaggi e ambienti, nel primo caso austeri e nel secondo vivaci e rumorosi, odorosi di salsedine. Amore, passione, odio si mescolano con affari e denaro.
“Cannella, pepe, cumino, anice, coriandolo, zafferano, sommacco, cassia… no, non servono solo per cucinare, le spezie. Sono farmaci, sono cosmetici, sono veleni, sono profumi e memorie di terre lontane che pochi hanno visto”. Così comincia l’avventura palermitana della famiglia, con un’atmosfera di sogno e magia. Ma subito c’immerge nella realtà commerciale: “Per raggiungere il bancone di una rivendita, una stecca di cannella o una radice di zenzero deve passare per decine di mani, viaggiare a dorso di mulo o di cammello su lunghe carovane, attraversare l’oceano, raggiungere i porti europei. Ovviamente i costi lievitano ad ogni passaggio”. Pag. 32.
“Luce trabocca dalle finestre, allaga le scale, raggiunge i soffitti e precipita sulla tavola imbandita. Incendia i vetri di Murano, si adagia sulla porcellana di Capodimonte. La casa sembra esplodere di luce. Giulia, in abito da sera, attende l’arrivo degli ospiti. L’occasione è importante: è la prima volta che lei organizza una cena: si festeggia la nascita della società di cui Vincenzo - > suo marito < è così strano da dire- è stato promotore. È vero, si tratta di una cena tra soci in affari, un momento di convivialità tutta maschile. Ma gli ospiti sono tra i più importanti uomini d’affari di Palermo e non solo: ci sono anche nobili, gente con un titolo lungo quanto un braccio. Non può permettersi di sbagliare. È la sua parte di responsabilità: adesso è una Florio”. Pag. 290.
“Donna Giulia, grazie per l’invito”. È un’occasione straordinaria, questa.”. Lanza di Trabia, principe colto e di vedute aperte, proprietario di una delle dimore più eleganti di Palermo, sembra valutare con una sola occhiata il prestigio del luogo dove si trova. Ma non potrebbe essere diversamente. Sua moglie è una Branciforte. Nobiltà antica, di quelle che hanno fondato la città. Giulia si sente addosso il suo sguardo, cerca un sorriso da darle, qualcosa che ammorbidisca la severità del giudizio. Stefania Branciforte è una matrona vestita con un abito color amaranto. È avanti negli anni, e indossa gioielli antichi, che probabilmente appartengono alla sua famiglia da generazioni. Si guarda intorno come se avesse timore di sfiorare le pareti o i mobili, e a nulla valgono le occhiate di rimprovero che le lancia il marito”. Pag. 296.
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La famiglia Florio alla conquista della Sicilia.
Un grande romanzo popolare, la saga di una famosa famiglia siciliana, i Florio: con quest’opera la trapanese Stefania Auci ha conquistato milioni di lettori, prima in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti (dove il libro è stato, stranamente, pubblicato per la prima volta) e poi nel 2019 in Italia. La storia, come è noto, è quella di due fratelli, Paolo e Ignazio Florio, che migrano in cerca di fortuna da Bagnara Calabra a Palermo. Con loro c’è Giuseppina, la moglie di Paolo, e il figlio Vincenzo: ma Giuseppina ha nostalgia della Calabria, della sua casa, e per sempre rimpiangerà la terra dove è nata, rifiutando cocciutamente di ambientarsi nella nuova città. Siamo agli albori del 1800, i fratelli iniziano affittando una specie di drogheria (“aromateria”, come si chiamava a quei tempi) e commerciando spezie di vario genere, in un ambiente difficile, fatto di gelosie e contrarietà di ogni genere. Ma i Florio sono tenaci, caparbi. Paolo muore di tisi, Ignazio cresce l’amatissimo nipote Vincenzo come un figlio, quel Vincenzo che pian piano crescendo assumerà la guida della famiglia, diventando l’asse portante della crescita e del successo della casata. Destreggiandosi