I giorni di Vetro I giorni di Vetro

I giorni di Vetro

Letteratura italiana

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È ingenua, ma il suo sguardo sbilenco vede ciò che gli altri ignorano. È vulnerabile, ma resiste alla ferocia del suo tempo. È un personaggio letterario magnifico. La voce di Redenta continuerà a risuonare a lungo, dopo che avrete chiuso l’ultima pagina. Redenta è nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti. In paese si mormora che abbia la scarogna e che non arriverà nemmeno alla festa di San Rocco. Invece per la festa lei è ancora viva, mentre Matteotti viene ritrovato morto. È così che comincia davvero il fascismo, e anche la vicenda di Redenta, della sua famiglia, della sua gente. Un mondo di radicale violenza – il Ventennio, la guerra, la prevaricazione maschile – eppure di inesauribile fiducia nell’umano. Sebbene Bruno, l’adorato amico d’infanzia che le aveva promesso di sposarla, incurante della sua «gamba matta» dovuta alla polio, scompaia senza motivo, lei non smette di aspettarlo. E quando il gerarca Vetro la sceglie come sposa, il sadismo che le infligge non riesce a spegnere in lei l’istinto di salvezza: degli altri, prima che di sé. La vita di Redenta incrocia quella di Iris, partigiana nella banda del leggendario comandante Diaz. Quale segreto nasconde Iris? Intenso, coraggioso, “I giorni di Vetro” è il romanzo della nostra fragilità e della nostra ostinata speranza di fronte allo scandalo della Storia.



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I giorni di Vetro 2024-06-02 16:01:02 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    02 Giugno, 2024
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Redenta

«[…] E d’un tratto iniziai a piangere, ed era una cosa nuova, perché nella mia vita io non avevo pianto mai e mi faceva specie che il dolore spaccava così il suo guscio e colava fuori, dove potevano vederlo tutti.»

Il suo nome è Redenta ed è nata con la scarogna. La sua è una vita segnata sin da subito da difficoltà e perdita, da una redenzione per un peccato radicato nell’anima. Nata dopo tre figli dati alla luce morti dalla madre, è il frutto di una richiesta della madre fatta al mago di Castrocaro, dove le vicende si alimentano e prendono forma. All’inizio parla poco, quasi nulla, sembra tarda, poi si scopre che al contrario la voce c’è ma non vuole usarla. È una bambina magra ma agile, molto legata alla Fafina e al suo Bruno. Tuttavia, la polio non la risparmia, sopravvive ma resta sciancata a vita. Sarà anche, per altre circostanze, disonorata ma mai perderà la sua indole gentile, dolce, quasi misericordiosa. Il suo animo è intriso di pietà così come profetizzato ancor prima della sua nascita. In realtà il suo è un vivere disilluso, è una donna che non si aspetta nulla dalla vita e che, semplicemente, spera nel mantenimento di una promessa, un giuramento, fatto proprio da Bruno. Le circostanze nefaste, gli anni della guerra, l’arrivo del Fascismo, l’incedere della violenza, renderanno ancora più impossibile che questa promessa venga mantenuta e alla fine per lei, a differenza delle due sorelle, non ci sarà altra sorte se non quella di andare in moglie ad Amadeo Neri, ovvero, Vetro. Se la sorella Marianna si innamora di un uomo e attende il suo ritorno al fronte, Vittoria che dalle sorelle è così diversa, studia per diventare infermiera e poi medico, si trasferisce a Firenze e vive una vita fatta di sapere. Dal momento in cui nella vita di Redenta entrerà Vetro, sarà per lei un peccato costante da espiare per sopravvivere alla bestia, al boia, a colui che l’ha voluta perché così mansueta e perché credeva di poter fare di lei ciò che più voleva. Alla fine, ella, non doveva far altro che far da moglie abbassando il capo e sopperendo ai suoi doveri coniugali, con capo chino e indole silenziosa. Bruno, di contro, crede nei valori, nella giustizia. Per lui non ci sono sfumature.

«[…] E capii perché non s’era più fatto vivo prima: per non mascherarsi nella falsità. Perché queste parole tradivano i suoi sinceri pensieri sulla guerra. Tradivano la sua idea di giustizia. E per Bruno, al di fuori della giustizia, non c’era niente.»

