I bambini di Svevia
Letteratura italiana
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NON E' MAI TROPPO TARDI
Questo libro porta alla luce una pagina dolorosa e poco conosciuta della storia italiana, moltissimi bambini dal Settecento fino alla Seconda Guerra Mondiale venivano venduti dalle loro famiglie che erano molto povere, per lavorare nelle ricche fattorie delll'Alta Svevia.
Questi bambini non avevano idea di dove sarebbero andati, pensavano di arrivare in un'isola felice, dove avrebbero vissuto un'infanzia migliore; ma non sapevano che quello era solo l'inizio di un incubo.
L'autrice sceglie di raccontarci la storia di Edna, ma di alternare i capitoli: quando era una bambina e viveva nella fattoria e ai giorni nostri quando ormai novantenne decide di intraprendere un viaggio da Castelbello fino a Ravensburg, per incontrare Jacop. Edna parte per rivedere l'unica persona che ha cercata di aiutarla nella fattoria e lo fa accompagnata dal suo fede pappagallo Emil.
"Arrivavano di seguito, senza logica e frammentate, schegge che si conficcavano nella carne. Sono così, i ricordi: decidono loro quando è il momento di svelarsi, guidano a volte le mani prima che la mente. Il cuore segue o resta ad ascoltare."
Prima di soffermarmi su alcune cose che non mi hanno convinta, voglio dire che questo libro ha al suo interno due messaggi importanti, che sono quelli della speranza e del coraggio.
Fino all'ultimo giorno di vita, c'è ancora la possibilità di perdonare e farsi perdonare.
Riconosco il fatto che l'autrice abbia portato alla luce un episodio del nostro recente passato che pochi ahimè conoscono, quindi di base questo testo ha un grande impatto emotivo sul lettore, che deve affrontare anche delle scene molto forti, che sicuramente fanno riflettere.
La prima cosa che mi ha lasciata perplessa è stata lo stile dell'autrice, molto pesante e noioso in alcuni punti, molto descrittivo e a volte si soffermava su alcuni dettagli che non erano rivelanti ai fini della narrazione.
"Lei credeva nel destino? In un filo rosso che collega ogni cosa senza che noi ce ne rendiamo conto, prima che quello stesso filo ci accarezzi o ci stringa fino a strozzarci?"
L'altra cosa che non mi ha convinta è stato il viaggio che Edna compie, dobbiamo considerare che è una signora di ben novant'anni, che la meta è molto lontana, che ha un pappagallo con sè e nessuno che l'ha accompagni.
Per quanto questa donna anziana sia in gamba, questa costruzione narrativa a mio avviso non è verosimile e l'ho trovata molto forzata, come anche la serie di personaggi strani che Edna incontra lungo la strada, tutti abbastanza gentili e pronti ad aiutarla.
Come dicevano alcune mie compagne di lettura, o la storia doveva essere ambientata trent'anni prima oppure l'autrice doveva concentrare la narrazione solamente sulla parte della Edna bambina, che io ho preferito.
Però credo di essermi data una spiegazione a questo viaggio che Edna intraprende, è una metafora per far capire che non ci si deve mai arrendere, che si può ricominciare e avere una seconda possibilità per sistemare le cose.
Sicuramente mi aspettavo di più, qualcosa di più coinvolgente e anche sconvolgente, ci sono molti passaggi che si potevano approfondire, ma per me è mancato qualcosa.
Recentemente ho letto il libro "Fiore di roccia" di Ilaria Tuti, anche lì si raccontava un episodio poco conosciuto della nostra storia, ma dà subito la storia mi aveva coinvolto e appassionato cosa che in questo romanzo non è mai successa.
Sarà sicuramente una unpopular opinion, però tutto questo successo ed entusiasmo verso questo libro non lo capisco, anche se credo di aver compreso il messaggio ma meno la costruzione della narrazione.
E' un vero peccato.
Indicazioni utili
Edna & Jacob
«E ha finito con il dimenticarsene, ma poi, un giorno quando meno te lo aspetti, capita qualcosa che ti fa ritornare lì. Ed è come se non te ne fossi mai andata. Come se tutto il tempo trascorso da quel preciso istante non contasse più nulla. E tu resti a chiederti cosa sia accaduto nel mentre. Non lo disse, ma era come se i pensieri fluissero nell’aria insieme al profumo della menta selvatica. Prisca annuì. Con quei soldi ci ho comprato il van. Non credo abbia mai voluto davvero diventare un avvocato. Ma è difficile deludere chi ami, costa più che fare finta di nulla e tradire te stessa. Forse ci ho creduto, all’inizio, e ho provato a nascondere i miei disegni e i libri sui fiori, però non ha funzionato. Vorrei soltanto che loro avessero capito. […] Credo che ognuno di noi abbia dentro di sé infinite potenzialità. A un certo punto, semplicemente, scegliamo. E ogni passo che muoveremo in seguito sarà condizionato da quella scelta, fino a farci dimenticare tutte le varianti che avremmo potuto essere. Già, come aprire una porta. Oppure decidere se tenerla chiusa. Edna annuì. E non c’erano scelte giuste oppure sbagliate. C’erano soltanto scelte che si affacciavano su giorni felici e altre che ti facevano sprofondare nel buio. Le restava ancora da capire se da quel buio si potesse mai uscire davvero, senza essere costretti a portarselo dentro per sempre.» p. 118-119
Una promessa. Una promessa che chiede di essere mantenuta. Una promessa che deve essere mantenuta. Edna è ormai una donna anziana che vive con Emil, il suo longevo pappagallo dalle grandi ali blu.
