Giorni di guerra Giorni di guerra

Giorni di guerra

Letteratura italiana

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Scritto tra il 1923 e il 1928, pubblicato nel 1930 e poi arricchito di nuovi brani fino all’edizione definitiva del 1961, questo libro, che rivelò in Comisso uno scrittore di rango, non è un diario della Grande Guerra, ma il racconto di un’esperienza vissuta come avventura, non come sfida eroica. Gli occhi sono quelli di un giovane, né antimilitarista né nazionalista, per il quale la cognizione della morte e del dolore, fino a quel momento ignota, è l’occasione per tornare all’Eden dell’infanzia perduta. Il tutto in una prosa percorsa da un soffio ora febbrile ora trasognato, sempre teso a cogliere la verità dell’attimo, la sola che conti.



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Giorni di guerra 2014-10-21 16:48:16 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    21 Ottobre, 2014
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La guerra come avventura

A limitarsi al solo titolo verrebbe da pensare al solito romanzo di guerra, frutto di un’esperienza personale dell’autore. Certo, si tratta di vita vissuta, ma in questo libro il conflitto, il primo dei grandi conflitti, cioè la Grande guerra, viene raccontata in un’ottica del tutto particolare. Non ci sono scontri feroci, bombe che esplodono e che dilaniano corpi, la paura, anzi l’angoscia del fante in trincea che attende l’ora dell’attacco, quella corsa nella terra di nessuno che spesso diventa una fuga dalla vita incontro alla morte.
Comisso era giovane all’epoca e per lui, figlio di un’agiata famiglia borghese, quella guerra, più che una tragedia, ha rappresentato un’avventura, un tuffo spensierato in un mondo tutto nuovo, così diverso da quello tranquillo, ma in fin dei conti monotono in cui fino ad allora aveva vissuto. Così ogni cosa diventa una nuova esperienza, così la morte rappresenta solo un’eventualità a cui non pensare. In questo nuovo modo di vivere certo non poco ha influenzato il fatto che il giovane Comisso, prima soldato semplice e poi tenente del Genio, viveva e operava soprattutto nelle retrovie, affacciandosi solo saltuariamente in prima linea e in ogni caso mai direttamente impegnato in scontri armati.
Con la spavalderia e l’incoscienza della giovinezza Comisso, più che partecipare alla guerra, pare essere lì come uno spettatore pronto a cogliere gli aspetti positivi della sua posizione privilegiata e in questo senso tutto sfuma, anche il dolore, sicché gli occhi dei feriti che lentamente vengono trasportati nelle retrovie sembrano sprizzare gioia per quell’opportunità di lasciare un inferno per un posto più tranquillo. E se ogni attività viene svolta in modo spensierato ci sono mille occasioni per assaporare questa avventura, con le maschie amicizie, il sorriso e l’incanto delle donne venete, le corse fra i campi, i bagni nudi nel fiume, il sano cameratismo che si viene a instaurare fra superiori e truppa, quasi un gioco che rifugge da ogni senso di morte, tanto che la fucilazione di un disertore farà scappare Comisso al fine di non udire gli spari del plotone di esecuzione.
Per l’autore questa guerra non è sinonimo di morte, ma di vita, magari a fare scorpacciate di ciliegie o a rincorrere le lucciole, giochi da bambino che è in corso di diventare adulto.
E più grande e più maturo lo diventerà in occasione della ritirata di Caporetto, in quella confusione di gente che scappa, di ordini e contrordini, di famiglie intere in fuga dall’austriaco, fra magazzini saccheggiati e cannoni abbandonati.
E’ un brusco ritorno alla realtà, un momento in cui si devono fare delle scelte, in cui occorre essere guida e riferimento per i propri uomini, e non solo compagno di giochi e d’avventure.
Così, in uno sfacelo descritto con rara forza ed efficacia, Comisso sembra dare addio alla sua giovinezza, ma ancora non lo sa e se ne accorgerà solo a guerra finita di come quegli anni che sono i più belli sono corsi via, impegnati in un gioco che poco a poco ha mostrato il suo vero volto insanguinato.
In questo romanzo, scritto con una freschezza che stupisce, in cui la spontaneità sembra traboccare, se poche sono le scene di tragedia, molte sono quelle in cui l’uomo sembra ritrovarsi con la natura, vista come un rifugio sicuro in cui riposare più la mente che le membra e in queste occasioni l’autore è capace di una prosa poetica mai melensa, anzi quasi sempre affascinante.
La guerra è forse proprio un’occasione, un esame di maturità in cui inconsapevolmente si cresce, ma questa evoluzione si accompagna ancora a un cuore bambino, a un mondo di giochi ben diversi da quello in cui ora si trova. E proprio perché è vissuta come un’avventura non le si tributano onori, né la si esalta; Comisso non si è posto il problema se sia giusta o meno, sa solo che c’è e che forse è un’occasione irripetibile per un ultimo gioco prima di diventare adulto.
Giorni di guerra è un libro bellissimo, che si legge con estrema facilità e grande piacere, tanto che si non si vorrebbe mai arrivare alla fine.

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