E poi c’è lei, Iris. Tavolicci è il luogo dove nasce e cresce ma è anche il luogo che lascia per seguire la sua intelligenza e cercare un futuro migliore. Cresce tra i banchi della scuola che sua madre ha tirato su arrivando un giorno come un altro da lontano, incinta di lei e senza un marito. Diventa una seconda madre per il fratello Paolo ma poi arriva il giorno di partire; ad attenderla c’è Forlì, c’è il suo lavoro dai marchesi. Qui conosce Diaz ma soprattutto conosce ed abbraccia la causa. Perché gli anni dei soprusi sono arrivati, perché il Fascismo è ormai realtà, perché le camicie nere sono una costante e una certezza e non hanno pietà per nessuno. E c’è l’amore che spinge al sentimento, e c’è la necessità di ripartire e rinascere, credere in un ideale per sopravvivere a quel dolore che sta mietendo dolore, vittime e morte.

«[…] E già sapevo che la violenza o è assoluta o non è niente, e quando non è niente allora puoi sfuggirle.»

Le storie dei protagonisti si uniscono e fondono intersecandosi tra loro e ricostruendosi pagina dopo pagina, sezione dopo sezione. La narrazione si intervalla, lasciando la parola quando a Redenta, quando a Iris, lasciando che le storie di ciascuna diventino una cosa sola. Perché il destino talvolta è beffardo e unisce le strade, modella e plasma le sorti, condivide le ingiustizie e i dolori ma non anche le gioie.
Lo stile narrativo è perfettamente calzante con i tempi che vengono descritti, in alcuni passaggi rischia di essere un poco ridondante ma nel complesso regge bene il susseguirsi degli eventi. Il lettore è colpito e incuriosito da quel che legge, ne è trattenuto. Ogni pagina si cuce nella sua pelle e la curiosità di sapere come andrà a finire la storia delle due eroine, prevale su tutto. È al contempo un libro duro, molto duro. Ci sono alcune scene di violenza che sono talmente vivide da percepirle sulla propria pelle. È, ancora, “I giorni di vetro” un libro che suscita empatia. Notevole anche la ricostruzione storica che accompagna e definisce le vicende.
L’opera di Nicoletta Verna si offre al suo pubblico con la semplicità della complessità taciuta e riesce a delinearsi e a sedimentarsi nel cuore e nell’anima di chi legge.

«[…] E domani ti ricorderà di questa pena e ti sembrerà che non sia mai finita. Perché il male che patisci una volta lo patisci per sempre.»

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I giorni di Vetro 2024-05-21 16:13:15 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    21 Mag, 2024
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Cime tempestose

