Diario di un parroco del lago
Letteratura italiana
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Gli "sfrosador" del lago di un tempo che fu.
Gianni Clerici, astro indiscusso del tennis, approda in libreria con Diario di un parroco del lago.
Tale titolo richiama un po’ Georges Bernanos, con il suo Diario di un curato di campagna. Qui non si tratta, però, di un diario a cadenza quotidiana, quanto piuttosto delle riflessioni di un parroco, don Giovanni Castelli, di un piccolo paesino sulle rive del lago di Como, Lezzeno. E’ una realtà semplice, fatta di uomini che si alzano all’alba per lavorare i campi e alla sera si ritrovano in osteria. Per pura necessità di sopravvivenza molti di loro praticano l’attività di contrabbando di sigarette. Sono “passeggiate notturne” oltre confine, il che “significa, per chi la pratica, un’attività simile alle altre, che servono per sfamarsi, restare in vita.” Ed ecco che nei loro confronti il vicario non può che nutrire un sentimento di protezione paterna, un desiderio di proteggere quelle persone che si stanno affezionando a lui: Marietta, la perpetua, Carmen, la barcaiola, Bepi, il sacrestano. Il personaggio più simpatico è sicuramente Marietta, che sa tutto di tutti, e non perde mai occasione per sparlare di tutti e dire la sua: costei “alternava la vita di zitella contadina, proprietaria di una mucca e di un orto, con quella della Chiesa; era sempre puntuale per la prima Messa. (…) Aveva i suoi giorni difficili, nei quali poteva giungere a criticare ogni cosa.” E ancora: “Aveva un’opinione spesso negativa nei riguardi dei suoi parrocchiani, dei quali pareva conoscere, ancor meglio di un confessore i difetti, o addirittura, i peccati.”
Il diario del parroco narra di se stesso, della sua provenienza da una famiglia agiata, proprietaria di seterie comasche, della sua sofferta scelta di indossare l’abito talare; ma in primis racconta la vita all’interno di una comunità chiusa, arretrata, ancorata ai retaggi del passato, a tratti difficile e sacrificata. Con un linguaggio elegante e raffinato, che spesso ricorre all’uso di espressioni tipiche del dialetto comasco, tratteggia, con abili tocchi di pennello, storie di vite di un tempo perduto, che fu e non è più. Una lettura d’altri tempi, un racconto sugli “sfrosador” e sui “laghee” di immutabile e certo fascino.