Dante. Il romanzo della sua vita
Letteratura italiana
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Alla ri-scoperta di Dante Alighieri
"È forse questa la gradita revoca per cui Dante Alighieri è richiamato in patria dopo aver patito quasi per tre lustri l'esilio?... Questo i sudori e le fatiche continuate nello studio?... Non è questa la via del ritorno in patria, o padre mio, ma se prima voi e poi altri ne troverete un'altra, che non limiti la fama e l'onore di Dante, quella percorrerò, non con lenti passi; e se non si entra a Firenze per tale via, a Firenze non entrerò mai."
Tanta, tanta storia politica ma anche economica e sociale di Firenze (e di riflesso della Toscana e dell'Italia) tra Due-Trecento nel mezzo della quale prende forma il racconto della vita di Dante (com'era solito autonominarsi e firmarsi in luogo di Durante, il suo nome di battesimo), della formazione del suo pensiero, dell'analisi delle sue opere (da "Vita Nova" alla "Commedia").
Emergono nei loro tratti distintivi soprattutto le figure dell'uomo politico e dello scrittore, meno quelle del Dante marito (di Gemma Donati, matrimonio che per l'Alighieri fu più prestigioso dal punto di vista sociale che conveniente sotto l'aspetto economico) e padre di Pietro, Iacopo e Antonia (e forse anche di un quarto, un certo Giovanni) che ebbero per lui una grande ammirazione se non "un vero culto" (entrambi i figli maschi studiarono e diffusero le sue opere e nella decisione di Antonia di assumere il nome di Beatrice potrebbe ravvisarsi un omaggio al padre).
Dante (colui che "dà, elargisce agli altri i grandi doni intellettuali ricevuti da Dio") matura sin da giovane l'idea di essere un diverso, un predestinato e a riprova di ciò egli tende a cogliere in ogni evento della sua vita un segno della volontà divina che lo ha investito della "missione profetica di salvare l'umanità".
E dunque ecco un uomo con un'alta considerazione di sé, animato dalla volontà di nobilitare le sue origini mediocri, interessato alla musica e al disegno, provato dalla solitudine e dai bisogni materiali conseguenti all'esilio, orgoglioso ma all'occorrenza capace di "valutazioni di convenienza", spirito contraddittorio (nel modo antitetico, per esempio, di intendere le innovazioni "a seconda che incidano sulla sfera artistico-culturale o su quella politico-sociale) ma anche nostalgico, legato a miti e simboli (Battistero di San Giovanni) che "vivono ormai solo dentro di lui", "scrittore insofferente di ogni regola prestabilita e proiettato costantemente verso il nuovo".
Sebbene qualche passaggio storico poteva essere sintetizzato e non tutti gli aneddoti si accolgono con la stessa curiosità (parere del tutto soggettivo e opinabile), è innegabile che la ricchezza di contenuti e il modo in cui sono raccontati ben valgono la lettura.
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GRANDE FRATELLO
Un saggio storico a carattere squisitamente letterario e dal sapore della biografia quasi romanzata. Il lavoro di Marco Santagata, nome che non ha bisogno di presentazioni, ha davvero tante qualità: si presta alla lettura agevole tipica del romanzo, gode dell’approfondimento riconducibile alla ricerca certosina e all’appoggio necessario ai documenti non esulando tuttavia dal piacere di far conoscere, in fondo, la storia della vita di un grande uomo. Inutile negare che se non si conosce il contesto storico-letterario , la lettura potrebbe risultare faticosa e deludente, ma questo dipenderebbe solo dall’eventuale lettore sprovveduto; tuttavia anche chi è lontano dalle reminiscenze scolastiche potrebbe approcciare il testo. Niente è infatti lasciato inspiegato, anzi l’approfondimento è tale che permette di scardinare addirittura eventuali luoghi comuni o leggende o semplificazioni divulgative che spesso non poggiano su nessun dato, che sia un documento d’archivio, una fonte letteraria coeva o ancora gli stessi scritti danteschi. Perché sia chiaro, vita e opere sono strettamente connesse, e di questo connubio Santagata non si dimentica mai.