abilmente durante i moti rivoluzionari e senza inimicarsi la casa regnante napoletana, forte di un carattere indomito pronto ad affrontare ed abbattere qualsiasi ostacolo, in pochi decenni assumerà la guida di quella che verrà considerata la maggiore attività imprenditoriale del Regno delle Due Sicilie. Attività che si esplicherà su molteplici fronti: commercio delle spezie, sfruttamento di cave di zolfo, produzioni vinicole (il famoso marsala), uso di macchinari per la lavorazione del ferro, trasporti marittimi (ottenendo dal Re addirittura il monopolio del servizio postale per la Sicilia), partecipazione in compagnie di assicurazione, quote di proprietà di navi da carico, gestione di tonnare (con la geniale idea di conservare il prodotto sott’olio dopo cottura, per una lunga conservazione)… Non altrettanto felice sarà la vita sociale: Vincenzo, anche se ricchissimo e con numerose proprietà immobiliari, è di umili origini, e sarà sempre considerato un “parvenu” dalla nobiltà locale, anche da quella in difficoltà finanziarie, costretta non raramente a chiedere prestiti proprio a chi si è creato un impero con fatiche inenarrabili. Anche la vita familiare sarà irta di ostacoli. Sposerà una milanese, Giulia, dopo una convivenza difficile e due figlie nate prima del matrimonio: solo un terzo erede maschio, Ignazio, lo indurrà a convolare a nozze. E sarà Ignazio, dopo la morte di Vincenzo nel 1868, a dare finalmente alla casata Florio un erede con sangue “nobile”, sposando una ragazza della nobiltà siciliana. Qui finisce la storia di “Casa Florio”. Una storia che inizia nel 1800 e narra gli avvenimenti fondamentali per l’ascesa della famiglia: sullo sfondo le vicende dei Borbone, i moti rivoluzionari, l’arrivo dei garibaldini e gli inizi del nuovo regno sabaudo. La storia dei Florio è anche una storia della Sicilia di quegli anni: una terra ove l’odore salmastro del mare si mescola con i profumi delle spezie, i rumori e le grida nelle strade e nei vicoli, lo sferragliare delle carrozze della nobiltà latifondista sulla via centrale di pietra che divide Palermo in quattro mandamenti. Ogni capitolo del libro è preceduto da esaurienti riferimenti storici del periodo trattato, a testimoniare l’accuratezza delle ricerche dell’autrice. Lo stile narrativo è fluido, scorrevole, alternando pagine di cronaca minuziosa degli avvenimenti a situazioni in cui nettamente prevalgono i toni melodrammatici: ad esempio la ricerca disperata ed il salvataggio in mare del piccolo Ignazio sfuggito alla sorveglianza dell’istitutrice, l’epidemia di colera a Palermo e la fuga dalla città, il ricevimento e la cena in casa Florio organizzata da Giulia, la moglie di Vincenzo, alla sua prima vera apparizione in pubblico sotto gli sguardi altezzosi della nobiltà palermitana, la morte di Vincenzo Florio ed i ricordi di tutta una vita, sospesi tra i sogni di un lungo e tumultuoso passato e la realtà di un presente che sta tristemente scomparendo. Ecco, forse è proprio a questa altalenanza tra la cronaca puntuale e minuziosa dei fatti ed il pathos di alcune pagine ( due stili narrativi diversi) che può essere rivolta l’unica critica possibile, senza per nulla sminuire la completezza e la grandiosità dell’opera.
Il dialetto siciliano è ben presente nel romanzo. Ogni capitolo è inoltre contrassegnato da un proverbio siciliano. Quello che mi sembra più attinente alla storia è il seguente: “ cu mania, ‘un pinìa” (chi si dà da fare, non patisce).
Un’ultima nota. Il romanzo racconta la storia dei Florio fino al 1968. Sapendo che l’ultima erede, Giulia Florio, è mancata nel 1989, resta da raccontare più di un secolo di vicende familiari: chissà che Stefania Auci non sia già al lavoro per colmare la lacuna!