Fuga da Berlino Fuga da Berlino

Fuga da Berlino

Letteratura italiana

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Berlino, 1945. Per i prigionieri di guerra rinchiusi nel lager Starke Stähle il tempo sembra essersi fermato, e la speranza di una liberazione ha ceduto il campo alla rassegnazione e all'attesa della morte. Insieme agli altri detenuti ci sono gli I.M.I., gli Internati Militari Italiani, i soldati che dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 si sono rifiutati di combattere al fianco dei nazisti. Per i tedeschi sono gli "schiavi di Hitler", i vigliacchi traditori, bestie da lavoro senza diritti né dignità. Da quando è lì, anche Giacomo, come gli altri italiani reclusi, non ha più un nome. Da due anni è il numero 03121 e, tra appelli estenuanti e giornate trascorse ai lavori forzati, vede morire i suoi compagni, vinti dalle malattie e dalla malnutrizione. Finché un giorno il suo amico Rino, il "mago dei motori", scova una macchina tra le macerie che i prigionieri devono sgomberare nella città distrutta. Non è perfetta ma è in buono stato, con le chiavi infilate nel cruscotto. Ripararla e farla ripartire non è impossibile, così i due internati si convincono che è arrivato il momento di agire, di lasciarsi alle spalle la prigionia e di fuggire dal lager a bordo di quell'affascinante automobile che il destino gli ha fatto incontrare. Per loro sarà l'inizio di un viaggio lungo e disperato verso casa, attraverso campagne e paesi flagellati dalla guerra. Un viaggio fatto di paure e pericoli, ma ravvivato dalla forza di volontà, dal coraggio, da episodi di inaspettata solidarietà tra uomini e donne accomunati da un unico desiderio: dimenticare l'odio e la violenza e ricominciare a vivere. Ispirato a una storia vera, avvincente e serrato come un road movie, Fuga da Berlino è il racconto di un'impresa tanto eroica quanto sorprendente; ma è anche un omaggio sincero all'amicizia, alla fiducia negli altri, alla vita.



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Fuga da Berlino 2018-04-23 08:31:12 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    23 Aprile, 2018
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Giacomo e Rino

Anno 2009, una telefonata e tutto torna alla mente. Siamo nel 1945, Giacomo e Rino sono due dei tanti IMI – internati militari italiani – presenti nel lager Starke Stahle di Berlino. Quello sciagurato 8 settembre 1943 ad Atene, nonostante siano trascorsi quasi due anni, è ancora un’immagine vivida nella mete. Il comandante Vogel, l’eco delle urla che rimbombano e poi il presente con la prigionia, il momento di marciare, il problema di riuscire a mantenere la regolarità del passo nonostante le piaghe ai piedi, i crampi della fame, le bastonate, ma soprattutto l’appello. Quei tre interminabili e insopportabili appelli giornalieri. Sotto il sole o con la pioggia. Nella polvere o nel fango. Con il freddo a meno quindici gradi o l’afa a quaranta, con la neve, il vento, la febbre, un piede rotto, i pantaloni abbassati, nudi o vestiti. L’appello è inderogabile. È una pratica priva di senso che ha una sola funzione: quella di annientare l’umanità, azzerare la dignità. Dieci minuti, questi, in cui l’uomo è preda della mente, della tristezza che si fa largo coi pensieri, della sofferenza e dello sconforto di una esistenza piatta e priva di prospettive. Poi un giorno, uno come tanti in cui gli “schiavi italiani” sono chiamati a rimuovere le pietre, a far pulizia nelle strade per consentire il transito ai tedeschi, ecco che la scoprono: è una Volswagen Kdf Typ 1 del 1942. È l’occasione ideale, la loro unica occasione per scappare. Inizia così la loro rocambolesca fuga per l’Europa, una dipartita per quelle lande ormai disastrate di un’Europa toccata nel profondo dal conflitto, ma anche una dipartita che gli riporterà alla mente il significato – dimenticato – del senso di libertà e dell’amicizia, elementi, questi, che superano le barriere del tempo e dello spazio.
Tratto da una storia vera, il romanzo di Chiappero, affronta un tema attinente alla Seconda Guerra Mondiale difficilmente e meno conosciuto: quello dei soldati italiani (all’estero) prigionieri e schiavizzati dai nazisti perché alla firma dell’Armistizio si rifiutarono di collaborare con loro. Il tutto con un linguaggio semplice, fluido, diretto. Un elaborato senza sentimentalismi la cui unica pecca può essere quella di essere un po’ troppo romanzato e meno storico per chi ama la storiografica, e il cui pregio maggiore può essere il non essere troppo concentrato sulla concezione storica per chi al contrario non la ama.

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