L’opera è bipartita in due sezioni: prima e dopo l’esilio, entrambe scandite dall’interconnessione tra la sfera pubblica e quella privata, a evidenziare la molteplicità di interessi dell’intellettuale , il clima culturale e quello comunale o cortese nel quale giocoforza va a inserirsi. Spesso vengono fatte emergere le contraddizioni dell’uomo, l’appartenenza politica piuttosto che la formazione di un’ideologia, mai finite e definitive ma sempre in divenire e spesso inspiegabili. Uomo dei Cerchi che ambisce al perdono dei Donati, intellettuale in eterno bilico tra guelfismo e ghibellinismo, tra amore per la natia Firenze e anatemi continui rivolti contro di essa, tra nobiltà di sangue e nobiltà d’animo, tra vita di municipio e vita di corte. Fermo però sempre il proposito di dedicare la sua vita agli studi e alla scrittura, anche tra ripensamenti, cambi di direzione. Notevole tutta la sezione dedicata alla composizione della Commedia, e quindi tutta la seconda parte, nella quale lo studioso intreccia i dati sui vari soggiorni al contenuto dei canti dell’Inferno per poi progressivamente inserire le altre cantiche man mano che il poeta vi si dedicò. La lettura di alcuni passi scelti dei singoli canti aiuta a comprendere anche le eventuali contraddizioni in esso presenti: soprattutto quando Dante parla di singoli uomini, Santagata ci ricorda che il poema è come se fosse stato scritto in presa diretta e che molto spesso Dante evitava di scagliarsi contro alcune personalità ancora viventi per poi delineare meglio il suo pensiero a morte avvenuta degli stessi. Un esempio per tutti può essere quello su Corso Donati, nell’Inferno Dante non si sbilancia, nel Purgatorio, lo stesso Corso , della rovina di Firenze è “quei che più … ha colpa”, egli è ormai morto e Dante non spera più di poter rientrare a Firenze proprio per sua intercessione. Per non parlare dell’assenza dell’impero in tutta la prima cantica, fatta eccezione per il secondo canto, e dell’ottica filoimperiale della seconda. E se vi state chiedendo come mai Federico II è stato messo tra le arche infuocate degli eretici mentre il figlio Manfredi è in Purgatorio, ebbene avrete risposta anche a questi dubbi. Insomma nel corso della sua vita Dante ha conosciuto ambienti sociali e culturali eterogenei, dalla formazione comunale alla ribalta giovanile tra i poeti dello Stilnovo, dall’ eclisse lenta di un modo feudale e delle sue corti al necessario rinnovamento culturale che avverrà in nome della lingua latina, lui ostinato propagandista del volgare. La sua vita tutta spesa a una riabilitazione attraverso la cultura e la sua opera, aldilà della mera ottica autobiografica e dell’intento stesso, è per noi occasione di conoscenza di un mondo complesso e contradditorio che nessun grande fratello avrebbe potuto darci.
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L'uomo Dante Alighieri
Il termine “romanzo” incluso nel titolo del libro non tragga in inganno: non è un testo di narrativa, ma un saggio storico estremamente accurato e documentato sulla vita e sulla figura di Dante Alighieri. Ma in effetti la ricostruzione degli avvenimenti fatta dall’autore, sia quella esplicitamente ricavabile dai documenti sia quella desumibile in via ipotetica dagli indizi, è così interessante e coinvolgente da assomigliare molto ad un “romanzo”.
Ammiro la straordinaria erudizione del prof. Santagata, docente di Letteratura Italiana all’Università di Pisa (ma anche autore di romanzi), che non solo sa interpretare con competenza tutti gli scritti di Dante (inclusi gli innumerevoli riferimenti spesso solo allusivi di cui sono costellati), ma ritrae l’epoca storica e gli ambienti frequentati dal poeta con una dimestichezza che sembra la testimonianza di chi vi è vissuto. Direi che questo lavoro è davvero il frutto di una vita (quella di Santagata) di studi e approfondimenti appassionati.
Emerge dal libro la figura di un Dante sì egocentrico, convinto di essere predestinato ad un ruolo eccezionale nel mondo, ma anche (e proprio per questo) estremamente solo: nonostante la fama che la pubblicazione graduale della Commedia gli procurò, la sua condizione di esule (in certi periodi senza i familiari), la difficile ricerca di un luogo che gli assicurasse protezione e un minimo di rendita, il rifiuto della classe accademica a riconoscere il valore letterario del volgare, la mediocre preparazione culturale dei signori che di volta in volta gli offrivano ospitalità, tutto ciò ha confinato il poeta in una solitudine senza rimedio. Nella parte finale della sua vita il sogno di Dante è quello di ritornare a Firenze, ma ingenuamente in una Firenze che non c’è più, in quanto nel ventennio circa del suo esilio si è profondamente modificata: come dice l’autore, “c’è qualcosa di commovente in questa fedeltà di uno sradicato a miti e a immagini che vivono ormai solo dentro di lui”.
È vero che alcuni aspetti del carattere di Dante lo renderebbero, a conoscerlo di persona, francamente antipatico (la megalomania, la superbia, l’animosità, ad esempio), ma la condizione cui approda negli ultimi anni, che lo vede chiuso nel suo sogno un po’ nostalgico e un po’ utopistico espresso negli ultimi canti del Paradiso, ce lo rende molto più attraente nella sua umanità più fragile.
Consiglio questo libro non solo a chi, per motivi di studio, vuole approfondire scientificamente la figura del sommo poeta, ma anche a chi per personale diletto desideri immergersi nel suo mondo e farsi un’idea precisa del suo fondamentale ruolo nella nostra storia.