Sono insieme sin da quando lei era bambina, una bambina venduta dai propri genitori bisognosi di denaro a una delle tante fattorie; una giovane fanciulla ingenua e inconsapevole di questo dato, all’inizio, poi riportata alla realtà da Jacob, l’eroe che riesce a salvarla. Adesso che è una donna della terza età ella non aspetta altro che un segno per mantenere quella parola e quel segno si palesa davanti ai suoi occhi quando, in un giorno come un altro in attesa di quello che diventerà il suo ultimo trasferimento, legge la notizia. E allora Edna sa che non può indugiare ancora. Scrive due brevi righe di commiato per Adele e con un trasportino per cani all’interno del quale verrà alloggiato il suo amico animale, parte. Parte e con lei ha inizio anche il viaggio del lettore, tra presente e passato. Un trascorso in cui, insieme con migliaia di altri coetanei, fu costretta ad affrontare il viaggio tra le montagne per raggiungere le fattorie dell’Alta Svevia per essere venduta nei mercati del bestiame, nelle fattorie. Li chiamavano “I bambini di Svevia” e per loro non c’era ritorno da quei campi spacciati quali luoghi idilliaci dove apparentemente aver vinto la fame e la carestia. Qui nasce l’amicizia con il giovane compagno d’avventura, qui hanno sede i ricordi e sempre qui è nata quella promessa che deve mantenere. È giunta l’ora. Ma qual è questa promessa? Perché Edna è così decisa ad affrontare quel cammino che l’ha salvata da bambina in senso contrario? Cosa si cela dietro le vette di quelle montagne così impervie?
«[…] Sperando d’un tratto che l’inchiostro delle lettere si confondesse per comporre una parola familiare. Ma le pagine non parlavano e lei si sentì sprofondare nel vuoto mentre la sensazione di essersi persa in un mare troppo vasto di cui non si scorgeva i confini, la portava alla deriva, facendola sentire sola come non era mai stata.»
Sin dalle prime battute emerge con chiarezza la grande capacità empatica di questo romanzo fatto di coraggio e di speranza, di redenzione e di voglia di ricominciare, di mantener fede ad un impegno preso. Edna è una donna vivida nella mente del conoscitore, è una simpatica vecchietta che gli entra nel cuore insieme a questo delizioso pappagallino che con quelle parole inespresse l’accompagna. Il testo inoltre riporta alla luce una delle pagine meno conosciute della storia italiana e cioè quella di questi bambini che per ben tre secoli, fino cioè alla Seconda guerra mondiale, venivano venduti dai propri genitori a uomini spesso senza scrupoli per coltivare e lavorare nell’Alta Svevia. Un gran messaggio contenutivo è quello che è racchiuso tra queste pagine, un messaggio che disarciona le reticenze e invita ad andare avanti e avanti seppur evidenti siano alcuni rimandi con altre opere contemporanee presenti in libreria. Personalmente, la mia difficoltà con quest’opera, la quale come anzidetto ho amato per messaggio, morale e contenuti, è stato lo stile narrativo che ho trovato talvolta troppo lento e ahimè farraginoso. In alcuni punti la lettura rischia di essere troppo prolissa, sembra voler aggiungere dettagli superflui che potevano essere sintetizzati o omessi, sembra voler forzare un poco la storia allungandola per creare e mantenere maggiormente l’attesa della rivelazione del mistero. Questo soprattutto nella prima parte dove il decollo dell’avventura tarda ad arrivare. Probabilmente è solo questione di gusto personale ma per quel che riguarda la mia modestissima opinione, questo dato ha portato al rallentamento del testo al punto tale da far perdere di coinvolgimento emotivo e da rendere difficoltoso il proseguimento della stessa. Ed è un peccato perché gli spunti di approfondimento e riflessione ci sono tutti.
Resta comunque un buon componimento e un piacevole romanzo d’esordio.
«Qualcuno, un tempo, ha provato a convincermi che la strada migliore fosse fare sempre quello che andava fatto, rispettando tutte le regole. Ma è stato chi non ne ha rispettata nemmeno una a salvarmi. Lo trovo un pensiero molto rassicurante, quindi non aspettarti mai da me il contrario.»