Sono i giorni di vetro quelli che gelano un cuore di sangue e di affetti, lo ghiacciano in un cristallo rozzo, grossolano, per di più estremamente fragile, e perciò pericoloso.
Un cuore simile non è lastra di sicurezza, malgrado l’apparenza si frantuma, non si polverizza innocuo, si scheggia facilmente in frammenti acuminati, stalattiti, aculei di ghiaccio taglienti come rasoi, e come quelli crudeli.
“I giorni di vetro” di Nicoletta Verna di questo racconta, è un testo magistrale, inteso nel senso di un romanzo che spiega, meglio di ogni saggio specifico, cosa e come è stata un’epoca tra le più importanti, ed infauste, della storia del nostro Paese.
Racconta nei fatti, anzi fa raccontare dalla viva voce di testimoni diretti, seppure romanzati, i giorni dolorosi dell’avvento del regime fascista, a far data dall’assassinio di Matteotti, fino ai primi momenti della liberazione da parte degli alleati.
Nessuno resta com’era, nei giorni di vetro, nelle sventure, ci si distingue: le donne, e quelli come loro che gli si smuove l’empatia, e gli uomini, a cui esce fuori la carogna. Non è un libro di Storia, ma una raccolta di fatti fittamente intrecciati a costituire la Storia, inventa ma dice il vero, talora il verissimo, racconta luoghi, episodi, persone che costituirono la trama di quei giorni, descrive con scrittura limpida, rustica, locale, con una elegante penna agreste e campestre, quanto realmente successo rivelato attraverso, guarda caso, un vetro, uno solo, però da ingrandimento fedele, perfetto e senza macchie, trasparente e veritiero. Tutt’altra cosa di un vetro solido e amorfo, magari confezionato a mo’ di gioiello in un misero pacchettino regalo, che tutt’al più può fungere da infausto memento. Protagonisti principali sono l’orfano Bruno e la stupenda, splendida, luminosissima Redenta, la gemma, la perla, il monile più bello e delizioso dell’intero romanzo, la sola che non è di vetro banale.
In punta di piedi, tranquilla, schiva, silenziosa e attenta, da tutti detta sfortunata e meschina perché tra l’altro colpita dalla polio che le renderà impedita in una gamba, è lei sola l’anima intelligente, il fulcro amorevole, l’epopea eroica di quei giorni, in quei luoghi, con quelle persone, la sola a fronteggiare, con coraggio sovrumano, il Male, farsene carico di persona, e redimere tutti gli altri da quello. La sola a comprendere una grande verità della vita, che il più delle volte se noi stiamo bene non è per merito o per virtù ma perché a qualcun altro tocca stare male al posto nostro. Non avrà epica, nessun finale per lei pari alla resurrezione di Tolstoj, niente lieto fine con Bruno, per lei finanche resterà un mistero incomprensibile lo strano comportamento del suo amato, anche se sarà certissima che Bruno le vuole un bene da morire. Il lettore capirà infine che molte volte ciò che sembra, non è. E altri personaggi ancora tutti splendidamente descritti, sfaccettati, Adalgisa e Primo, la Fafina, Zambuten, Marianna ed Aurelio, e poi Diaz e Iris. Iris come l’opera, non come il fiore, che quella del grande fiume è terra d’opera, opera lirica e opere di fatica dei campi, dove la gente lavora e basta: nei campi, a casa, nel bosco. Brava gente industriosa, onesta, sono terre di borghi, casali, pascoli e coltivati, dove non si ha tempo per il Male, chi non può lavorare perché è troppo piccolo o troppo vecchio, aspetta di crescere oppure di morire in pace circondato da affetti…fin che il Male non si presenta. Viene da fuori, in pompa magna, come a Tavolicci, qui in alto, in cima e ben nascosto saranno cime tempestose, sarà memoria di sangue, di fuoco, di martirio, come altrove, per fatti analoghi, incisero sulla pietra, a monito futuro. Sempre è così nei giorni di vetro, giunge il Male, fa dei giri immensi e poi ritorna, è orbo ma ci vede benissimo, non è misterioso, ha storia propria, cattiveria intrinseca addestrata tra poveretti di pelle scura, neanche è brutto, si ammanta di medaglie ed onori, ha finanche nome e cognome, si chiama Amedeo Neri. Fa il Male, pratica il Male, distribuisce il Male a piene mani, tanto da farti sospettare che stai pagando il tuo, quanto meriti, giacché quel giorno certamente dovevi essere fra chi ha ammazzato Cristo. Invece no, prima o poi l’abbiamo ammazzato tutti, Cristo.
Ma vedete, Lui è come Redenta, redime, riscatta, ci offre ancora una opportunità.
Ai giorni della merla, infatti, di gelo, di vetro, segue sempre l’estate di san Martino.

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Nicoletta Verna
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I giorni di Vetro 2024-05-13 08:34:09 marialetiziadorsi
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marialetiziadorsi Opinione inserita da marialetiziadorsi    13 Mag, 2024
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Un personaggio che non si dimentica

– Com’è che non piange? – chiedeva la sera mio padre.
– Piangerà. Le donne prima o poi piangono tutte.

Attratta da un post che lo definiva un romanzo potente l’ho acquistato e, data la trama, ho scelto di iniziare a leggerlo il 25 aprile. Ne sono rimasta affascinata. Talvolta ci si imbatte nella vera letteratura, e questo è il caso.
Il motore che tutto muove è la violenza da una parte, nelle sua tante e diverse forme, e dall’altra l’estrema fragilità che però nasconde la forza della giustizia. A dare plastica dimostrazione è il periodo storico scelto, il fascismo.
Protagoniste assolute, bellissima decisione, due donne, Redenta e Iris. L’ambientazione è Castrocaro, tanto cara all’autrice che ne ripercorre i luoghi con una attenta ricostruzione storica.
La prima e indimenticabile protagonista del romanzo, Redenta, nasce esattamente nel giorno del delitto Matteotti dopo che i fratelli maschi nati prima di lei sono mancati tutti più o meno al momento del parto. Redenta trascorre parte della sua infanzia dalla nonna Fafina (altro bellissimo personaggio di incredibile forza) perché la madre passa alcuni anni in carcere per aver ferito il marito che la tradiva. Dalla nonna, che accoglie bambini orfani, conosce Bruno, ragazzino magro e intelligentissimo e del quale diviene amica sin da piccola. I due sono inseparabili. Redenta inizia a parlare tardi perché ritiene che se non si ha niente da dire sia meglio starsene zitti, si prende la poliomelite che la lascerà storpia. In questo Bruno cercherà di aiutarla a non fermarsi nell’autocompatimento ma a fare tutto ciò che può per migliorare.
La madre ed il paese tutto sostengono sin da quando è nata che ha la “scarogna”. Eppure è una bella ragazza, molto intelligente, e continuerà a subire il fascino di Bruno.
Nel frattempo il fascismo assume sempre più vigore anche se Redenta non si occupa di politica e aderisce come molti all’inizio, suo padre compreso, a questo nuovo movimento che sembra promettere solo una vita migliore per tutti.
Bruno scompare e ricompare e in un’occasione per non essere scoperto nella sua attività clandestina ottiene l’aiuto di Redenta che ne esce però “disonorata” con grande disperazione della madre che teme di non poterla più accasare. Le sorelle di Redenta, Marianna e Vittoria prenderanno strade diverse, comunque interessanti e ben narrate, tutte da donne forti.
La storia passa attraverso il terribile matrimonio di Redenta con Vetro, milite fascista sanguinario e che la tormenterà sempre nella violenza considerandola una beota al suo obbediente silenzio.
Nel frattempo il romanzo racconta la vita di Iris, figlia di una maestra arrivata in un paesino dove nessuno sa leggere e scrivere. La maestra apre una piccolissima scuola e grazie all’aiuto di quello che diventerà suo marito e del paese intero insegnerà a moltissimi ciò che servirà loro per migliorarsi. Iris appena possibile aiuterà la madre a scuola fino a che verrà spinta a lasciare il paese per trasferirsi a Forlì dove potrà farsi strada. Inizia andando a servizio in una famiglia.
In breve Iris scopre che i suoi datori di lavoro sono oppositori al regime fascista, e diventerà subito parte attiva delle loro iniziative, spinta anche da un ragazzo come lei lavoratore in quella casa che già ne fa parte, Diaz, che diventerà poi capo della brigata armata omonima.
Le due storie ovviamente, quella di Redenta e quella di Iris, si intersecheranno in una storia via via più drammatica e che lascia un profondo segno nel lettore.

“Muori come ti pare, ma non per mano sua”

La forza interiore di Redenta, la grandezza del suo personaggio, pur nella sua tranquilla sottomissione, ha dell’incredibile.
La trama è complessa ma chiarissima, succede molto in questo romanzo. Anche i piccoli gesti sono parte della vicenda intera.
La scrittura mescola italiano a qualche raro termine dialettale che nulla toglie alla comprensione del testo. Il periodo storico che fa da sfondo alla storia è disegnato benissimo, con i giusti tempi e tratteggi.
Il personaggio di Redenta, di sua madre, di Bruno, di Iris così come degli altri è ricco di sfaccettature e ben fatto. Confesso che Redenta mi è rimasta dentro, un personaggio da quale è difficile staccarsi.
Lo sfondo storico non è un accessorio ma parte integrante della vicenda che è mossa proprio da quanto sta avvenendo. Una bellissima interazione.
La storia scorre velocemente, non ci sono momenti di noia o di rallentamento, il climax della seconda parte è notevole. Il bilanciamento tra gli elementi è perfetto, la storia non è mai scontata. Il sostegno delle donne fra di loro e la potenza che, seppur per strade diverse, viene tratteggiata, è un bell’ingrediente aggiuntivo. Lo sguardo sincero e disincantato su quanto avviene con al Resistenza è da apprezzare.
Un bellissimo quadro, senza sbavature, una storia bene in vista e ben narrata. Non avevo mai letto nulla di questa autrice, quindi una graditissima sorpresa.
Lo consiglio a chi ama la vera letteratura, tanto rara da trovare oggi.

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